giovedì 7 novembre 2013
Niccolò Paganini, il violinista del diavolo
Niccolò Paganini (1782 – 1840) è senza ombra di dubbio il più grande violinista della storia, ma non solo. Era anche un uomo strano, misterioso, inquietante.
Le caratteristiche che legano il famoso artista al sovrannaturale iniziano quando è un bambino, all’età di sei anni, quando fu considerato morto in seguito ad un violento attacco di morbillo: il bambino fu avvolto nel sudario e cominciò il servizio funebre, quando, inspiegabilmente ed all’improvviso, egli fece un piccolo movimento che venne notato, e così sfuggì ad una sepoltura prematura. Miracolo? Qualcuno nell'Italia superstiziosa di allora è sicuro di si.
Quando Niccolò cresce e diventa il genio che noi oggi conosciamo, la gente inizia a far girare strane leggende su di lui.
Il suo brillante modo di suonare viene attribuito ad un "Faustiano" patto con il Demonio. Il compositore non negò mai queste illazioni, anzi, fece di tutto per incoraggiarle.
Magrissimo, pallido in modo cereo, a causa della sifilide, e gli occhi rientranti nelle orbite; vestiva sempre di nero e si presentava ai suoi concerti su di una carrozza nera a sua volta trainata da quattro cavalli neri.
Aveva perso tutta la dentatura a causa del mercurio somministrato per curare la sifilide e la bocca gli era così rientrata e naso e mento si erano avvicinati (come i vecchi senza dentiera).
Quando Paganini suonava sul palcoscenico doveva davvero sembrare ad uno scheletro in frack con un violino incastrato sotto la mascella.
Nonostante la sua brutta figura ebbe moltissime amanti.
Grazie a tutte queste caratteristiche, l’immagine di Paganini era molto attraente e tutti accorrevano a sentirlo, o forse solo a vederlo. Ebbe un grande successo locale e internazionale.
La sua apparizione faceva lievitare il prezzo del biglietto d’ingresso e la sua immagine era sfruttata per la vendita delle “caramelle Paganini”.
Era in poche parole una “star”. Tutto ciò potrebbe naturalmente stimolare l’idea che la sua fama era dovuta più all’immagine e al suo virtuosismo che al suo talento artistico nei panni di “creatore”. Ma ciò non è vero perché le sue composizioni sono comunque molto originali e profonde.
Era dotato di una tecnica straordinaria e le sue composizioni erano considerate ineseguibili da un altro violinista.
Era velocissimo, compiva salti melodici di diverse ottave, eseguiva lunghi passi con accordi che coprivano tutte e quattro le corde, alternava velocemente note eseguite con l’arco e note pizzicate con la mano sinistra.
Eseguiva anche misteriosi e spettrali armonici artificiali. Ogni tecnica era portata all’eccesso e le sue violente esecuzioni finivano quasi sempre con la volontaria e progressiva rottura delle corde e la conclusione del concerto sull’unica corda superstite, quella di sol.
Nel letto di morte Paganini rifiuta l'estrema unzione Cattolica (infatti venne sepolto in terra consacrata molti anni più tardi).
Fra le sue composizioni più famose vi sono "Il trillo del Diavolo" e "Streghe" ed un'altra leggenda macabra si annida fra le corde del suo violino, il suo Stradivari.
Si dice infatti che queste fossero state fatte con le interiora di una delle amanti del musicista, che in preda alla follia si sia fatta uccidere in nome della musica, in modo che la sua anima diventasse un tramite fra i due mondi.
Ora quel violino appartiene al fenomenale musicista ungherese Edvin Marton
'Paganini non ripete'
Tutti conoscono queste parole ormai famose in tutto il mondo, ma pochi sanno quando e dove sono state pronunciate per la prima volta.
E' il febbraio del 1818 e al Teatro Carignano di Torino Niccolò Paganini esegue uno dei suoi straordinari concerti.
Tra il pubblico vi è anche Carlo Felice che, in seguito alla performance musicale del compositore, chiede la ripetizione di un brano.
Paganini, abituato ad improvvisare la sua musica e spesso -forse esagerando- lesionandosi i polpastrelli, decide di far pervenire questo messaggio al futuro re di Savoia:
"Paganini non ripete".
