martedì 3 giugno 2014
Luigi Lilio ed il Caledario Gregoriano
Cirò, antico borgo di Calabria, diede i natali all’astronomo Luigi Giglio, o Lilio come latinamente viene chiamato.
E’ qui che nacque, nel primo decennio del XVI secolo, l’ideatore del Calendario Gregoriano entrato in vigore per espressa volontà di Papa Gregorio XIII, nel lontano 1582.
Prima di allora, le umane attività erano regolate dal Calendario Giuliano (introdotto da Giulio Cesare nel 45 a.C.), e per oltre 1600 anni ci si avvalse di quel sistema di misurazione del tempo, che però presentava alcune inesattezze assai rilevanti.
Venne così ad accumularsi, nell’anno in cui fu emanata la Bolla papale (1582) che imponeva al mondo cristiano l’adozione e quindi il rispetto del nuovo Calendario Gregoriano, un ritardo di 10 giorni calcolati dal Concilio di Nicea (325 d. C.).
Secondo Gordon Moyer "questo divario suscitò nel Papa una preoccupazione particolare".
Al Concilio di Nicea, infatti, fu stabilito che la santa Pasqua dovesse essere celebrata nella prima domenica dopo il plenilunio di primavera, corrispondente alla data dell’equinozio di primavera (riconducibile al 21 marzo) Tale data, però, non poteva a lungo andare essere rispettata in quanto secondo i calcoli del Calendario Giuliano l’anno tropico (l’intervallo medio fra due passaggi consecutivi del sole apparente per l’equinozio di primavera) era di 365 giorni e 6 h, mentre in realtà è di 365 giorni, 5 h, 49’ e 45". L’evidente imprecisione, riscontrata nel Calendario Giuliano, determinava una differenza di circa 11’, quindi, ogni 134 anni l’equinozio di primavera si trovava anticipato di un giorno. E all’epoca di Gregorio XIII cadeva addirittura l’11 marzo.
Ecco perché "500 anni fa un altro credente, medico calabrese, matematico e d astronomo, Aloysius Lilius, studiò il modo migliore per essere sicuri di non sbagliare la data della Pasqua", secondo quanto affermato dall’illustre scienziato Antonino Zichichi (A. Zichichi, "L’irresistibile fascino del Tempo", Il Saggiatore, Milano, 2000, pag. 120).
Questa urgenza spinse il Papa ad istituire una Commissione di eminenti scienziati, incaricati di riformare il calendario.
Ne facevano parte: il cardinale Guglielmo Sirleto di Guardavalle (che la presiedeva); il vescovo Vincenzo Lauro; l’astronomo Giuseppe Moletti; il patriarca di Antiochia Ignazio Nehemy; il canonico e giurista francese Serafino Olivier; l’interprete e studioso di lingue orientali Leonardo Abel di Malta; il domenicano Pietro Ignazio Danti di Perugia; il teologo spagnolo Pietro Chacòn; il matematico Giovan Battista Gabio; il gesuita tedesco Cristoforo Clavio (che si adoperò, con tenace determinazione, prima nella difesa e successivamente nell’applicazione del nuovo Calendario Gregoriano, in principio rifiutato dai Paesi protestanti), e infine l’astronomo Antonio Giglio (o Lilio) di Cirò, il quale consegnò personalmente al Papa il progetto di riforma del calendario portato a compimento dal fratello Luigi - la cui morte sopraggiunse nel 1576, quindi prima che la Commissione pontificia istituita nello stesso anno potesse approvarlo , dopo uno studio durato dieci anni.
Dell’immortale opera di Luigi Lilio, originariamente raccolta sotto forma di manoscritto, rimane solo un Compendium (una sintesi) stampato nel 1577, del quale si era persa ogni traccia.
Fu proprio Gordon Moyer, dell’Institut fur Geschichta der naturwissenschaften della Goete Universitat di Francoforte sul Meno, a scoprire dopo estenuanti ricerche il "Compendium novae rationis restituendi kalendarium" nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
Altre tre copie si trovano custodite a Roma, nella Biblioteca Vallicelliana, nella Biblioteca Apostolica Romana e nella Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, e un’altra nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena.
Il Compendium era catalogato – a detta di Moyer – come "opera di autore anonimo", pur essendo chiaramente indicato nelle prime pagine il nome dell’ingegnoso ideatore del Calendario Gregoriano, "Aloisio Lilio" (Luigi Lilio, appunto).
