giovedì 17 gennaio 2013
Le meraviglie della natura
Bambino, non temere le ombre, ti fanno apprezzare la luce.
Non temere la notte, ti regala le stelle e favole nei sogni.
Non temere gli errori, ti insegnano la giustizia.
Non temere il dolore, ti faranno uomo
- Maria Savasta
Non temere la notte, ti regala le stelle e favole nei sogni.
Non temere gli errori, ti insegnano la giustizia.
Non temere il dolore, ti faranno uomo
- Maria Savasta
La misteriosa fine di Mohenjo-Daro
La spedizione archeologica che ha scavato i resti di Mohenjo-Daro (potete trovare i riferimenti alla città in tutti i libri di storia, la sua fine è ancora avvolta nel mistero) si è trovata di fronte ad una citta molto estesa.
Non chiare sono le cause della sua distruzione, certi sono però i reperti ritrovati sul luogo: nessuna traccia di sconvolgimenti climatici (terremoti o alluvioni) resti di armi o scheletri di persone uccise (quindi guerre) .
Gli archeologi furono perplessi.....secondo le loro analisi la catastrofe fu immediata e non durò molto... Davneport e Vincenti due scienziati al seguito delle spedizioni formularono una teoria sorprendete: la citta fu rasata al suolo da un esplosione nucleare o qualcosa di simile.....
Trovarono ampi strati di vetro "verde" quello che si forma quando il terreno e la sabbia si fondono a temperature altissime (e si raffreddano ed induriscono subito dopo) in seguito ad ogni esplosione nucleare testata dall'uomo (per esempio nel deserto del Nevada).
Le analisi moderne portarono alla luce che molti resti dell'antica città si fusero ad altissimi temperature (almeno 1500 gradi) , si trovò anche l'epicentro della supposta esplosione da dove tutte le case furono disintegrate sino alle fondamenta...decine e decine di scheletri furono trovati nell'area di Mohenjo Daro con un livello di radioattività che superava il livello normale di 50 volte (!!!)
Il Mahabharata, il testo epico dell'antica India, riporta in un capitolo di un guscio che "friggeva" fuoco senza generare fumo...quando questo guscio toccò il terreno l'oscurità coprì il cielo , uragani e tempeste rasarono al suolo la città, un orribile esplosione brucio migliaia di animali e persone in cenere....Contadini, uomini di città e guerrieri per giorni cercano di pulire grazie all'aiuto del fiume le polveri velenose....
Questo mistero è tutt'ora irrisolto , l'archeologia tradizionale continua a ritenere miti tutti i testi antichi scritti e sopravvissuti per migliaia di anni. Tutte le leggende sui diluvi, le incongruenze nei libri vedici che parlano di astronavi e simili esplosioni vengono tenute da parte e non considerate; gli scritti Maya (che ricordiamo avevano la capacità di costruire un calendario molto più accurato del nostro) e tutte le profezie dei popoli antichi vengono sistematicamente ignorate.
Fonte Nibiru
L'HOMO ALAOUITE
Sembra proprio un teschio umano, l'unica differenza è che questo è minuscolo: alto solamente 6,1 centimetri e largo 3,9. Si tratta di un piccolo teschio, ritenuto autentico e risalente a 360 milioni di anni fa, rinvenuto nel deserto di Tafilalet nel giugno 2005 dal professor Mohammed Zarouit, di nazionalità marocchina.
Secondo lo studioso si tratterebbe del cranio fossile di una specie di homo vissuta in un periodo ancora per molti versi sconosciuto. Infatti, 360 milioni di anni fa non esistevano nemmeno i dinosauri ancora. I grandi rettili avrebbero fatto la loro comparsa sulla Terra ben 100 milioni di anni più tardi, almeno secondo gli esiti degli studi della scienza paleontologica.
Se ciò fosse vero, se effettivamente una simile specie di homo visse sulla Terra, potremmo supporne anche uno sviluppo, il quale avrebbe portato poi alla nascita dell'uomo come lo conosciamo, ovvero, degli antichi Australopithecus.
Se effettivamente l'Homo alaouite (così è stata battezzata questa specie umana) è da collocarsi all'origine della nostra catena evolutiva, allora dovremmo supporre una certa continuazione culturale a partire da lui fino ad arrivare al moderno homo sapiens. Di conseguenza, potremmo ritenere plausibili le pietre di Ica o le statuette di Acambaro, raffiguranti in entrambi i casi uomini e dinosauri insieme, una cosa ritenuta impossibile fino a oggi, visto che i primi Australopitechi si pensa siano comparsi sulla Terra circa 6 milioni di anni fa, 60 milioni di anni dopo l'estinzione di massa dei grandi rettili.