Al musicista genovese, in seguito a questo 'incidente diplomatico', viene tolto il permesso di eseguire il terzo concerto, previsto dalla sua tournée.
Offeso dal regale gesto, decide di annullare i concerti programmati a Vercelli e ad Alessandria.
All'amico avvocato Germi scrive:
"La mia costellazione in questo cielo è contraria. Per non aver potuto replicare a richiesta le variazioni della seconda Accademia, il Sig. Governatore ha creduto bene sospendermi la terza..." (25 febbraio 1818)
"In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire" (11 marzo 1818)
Non sarà così però, poiché nel 1836 ritorna a Torino e ringrazia Carlo Alberto per la concessione di legittimazione del figlio Achille. Questa è la breve storia che ha determinato il successo di una della frasi più famose ereditate dal nostro passato.
La torre di Babele
La torre di Babele (in eb.: מגדל בבל - migdol bavel; Babele è sinonimo di Babilonia) è la leggendaria costruzione di cui narra la Bibbia nel libro della Genesi: 11,1-9, che presenta un importante parallelo in un poema sumerico più antico, Enmerkar e il signore di Aratta, e nel Libro dei Giubilei (10, 18-27).
Riferimenti più o meno ampi ad essa si trovano anche nelle opere di scrittori d'età ellenistica e romana: nei frammenti di Alessandro Poliistore e di Eupolemo (Eus., Præp. Ev., IX), negli Oracoli sibillini (III. 117-129), in Flavio Giuseppe (Ant. Jud., I.4.3).
« Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.
Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.
Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco".
Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento.
Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra".
Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo Il Signore disse:
"Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile.
Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro".
Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città.
Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. » (Gen. 11, 1-9)
Perché il Signore avrebbe dovuto avercela con quei poveri emigranti che finalmente avevano trovato un angolo dove finalmente stanziare?
Cosa lo fece arrabbiare tanto da confondere le lingue e disperderli sulla terra?
Prima di questo sciagurato intervento tutti gli uomini parlando la stessa lingua, si capivano e quando non ci si capisce nascono gli equivoci e di conseguenza le guerre
La religione cattolica ci ha propinato la favoletta che il Signore volesse punire l'orgoglio dell'uomo che voleva farsi Dio.
Fare costruzioni alte o altissime significa paragonarsi a Dio?
Se questa è la motivazione come mai sono in piedi le piramidi e oggi i grattacieli?
No, questa storia della Torre di Babele non mi convince
Riferimenti più o meno ampi ad essa si trovano anche nelle opere di scrittori d'età ellenistica e romana: nei frammenti di Alessandro Poliistore e di Eupolemo (Eus., Præp. Ev., IX), negli Oracoli sibillini (III. 117-129), in Flavio Giuseppe (Ant. Jud., I.4.3).
« Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.
Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.
Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco".
Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento.
Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra".
Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo Il Signore disse:
"Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro possibile.
Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro".
Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città.
Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. » (Gen. 11, 1-9)
Perché il Signore avrebbe dovuto avercela con quei poveri emigranti che finalmente avevano trovato un angolo dove finalmente stanziare?
Cosa lo fece arrabbiare tanto da confondere le lingue e disperderli sulla terra?
Prima di questo sciagurato intervento tutti gli uomini parlando la stessa lingua, si capivano e quando non ci si capisce nascono gli equivoci e di conseguenza le guerre
La religione cattolica ci ha propinato la favoletta che il Signore volesse punire l'orgoglio dell'uomo che voleva farsi Dio.
Fare costruzioni alte o altissime significa paragonarsi a Dio?
Se questa è la motivazione come mai sono in piedi le piramidi e oggi i grattacieli?
No, questa storia della Torre di Babele non mi convince
La pipa degli innamorati
Uno scavo archeologico in corso nel quartiere ebraico di Gerusalemme ha portato al ritrovamento di una curiosa pipa in ceramica.
Reca incisa la scritta in arabo: “Il cuore è la lingua per gli amanti”, che sta a significare “l’amore è la lingua degli amanti”.