A lui va attribuito l’indiscutibile merito di aver riportato l’equinozio di primavera al 21 marzo, nonché la geniale intuizione, frutto di approfonditi studi, di togliere 10 giorni dal Calendario Giuliano: tale correzione, secondo quanto suggerivano i suoi calcoli, era da effettuarsi nel corso di un periodo di 40 anni a partire dal 1584, oppure, come poi decretò la Commissione pontificia, dovevano essere soppressi immediatamente.
Cosa che avvenne, soprattutto per volontà di Cristoforo Clavio, già nel 1582 (anno in cui fu emanata la bolla papale che istituiva il nuovo calendario).
Inoltre, il Calendario Giuliano prevedeva ogni 4 anni un giorno intercalare, quindi la durata dell’anno doveva essere non più di 365 giorni, come nei tre anni precedenti, ma di 366 (chiamato anno bisestile). Lilio soppresse 3 giorni intercalari negli anni centenari non divisibili per 400, non più considerati bisestili (1800, 1900, ecc.), in modo tale da consentire il recupero di quegli 11’ di divario che ogni 400 anni diventavano 3 giorni. I giorni intercalari che nel Calendario Giuliano erano 100 ogni 400 anni, nel nuovo calendario – un tempo chiamato Liliano – si riducono così a 97, sempre ogni 400 anni.
"In che modo Lilio sia pervenuto a un valore di 365,2225 giorni – secondo Gordon Moyer – rimane un mistero".
Seguendo le riflessioni di Zichichi sull’opera immortale di Lilio, si capisce come "nonostante gli straordinari progressi nella misura del Tempo e delle coordinate astronomiche, questo Calendario non è stato - e non sarà – superato".
testo tratto da "Le Quattro Porte"
immagini dal web
Questa è solo una delle prime ......aspettiamo il seguito
Arrivano nuove tasse sui passaporti:73,50 euro per il rilascio del documento (invece che i 42,50 attuali), a cui vanno a sommarsi il costo del libretto e il bollo annuale di 40,29 euro da estendersi a tutti, sia che si viaggi in Europa che altrove.
Lo prevede un emendamento al decreto Irpef firmato da Giorgio Tonini (Pd) che è stato approvato dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato.
“Il contributo di 73,50 euro però diventa una tantum: dovrà essere versato all’atto del rilascio del passaporto e va a sostituire la tassa finora prevista per ogni anno o frazione di anno di validità del passaporto.
Viene però esteso a tutti (sia a chi viaggia in Paesi Ue che fuori) il pagamento della tassa annuale sulle concessioni governative (il cosiddetto contrassegno telematico da 40,29 euro), da cui finora erano esenti coloro che viaggiavano all’interno dell’Unione europea.
Infine viene disposto che sia il contributo che il costo del libretto dovranno essere rideterminati ogni due anni con decreto del ministero dell’Economia di concerto con quello degli Esteri”.
Fonte: FanPage
L'aumento del bollo sul passaporto è determinato nel Decreto Irpef del 24 Aprile 2014 dall'emendamento Tonini (PD) quindi era già lì un mese prima delle elezioni.
Giornali e le tv danno timidamente la notizia solo oggi che diventa attuativo, dopo le elezioni eppure si sapeva e molto bene.
Ora scienziati, ingegneri ed eccellenze italiane ci penseranno due volte prima di andare via dall'Italia.
Dopo tutti i tagli alla scuola, all'università e alla ricerca, dopo aver schivato per anni calcinacci e tegole che cadevano da soffitti e tetti, dopo essere sopravvissuti alle scuole che si disintegravano durante i terremoti perchè gli appalti erano truccati e il cemento armato per risparmiare era diluito, ci voleva un nuovo deterrente (o incentivo). Dopo settimane di durissimo lavoro intellettivo
LA SOLUZIONE Hanno raddoppiato il costo del passaporto
Lo stupefacente villaggio neolitico di Skara Brae
Skara Brae è un grande insediamento neolitico in pietra situato vicino alla baia di Skaill sulla costa occidentale della principale isola delle Orcadi, in Scozia.
È composto da dieci abitazioni, e venne occupato grosso modo tra il 3100 a.C. ed il 2500 a.C.
Il grado di conservazione è talmente alto da far guadagnare al sito il titolo di patrimonio dell'umanità da parte dell'UNESCO.
È il più completo villaggio neolitico dell'Europa.
Fino al 1850 Skara Brae si trovava sommerso da anni di sedimenti terrosi.
Venne completamente scavato tra il 1928 ed il 1930 da Vere Gordon Childe.
Gli abitanti di Skara Brae erano apparentemente costruttori ed utilizzatori di oggetti scolpiti.