Ma viene da chiederci: chi c'era prima degli Australopitechi? In effetti, l'Homo alaouite, viste le sue ridotte proporzioni, potrebbe collocarsi in un periodo precedente gli ominidi già conosciuti, come rappresentante di un'umanità primitica dimenticata, ma per logica possibile.
Il piccolo cranio ritrovato in Marocco presenta 32 denti, rientrando così senza alcun dubbio nella specie umana. Se questo minuscolo reperto è effettivamente autentico, acquistano un senso certi reperti ritenuti dagli studiosi "anacronistici", i cosiddetti Ooparts, o "Oggetti fuori posto", che non dovrebbero esistere ma ci sono. Lenti molate e sfere metalliche conservate nel carbon fossile e risalenti a milioni di anni prima della comparsa dei primi ominidi conosciuti, ad esempio. Oppure, impronte di sandali conservate negli stessi strati di terreno datati al periodo giurassico. Chi camminava con i dinosauri?
Gli scienziati hanno sempre negato la possibilità che una specie umanoide potesse già esistere anche solo 65 milioni di anni fa, figuriamoci nel Giurassico! Ma se consideriamo il cranio dell'Homo alaouite, allora potremmo rivedere questi Ooparts non più come imbarazzanti reperti da nascondere negli scantinati dei musei, bensì come prove dell'esistenza di una specie umana precedente a quelle già conosciute.
Un'altra caratteristica interessante di questo teschio è la posizione del foro occipitale al di sotto dello stesso, il cui ci rivela un'altra importante informazione: l'Homo alaouite era bipede, camminava su due gambe, proprio come noi! A tal proposito sarà bene ricordare un altro ritrovamento simile.
David Hatcher Childress ce ne parla nel suo libro Technology of the Gods (Le scoperte scientifiche delle antiche civiltà):
«Nell'ottobre del 1932, due cercatori d'oro stavano lavorando in un burrone, ai piedi delle Pedro Mountains [nel Wyoming], quando notarono qualcosa di "colorato" nella parete di roccia del burrone» I minatori fecero saltare la parete con la dinamite e scoprirono una piccola cavità nel granito solido, larga appena 1,30 metri, alta 1,30 metri, profonda circa 4,60 metri. Quando il fumo dell'esplosione si fu dileguato e la polvere depositata, i minatori si abbassarono e guardarono nell'apertura: quello che videro li fece rimanere letteralmente senza fiato! Si ritrovarono faccia a faccia con una minuscola mummia di creatura umana!Stava seduta su una piccola sporgenza con le gambe incrociate e le braccia chiuse in grembo. Era di colore marrone scuro, profonde rughe solcavano il suo volto che, per alcune sue caratteristiche, sembrava piuttosto quello di una scimmia . La mummia era incredibilmente piccola, alta non più di 36 centimetri!
Gli scienziati la esaminarono ai raggi X: era appena alta 36 cm e non pesava più di 350 gr. Le analisi dimostrarono senza ombra di dubbio che la mummia era stata una persona adulta e i biologi dichiararono che al momento del decesso aveva non più di 65 anni di età. Inoltre, i raggi X rivelarono tutta una serie di denti, un cranio minuscolo, la spina dorsale integra, costole, gambe e braccia completamente formate. La mummia non era il risultato di una burla ben congegniata, ma un'entità biologica vera e propria con caratteristiche normali sebbene in miniatura (...). La mummia rimase in esposizione a Casper per molti anni per poi sparire facendo perdere le sue tracce, e tutt'oggi non si sa nulla di dove possa essere andata a finire»
La mummia delle Pedro Mountains era forse quella di un altro rappresentante della misteriosa specie alaouite?
Non possiamo dirlo con certezza, ma tutti i dati in nostro possesso potrebbero condurci in questa direzione.
Solo il tempo potrà aiutaci a porre la parola "fine" a questo intrigante enigma.
Giorgio Pastore
La Lupa capitolina è medievale
Più giovane di 17 secoli. La Lupa capitolina, statua simbolo di Roma, raffigurata mentre allatta i gemelli Romolo e Remo, è stata creata nel Medioevo.
Cioè 1.700 anni più tardi di quanto di era ritenuto finora: la scultura dunque non è etrusca, non è stata realizzata nel V secolo avanti Cristo.
Ma tra l’XI e il XII dopo Cristo. Sono gli studi più recenti condotti sulla Lupa a chiudere la querelle sulla sua datazione, che anche di recente ha diviso restauratori e storici dell’arte."La tesi è che sia la copia medievale di un originale etrusco". «Il dibattito scientifico dura da secoli, almeno da Winckelmann in poi – ha commentato Broccoli – e a mio parere una risposta definitiva non verrà mai.
Per cambiare la data di nascita della Lupa, gli esami sono iniziati 1996, con l’avvio del restauro, e sono proseguiti tra il 2009 ed il 2011.