Secondo Shahar Puni, dell’Autorità Israeliana per le Antichità, “Spesso durante gli scavi archeologici [scopriamo] iscrizioni monumentali (istituzionali), alcune di valore religioso, alcune che commemorano un donatore, ecc. Insieme a queste talvolta troviamo iscrizioni che sono di natura personale: versi di una poesia, complimenti e altre citazioni da cui possiamo imparare qualcosa sulla vita quotidiana e anche sulle questioni emotive tra un uomo e una donna”.
“Pipe di argilla di questo tipo erano molto comuni in epoca ottomana (16′-19′ secolo), erano usate soprattutto per fumare tabacco e persino hashish.
Le autorità ottomane avevano cercato di contrastare questa pratica, ma fallirono quando divenne chiaro che il fumo era saldamente radicato a tutti i livelli della società.
Le pipe erano inoltre utilizzate come “gioielli” da indossare su un abito, e il fumare in sé era popolare tra uomini e donne. Questa pipa era probabilmente un regalo dato a un partner”.
Reca incisa la scritta in arabo: “Il cuore è la lingua per gli amanti”, che sta a significare “l’amore è la lingua degli amanti”.
Secondo Shahar Puni, dell’Autorità Israeliana per le Antichità, “Spesso durante gli scavi archeologici [scopriamo] iscrizioni monumentali (istituzionali), alcune di valore religioso, alcune che commemorano un donatore, ecc. Insieme a queste talvolta troviamo iscrizioni che sono di natura personale: versi di una poesia, complimenti e altre citazioni da cui possiamo imparare qualcosa sulla vita quotidiana e anche sulle questioni emotive tra un uomo e una donna”.
“Pipe di argilla di questo tipo erano molto comuni in epoca ottomana (16′-19′ secolo), erano usate soprattutto per fumare tabacco e persino hashish.
Le autorità ottomane avevano cercato di contrastare questa pratica, ma fallirono quando divenne chiaro che il fumo era saldamente radicato a tutti i livelli della società.
Le pipe erano inoltre utilizzate come “gioielli” da indossare su un abito, e il fumare in sé era popolare tra uomini e donne. Questa pipa era probabilmente un regalo dato a un partner”.
La teoria dell'evoluzione? Tutto merito di Emma, la "signora Darwin
Emma Wedgwood Darwin fu una donna eccezionale e la perfetta compagna di vita di Charles, lo scienziato che cambiò radicalmente il modo in cui l’uomo guarda a sé stesso e alla natura.
Nata Wedgwood (2 maggio 1808 – 7 ottobre 1896), fu la moglie di Charles Darwin, il naturalista e scienziato inglese autore di L'origine delle specie.
Si sposarono il 29 gennaio 1839 e hanno avuto 10 figli, 3 dei quali sono morti nell'infanzia.
La biografia, indagando la vita di Emma fin dalla sua infanzia, sa rendere ragione di come e perché il loro sodalizio fu tanto stretto e fruttuoso e quanto determinante fu per l'esistenza e gli studi di Darwin.
In un periodo storico cruciale, al termine delle guerre napoleoniche e poi lungo l'era vittoriana, Emma visse in un famiglia fuori dall'ordinario, che comprendeva imprenditori, filantropi, intellettuali e politici, in cui le donne erano istruite come gli uomini e viaggiavano in tutta Europa.
Anche per questo, oltre che per l'indole determinata e curiosa, Emma fu molto più che una semplice testimone del suo tempo.
La sua educazione, il suo stile di vita, le sue idee, la sua passione per musica e letteratura la rendono vera interprete di un'epoca in evoluzione, delle sue complessità e contraddizioni, ma anche delle sue conquiste e modernità.
Per scegliere se sposarsi o meno, Charles Darwin (1809-1882), utilizzò un metodo - non a caso - scientifico: piegò un foglio per lungo, da una parte scrisse "Marry" (sposarsi), dall'altra "Not Marry" (non sposarsi). Al centro, "this is the question" (questo è il problema): un dilemma tale da scomodare Amleto.
Da scapolo avrebbe viaggiato di più e avrebbe avuto più soldi e tempo. Il matrimonio gli avrebbe dato un'amica da amare, con cui divertirsi e invecchiare. Tutto considerato, quindi, Darwin fece la sua scelta. A 29 anni, sinceramente innamorato, chiese la mano alla cugina Emma Wedgwood, che, a 30 anni, aveva già rifiutato numerosi pretendenti.