Le case erano ripari costruiti usando il terreno e, essendo scavate nel terreno, erano solitamente costruite sul luogo di pre-esistenti collinette dovute all'accumulo di rifiuti note come "middens". Nonostante i midden dessero alle abitazioni un minimo di stabilità, la loro principale qualità era la protezione dal rigido clima delle Orcadi.
In media le case misuravano 40 m² con al centro un forno necessario per cucinare e riscaldare.
Dal momento che sull'isola crescevano pochi alberi gli abitanti usavano i resti delle mareggiate e le ossa di balena, con l'aggiunta di zolle erbose, per costruire il tetto delle loro case interrate.
Le case erano complete di arredamento costruito in pietra, tra cui armadi, guardaroba, sedie e ripostigli.
Un sofisticato sistema di drenaggio all'interno del villaggio permetteva l'esistenza di una grezza forma di bagno in ogni casa. Sette delle case hanno un arredamento molto simile, con letti ed armadi nelle stesse posizioni. L'armadio sta sul muro opposto all'entrata, in modo che fosse la prima cosa visibile entrando in casa.
Otto case non hanno arredamento, ma sembrano divise in piccole stanze.
Durante gli scavi di queste case sono stati trovati frammenti di pietra e ossa. Può darsi che queste abitazioni venissero usate come laboratorio per la creazione di piccoli arnesi quali aghi in osso o asce di selce.
Il metodo del carbonio-14 ha permesso di datare la vita di questo sito a partire dal 3100 a.C., per circa sei secoli.
Attorno al 2500 a.C., dopo i cambiamenti climatici che trasformarono il clima rendendolo più freddo ed umido, l'insediamento venne abbandonato dagli abitanti.
Esistono numerose teorie per spiegare la frettolosa fuga degli abitanti, ma non ci sono prove certe che ne dimostrino la validità.
Nonostante gli edifici visibili diano un'idea di insieme organico, probabilmente molte case sono state perse a causa dell'erosione del mare precedentemente alla loro scoperta.
Si sa che i reperti trovati erano in prossimità dell'antico monumento, nella zona attualmente coperta da prati.
Un muro costruito in pietra protegge le rovine ancora nascoste dall'erosione del mare.
La Palazzina di Caccia di Stupinigi
La Palazzina di caccia di Stupinigi è un'opera di Filippo Juvarra, iniziata nel 1729 e finita nel 1754 facente parte del circuito delle Residenze Sabaude, sito seriale proclamato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
È situata nella località di Stupinigi (frazione di Nichelino), alla periferia sud-occidentale di Torino. Il territorio definito in età medioevale Suppunicum presentava già un piccolo castello, tuttora visibile a levante della palazzina (via Vinovo di Stupinigi), che anticamente difendeva il paese di Moncalieri: esso era possesso dei Savoia-Acaia, ramo cadetto della dinastia, ma passò sotto la proprietà di Amedeo VIII di Savoia quando l'ultimo degli Acaia morì nel 1418.
Amedeo VIII lo lasciò in proprietà nel 1439 ad un membro della famiglia, il marchese Pallavicino di Zibello, ma i Savoia ne tornarono in possesso quando Emanuele Filiberto ne reclamò la proprietà nel 1564.
Per volontà del duca, il castello e le terre adiacenti vennero lasciate all'Ordine Mauriziano.
Siccome il Gran Maestro dell'Ordine era il capo di Casa Savoia, Stupinigi era gestito direttamente da questi, e nel corso degli anni le terre adiacenti al castello erano divenute uno dei luoghi prediletti per le battute di caccia dei duchi, insieme ai boschi di Altessano (dove a metà Seicento fu costruita Venaria).
Fu Vittorio Amedeo II di Savoia a decidere la trasformazione del complesso in forme degno del titolo reale cui era ascesa Casa Savoia.
Nell'aprile 1729,quando già aveva deciso di abdicare, egli affidò il progetto a Filippo Juvarra.
Una sorta di lascito per il suo Primo architetto civile e per il figlio Carlo Emanuele III.
Formalmente la palazzina di caccia fu inaugurata alla festa di Sant’Uberto del 1731 e da allora vi si tennero numerose battute di caccia.
Tuttavia, la fabbrica fu terminata (nella sua fase juvarriana) solo con i lavori del triennio 1735-37, quando, fra l’altro, si concluse la decorazione degli appartamenti del re e della regina.
A causa della Guerra di successione polacca, tuttavia, la vera inaugurazione del complesso alla vita di corte avvenne, però, nel maggio 1739, in occasione della visita a Torino del Granduca di Toscana Francesco di Lorena, futuro imperatore del Sacro Romano Impero e fratello della regina di Sardegna Elisabetta Teresa.