La tecnica della spettrometria di massa con acceleratore ha permesso di estrarre e analizzare campioni organici adatti alla datazione con il radiocarbonio.
In particolare sono stati esaminati numerosi campioni di resti vegetali dalle terre di fusione utilizzate per realizzare la statua.
Da questi test sono emersi una serie di dati che hanno consentito, tramite una combinazione statistica, di spostare l’origine della Lupa al medioevo. L’università del Salento, che ha eseguito le analisi, ritiene che l’attribuzione all’XI-XII secolo sia attendibile al 95,4%.
Corriere della Sera
Cioè 1.700 anni più tardi di quanto di era ritenuto finora: la scultura dunque non è etrusca, non è stata realizzata nel V secolo avanti Cristo.
Ma tra l’XI e il XII dopo Cristo. Sono gli studi più recenti condotti sulla Lupa a chiudere la querelle sulla sua datazione, che anche di recente ha diviso restauratori e storici dell’arte."La tesi è che sia la copia medievale di un originale etrusco". «Il dibattito scientifico dura da secoli, almeno da Winckelmann in poi – ha commentato Broccoli – e a mio parere una risposta definitiva non verrà mai.
Per cambiare la data di nascita della Lupa, gli esami sono iniziati 1996, con l’avvio del restauro, e sono proseguiti tra il 2009 ed il 2011.
La tecnica della spettrometria di massa con acceleratore ha permesso di estrarre e analizzare campioni organici adatti alla datazione con il radiocarbonio.
In particolare sono stati esaminati numerosi campioni di resti vegetali dalle terre di fusione utilizzate per realizzare la statua.
Da questi test sono emersi una serie di dati che hanno consentito, tramite una combinazione statistica, di spostare l’origine della Lupa al medioevo. L’università del Salento, che ha eseguito le analisi, ritiene che l’attribuzione all’XI-XII secolo sia attendibile al 95,4%.
Corriere della Sera
Tra il serio e il faceto
Uno dei termini più usati, e abusati, degli ultimi tempi è senza dubbio “spread”. Ma cosa si vuole intendere con questo termine? Tutti ne parlano, ma, probabilmente, non tutti sanno di cosa si tratta.
Lo spread è un numero che sta ad indicare un differenziale. In finanza, il termine spread può significare molte cose, ma quando ne sentiamo parlare in questo periodo è per esprimere la differenza tra due tassi di interesse, ossia quelli sui titoli pubblici. Naturalmente, di tassi sui titoli pubblici ce ne sono di vari tipi.
Qual è quello che ci interessa? Entrando nello specifico, diciamo che prendiamo in considerazione la differenza tra il rendimento dei Bund tedeschi e i nostri Btp decennali, ossia i Buoni del Tesoro Pluriennali. Di entrambi i titoli pubblici si prendono in considerazione i tassi a 10 anni. In altre parole, per sintetizzare, diciamo che quando si parla di spread si prende in considerazione la differenza tra i due tassi di cui sopra, ossia il divario tra BTP e Bund a 10 anni.
Detto questo, come si calcola? Si prende un Btp a 10 anni, se ne calcola il rendimento a scadenza, si fa la medesima cosa con il Bund tedesco e, in seguito, si fa la differenza tra i due valori ottenuti. In tutto questo si deve tenere sempre in mente un punto fondamentale: il rendimento di un titolo di Stato, come sono appunto Bund e Btp, dipende i primo luogo dal suo livello di rischio. In altre parole, se il rendimento è alto, si alza anche il pericolo che, alla scadenza, l’emittente non rimborsi il capitale. Detto questo, è facile capire perché, se lo spread sale ci si preoccupa, mentre se scende no. Se aumenta, significa che il rendimento dei nostri titoli di Stato Btp sta aumentando, mentre il Bund è un’obbligazione ritenuta sicura. Il tutto influisce sul mercato che vede con occhio diverso il nostro titolo di Stato, alla luce del fatto che si configura come meno sicuro rispetto a quello tedesco.
Tutto ciò pesa sul giudizio che i mercati hanno del nostro Paese che, quindi, potrebbe rischiare un default.Inoltre, quando lo spread Bund Btp aumenta, i nostri titoli di Stato perdono prezzo e, quindi, i mercati li percepiscono come pericolosi e non li acquistano. Questo giustifica tutta l’attenzione che, nell’ultimo periodo ma non solo, c’è attorno alla questione.
Il gioco della pelota
Il gigantesco campo per il Gioco della Pelota lascia lo spettatore stupefatto: la corte misura circa 170 metri di lunghezza e circa 50 metri di larghezza, mentre i muri laterali - verticali e ornati da una fascia a forma di serpente - sono alti quasi 8 metri; gli anelli sono fissati ad un’altezza di 7 metri e mezzo.