Emma, infatti, non era come le altre.
Cresciuta in una famiglia in cui le donne contavano quanto gli uomini, era abituata a viaggiare, studiare e si occupava di filantropia. Sapeva divertirsi (ballava fino all'alba nei salotti ginevrini), ma allo shopping a Londra preferiva le passeggiate nello Staffordshire. Il vecchio Josiah Wedgwood, suo nonno, oltre a un gran patrimonio frutto delle sue pregiate ceramiche amate anche dalla Zarina, gli aveva lasciato in eredità due doti: la curiosità e la tolleranza.
Sarà per questo che Emma, affascinata dai racconti del viaggio a bordo del Beagle, fatto da Charles tra il 1831 e il 1836, acconsentì a sposarlo.
Lo stesso anno in cui usciva "Viaggio di un naturalista intorno al mondo", Emma Wedgwood diventò la signora Darwin. La scelta fu giusta per Emma e Charles, che rimasero uniti anche quando morirono prematuramente 3 dei loro 10 figli, l'ultimo dei quali nacque quando Emma aveva 48 anni.
E fu un matrimonio fortunato per il progresso scientifico: non fosse stato per Emma,
Darwin difficilmente avrebbe trovato il coraggio di pubblicare le sue teorie sull'evoluzione, così sconvolgenti che lui stesso, in una lettera del 1844 all'amico e botanico Joseph Hooker, scrisse che farne parola era come "confessare un delitto".
Emma era una fervente unitariana (l'Unitarianesimo è un movimento religioso cristiano che rifiuta l'idea di Trinità in favore dell'unicità di Dio come persona): credendo nella vita oltre la morte sperava di riunirsi alla sorella Fanny, morta a 26 anni per una malattia.
Ma allo stesso tempo capì la portata delle idee del marito e lo aiutò a fare ordine tra le migliaia di pagine di appunti, ma soprattutto tra i dubbi che lo laceravano così tanto da farlo soffrire di ansia e malesseri continui.
Nata Wedgwood (2 maggio 1808 – 7 ottobre 1896), fu la moglie di Charles Darwin, il naturalista e scienziato inglese autore di L'origine delle specie.
Si sposarono il 29 gennaio 1839 e hanno avuto 10 figli, 3 dei quali sono morti nell'infanzia.
La biografia, indagando la vita di Emma fin dalla sua infanzia, sa rendere ragione di come e perché il loro sodalizio fu tanto stretto e fruttuoso e quanto determinante fu per l'esistenza e gli studi di Darwin.
In un periodo storico cruciale, al termine delle guerre napoleoniche e poi lungo l'era vittoriana, Emma visse in un famiglia fuori dall'ordinario, che comprendeva imprenditori, filantropi, intellettuali e politici, in cui le donne erano istruite come gli uomini e viaggiavano in tutta Europa.
Anche per questo, oltre che per l'indole determinata e curiosa, Emma fu molto più che una semplice testimone del suo tempo.
La sua educazione, il suo stile di vita, le sue idee, la sua passione per musica e letteratura la rendono vera interprete di un'epoca in evoluzione, delle sue complessità e contraddizioni, ma anche delle sue conquiste e modernità.
Per scegliere se sposarsi o meno, Charles Darwin (1809-1882), utilizzò un metodo - non a caso - scientifico: piegò un foglio per lungo, da una parte scrisse "Marry" (sposarsi), dall'altra "Not Marry" (non sposarsi). Al centro, "this is the question" (questo è il problema): un dilemma tale da scomodare Amleto.
Da scapolo avrebbe viaggiato di più e avrebbe avuto più soldi e tempo. Il matrimonio gli avrebbe dato un'amica da amare, con cui divertirsi e invecchiare. Tutto considerato, quindi, Darwin fece la sua scelta. A 29 anni, sinceramente innamorato, chiese la mano alla cugina Emma Wedgwood, che, a 30 anni, aveva già rifiutato numerosi pretendenti.
Emma, infatti, non era come le altre.