È importante comprendere che nel Settecento Stupinigi non era una vera e proprio residenza,nel senso di luogo in cui sovrani e corte si trasferivano per soggiorni più o meno lunghi.
Come mostrano studi recenti, i sovrani sabaudi risiedevano a Torino solo per alcuni mesi, normalmente da Natale a Pasqua: dopo di che essi iniziavano a trasferirsi nel circuito delle residenze che circondava la capitale, alternando tali soggiorni a viaggi fuori dal Piemonte (soprattutto in Savoia e, più raramente, nel Nizzardo).
Le loro residenze principali restarono sino a fine Settecento la Venaria e Moncalieri.
Stupinigi era usata, normalmente, come palazzina di caccia, ed era luogo di brevi soggiorni, normalmente una o due notti al massimo .
Ciò spiega perché sino alla Restaurazione Stupinigi non avesse un proprio governatore (come avevano, invece, Venaria e Moncalieri). Al contrario, la carica di governatore di Stupinigi era assegnata al comandante di Venaria, cioè al numero due dell’organigramma della Reggia.
Il governatore di Venaria, infatti, rivestiva anche la carica di Gran cacciatore di Savoia e il suo vice era il Comandante dell'equipaggio. Poiché Stupinigi veniva utilizzando quasi unicamente come palazzina venatoria, e in quei casi l'equipaggio di caccia di Venaria si spostava in essa, nulla di più naturale che al comandante l'equipaggio, e numero due della Venaria, fosse assegnato di diritto il comando di Stupinigi.
I tre comandanti di Stupinigi che si succedettero fra 1751 e 1836 avevano tutti iniziato la loro carriera alla Reggia di Venaria. Paolo Giuseppe Avogadro di Casanova, comandante dal 1751 al 1769, era stato nominato «gentiluomo della Venaria» nel 1736; Luigi Ciaffaleone di Villabona, comandante dal 1777 al 1791, aveva iniziato la propria carriera a corte come «paggio della Venaria», divenendo «gentiluomo della Venaria» nel 1754; Luigi Umoglio della Vernea, ultimo comandante di Stupinigi, seguì la stessa carriera: «paggio della Venaria» (1770ca.), «gentiluomo della Venaria» (1776) e, infine, comandante nel 1791; perso il suo ruolo durante l'occupazione francese lo ricuperò alla Restaurazione, mantenendolo sino all'età carloalbertina.
Il governatore di Stupinigi, quindi, era tale in quanto Comandante dell'equipaggio, ed era sottoposto alle dirette dipendente del Governatore di Venaria e Gran cacciatore di Savoia.
Anche se le residenze di Venaria e di Moncalieri (quest'ultima soprattutto dal 1773, con l'ascesa al trono di Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda) restavano la principali sedi delle feste di corte, dagli anni Sessanta anche Stupinigi fu usata, pur se occasionalmente, per importanti ricevimenti, soprattutto in occasioni di visite di ospiti importanti.
Di grande importanza fu poi la festa del 1773 per il matrimonio tra Maria Teresa di Savoia e il conte d’Artois (il futuro re di Francia Carlo X).
Fra gli ospiti vanno ricordati almeno l'imperatore Giuseppe II, nel 1769, lo zarevic Paolo Romanov (futuro zar Paolo I) e sua moglie nel 1782, e il re di Napoli Ferdinando I di Borbone. con la moglie Carolina, nel 1785.
La costruzione si ampliò durante i regni di Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III con il contributo di altri architetti, tra i quali Prunotto, Bo e Alfieri.
Nel 1740 furono aggiunte altre due ali, ospitanti le scuderie e le rimesse agricole.
Anche Napoleone Bonaparte vi soggiornò, dal 5 maggio al 16 maggio 1805, prima di recarsi a Milano per cingere la Corona Ferrea.
Qui egli discusse con le principali cariche politiche di Torino, accogliendo il sindaco, la magistratura e il clero, con a capo il cardinale Buronzo. Sembra che il cardinale, severamente redarguito dall'imperatore per le sue presunte corrispondenze con Carlo Emanuele IV di Savoia, sia stato oggetto di una discussione che ebbe come risultato la sua sostituzione con il vescovo di Acqui Terme, monsignor Della Torre.
La carrozza di Napoleone
Nel 1832 la palazzina divenne di nuovo proprietà della famiglia reale e il 12 aprile 1842 vi fu celebrato il matrimonio tra Vittorio Emanuele II, futuro primo re d'Italia, e l'austriaca Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena.
Fu poi ceduta al demanio statale nel 1919 e nel 1925 fu restituita, con le proprietà circostanti, all'Ordine Mauriziano.
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