Cresciuta in una famiglia in cui le donne contavano quanto gli uomini, era abituata a viaggiare, studiare e si occupava di filantropia. Sapeva divertirsi (ballava fino all'alba nei salotti ginevrini), ma allo shopping a Londra preferiva le passeggiate nello Staffordshire. Il vecchio Josiah Wedgwood, suo nonno, oltre a un gran patrimonio frutto delle sue pregiate ceramiche amate anche dalla Zarina, gli aveva lasciato in eredità due doti: la curiosità e la tolleranza.
Sarà per questo che Emma, affascinata dai racconti del viaggio a bordo del Beagle, fatto da Charles tra il 1831 e il 1836, acconsentì a sposarlo.
Lo stesso anno in cui usciva "Viaggio di un naturalista intorno al mondo", Emma Wedgwood diventò la signora Darwin. La scelta fu giusta per Emma e Charles, che rimasero uniti anche quando morirono prematuramente 3 dei loro 10 figli, l'ultimo dei quali nacque quando Emma aveva 48 anni.
E fu un matrimonio fortunato per il progresso scientifico: non fosse stato per Emma,
Darwin difficilmente avrebbe trovato il coraggio di pubblicare le sue teorie sull'evoluzione, così sconvolgenti che lui stesso, in una lettera del 1844 all'amico e botanico Joseph Hooker, scrisse che farne parola era come "confessare un delitto".
Emma era una fervente unitariana (l'Unitarianesimo è un movimento religioso cristiano che rifiuta l'idea di Trinità in favore dell'unicità di Dio come persona): credendo nella vita oltre la morte sperava di riunirsi alla sorella Fanny, morta a 26 anni per una malattia.
Ma allo stesso tempo capì la portata delle idee del marito e lo aiutò a fare ordine tra le migliaia di pagine di appunti, ma soprattutto tra i dubbi che lo laceravano così tanto da farlo soffrire di ansia e malesseri continui.
Mangrovie, un ecosistema in pericolo
Le mangrovie sono un ecosistema unico ed essenziale, composto di alberi e caratterizzato da una notevole diversità biologica.
Presenti nelle aree circostanti le foci dei fiumi e lungo le coste tropicali, le mangrovie non rappresentano solo una difesa naturale (ad esempio contro le inondazioni), ma sono altresì aree di riproduzione per molti pesci, ed enormi riserve di carbonio. La progressiva perdita di questo peculiare quanto fondamentale ecosistema unico rischia di tradursi in un grave pericolo per il clima e l’ambiente, ma altresì per l’economia.
Da uno studio denominato “Atlante Mondiale delle Mangrovie”, realizzato con l’obiettivo di giungere ad una valutazione complessiva dello stato di conservazione di tale ecosistema, è affiorato che, a partire dal 1980, si è assistito ad una progressiva e crescente diminuzione delle mangrovie su scala globale. Si calcola infatti che sono scomparse circa una quinta parte di tutte le mangrovie del pianeta.
Nel complesso circa 70 specie di mangrovie si trovano in 123 paesi tropicali e territori sub-tropicali, ma occupano solo 152,000 km quadrati in totale – una superficie leggermente più grande del Nepal.
Dal 1980, il mondo ha perso circa un quinto delle foreste di mangrovie e una fetta considerevole dell’esistente è degradata: la conversione di mangrovie costiere per l’acquacoltura ne rappresenta la causa principale.
Secondo il rapporto si stima che circa il 38% della perdita di mangrovie globale può essere attribuito alla compensazione delle mangrovie per la cultura di gamberetti, mentre un altro 14% è imputabile ad altre forme di acquacoltura.
Tale conversione su larga scala ha avuto gravi e negative ripercussioni sull’ambiente: in regioni dove la pesca intorno alle mangrovie è un’attività che fornisce cibo ed è fonte di reddito per milioni di persone, gli impatti socio-economici di questa conversione sono notevoli.
Inoltre, la deforestazione, gli scarichi agricoli, urbani e industriali, le perdite di petrolio, il dragaggio mal gestito e lo sviluppo costiero, continueranno a prendere un pesante tributo: il rischio è quello di assistere ad un notevole e irreversibile declino economico ed ecologico.
I cambiamenti climatici aggraveranno le pressioni esistenti. Secondo gli autori tra il 5 e il 20% delle zone umide costiere (comprese le mangrovie) andrà perso a causa dell’aumento del livello del mare entro il 2080.
Oggi vi è una crescente consapevolezza dell’importanza delle mangrovie e per questo si stanno compiendo sforzi, da parte dei governi e delle comunità, per ripristinare o ripiantare le mangrovie, così come per migliorare i sistemi giuridici per regolamentarne l’uso futuro.
Le foreste di mangrovie agiscono come riserve di carbonio altamente efficaci, forniscono legname e legna da ardere di valore eccellente, agiscono come una forma di naturale difesa delle coste, riducono il fenomeno dell’erosione, attenuando le onde e riducendo l’altezza di mareggiate.
Numerose valutazioni economiche, attualmente in corso, rivelano i notevoli benefici in termini ecosistemici, anche da singoli servizi quali la pesca.
La Matang Mangrove Forest Reserve in Malesia è il miglior esempio di ecosistema di mangrovie gestito in modo sostenibile. Fondata nel 1902, si estende su una superficie di circa 500 km quadrati, circa il 73% dei quali è considerata foresta produttiva, mentre il resto è classificato come non produttiva o protetta.
Sono consentite esclusivamente le pratiche non distruttive di silvicoltura, la pesca e l’acquacoltura.
L’Atlante Mondiale descrive gli strumenti e le misure immediatamente disponibili per conservare e gestire gli ecosistemi di mangrovie, mettendo in evidenza alcuni esempi tra i più efficaci, suggerendo la necessità di migliorare le strutture legali e politiche, gli strumenti di gestione e di raccolta dati e informazioni, così come gli incentivi economici per promuovere un maggiore comportamento eco-responsabile ed elevare le condizioni di vita a livello locale.
Lo studio evidenzia l’importanza di adottare un’azione globale coordinata in base ad accordi relativi alle biodiversità, alle zone umide, allo sviluppo sostenibile e al cambiamento climatico.
Oggi vi è una chiara comprensione degli interventi di gestione necessari per garantire il futuro delle mangrovie ed esistono numerosi esempi di successo in tutto il mondo, avvalorati da solide e convincenti argomentazioni economiche.
La tendenze della perdita di mangrovie può essere rapidamente rallentata con una buona gestione, con l’adozione di leggi specifiche e con la creazione di un contesto chiaro, con l’obiettivo di invertire i modelli di perdita e produrre notevoli benefici intorno a molte zone costiere.
E’ auspicabile che questo studio possa stimolare un maggiore interesse da parte dei politici in merito al destino di questi preziosi ecosistemi.
Nadia Fusar Poli
http://gaianews.it/
Le cicale periodiche
Esistono moltissime specie di cicale, ma una delle più conosciute è quella periodica che emerge dal terreno ogni 17 anni
I maschi producono il caratteristico suono con membrane vibranti situate nell’addome.
I suoni variano notevolmente e alcune specie sono più musicali di altre.
Gli insetti usano richiami diversi a seconda che debbano lanciare un allarme o attrarre potenziali partner.
Puntuali come sempre le cicale periodiche, chiamate "magic-cicadas" cicale magiche,compaiono ogni 17 anni invadendo gli Stati Uniti questi insetti che hanno la peculiare caratteristica di vivere come una ninfa (in stato post-embrionale) sotto il terreno per 17 anni precisi, per poi uscire tutte insieme, magicamente, alla fine del mese di maggio.
Milioni di cicale periodiche che, al segnale convenuto emergeranno dal suolo entro la fine del mese di maggio; rumorosissime, utilizzeranno il loro canto nella fase di accoppiamento una volta accoppiatesi e aver deposto le uova, tornano nelle profondità del terreno.
I ricercatori hanno formulato due ipotesi sul meccanismo genetico che spinge le cicale periodiche a mantenere questo preciso e matematico comportamento: la prima ipotesi è che i tempi di nascita della covata così lunghi sia un meccanismo di difesa da predatori
Secondo uno studio del 2004 dell’Università di Campinas, in Brasile, una cicala con un ciclo di 17 anni ed una con un ciclo di due si incontrano solo due volte ogni secolo, riducendo così al minimo i rischi per la sopravvivenza della specie.
Iscriviti a:
Post (Atom)