Guardando quei bersagli così alti viene spontaneo chiedersi come i giocatori potessero lanciare la pesante palla di caucciù fino lassù senza usare le mani, colpendola soltanto con i gomiti, le ginocchia e i fianchi.
Nel gioco della pelota di Chichén Itzá si fronteggiavano due squadre formate da sette elementi ciascuna e le loro immagini sono immortalate sui rilievi che corrono lungo la base dei muri: vediamo i giocatori protetti da larghe cinture che coprivano le parti vulnerabili, dalle anche alle ascelle, e da paracolpi sulle braccia e sulle ginocchia, e molte scene mostrano il rituale sacrificio dei perdenti per decapitazione.
Sui lati nord e sud il Campo era delimitato da ampie piattaforme con due templi dedicati al Sole e alla Luna, anch’essi coperti interamente da bassorilievi.
Il tempio dei giaguari
La grande Pelota è uno dei nove campi esistenti a Chichén Itzá ed è il più grande di tutta la Mesoamerica. Addossata al muro esterno si trova una piramide tronca, chiamata Tempio dei Giaguari, che nella parte bassa possiede una camera decorata da rilievi nella quale è esposto un trono di pietra a forma di giaguaro.
La sala superiore, sorretta da due giganteschi serpenti a sonagli, era adibita a stanza rituale durante i giochi.
Poco oltre il Campo della Pelota i Toltechi costruirono la piattaforma dello Tzompantli e quella della Casa delle Aquile. Sullo Tzompantli, o muro dei crani, venivano esibiti i teschi dei giocatori sacrificati: i Toltechi avevano introdotto questo rito crudele nel mondo maya, in cui esisteva sì il sacrificio umano, ma non aveva mai raggiunto livelli così ossessivi.
L’importanza del sacrificio di sangue nelle società guerriere appare chiaro anche dai rilievi che decorano la Casa delle Aquile, dove giaguari e rapaci - entrambi rappresentanti gli ordini militari, nonché rispettivamente simboli del Sole notturno e del Sole diurno - divorano cuori umani.
Il sacro Gioco della Palla è stato praticato da tutte le culture mesoamericane.
I primi campi da gioco risalgono alla civiltà Olmeca, la più antica del Messico, e il rituale venne poi trasmesso ai Maya, agli Zapotechi, ai Totonachi e agli Aztechi.
Il gioco è legato al culto del Sole che deve rinascere ogni giorno abbandonando le tenebre: il campo da gioco rappresenta la terra, mentre la palla simboleggia il sole, per cui il giocatore che lascia cadere la palla deve essere sacrificato perché ha impedito al sole di sorgere nuovamente.
La palla era di resina gommosa, poco più grande di una nostra boccia, e doveva rimbalzare tra i giocatori che non potevano usare le mani, ma soltanto le natiche, i fianchi e i gomiti.
I bersagli erano dischi di pietra o anelli fissati in alto sulle pareti laterali.
A seconda della tradizione locale i giocatori erano vestiti con costumi particolari: gli Zapotechi portavano un casco a forma di testa di giaguaro, dei lunghi guanti, pantaloni corti, fasce di cotone e ginocchiere.
Nella cultura di El Tajín - che possiede ben quattordici Campi per la Pelota - la corazza protettiva era costituita da paracolpi sui fianchi, sul petto, sulle ginocchia e sui gomiti.
Guardando quei bersagli così alti viene spontaneo chiedersi come i giocatori potessero lanciare la pesante palla di caucciù fino lassù senza usare le mani, colpendola soltanto con i gomiti, le ginocchia e i fianchi.
Nel gioco della pelota di Chichén Itzá si fronteggiavano due squadre formate da sette elementi ciascuna e le loro immagini sono immortalate sui rilievi che corrono lungo la base dei muri: vediamo i giocatori protetti da larghe cinture che coprivano le parti vulnerabili, dalle anche alle ascelle, e da paracolpi sulle braccia e sulle ginocchia, e molte scene mostrano il rituale sacrificio dei perdenti per decapitazione.
Sui lati nord e sud il Campo era delimitato da ampie piattaforme con due templi dedicati al Sole e alla Luna, anch’essi coperti interamente da bassorilievi.
Il tempio dei giaguari
La grande Pelota è uno dei nove campi esistenti a Chichén Itzá ed è il più grande di tutta la Mesoamerica. Addossata al muro esterno si trova una piramide tronca, chiamata Tempio dei Giaguari, che nella parte bassa possiede una camera decorata da rilievi nella quale è esposto un trono di pietra a forma di giaguaro.
La sala superiore, sorretta da due giganteschi serpenti a sonagli, era adibita a stanza rituale durante i giochi.
Poco oltre il Campo della Pelota i Toltechi costruirono la piattaforma dello Tzompantli e quella della Casa delle Aquile. Sullo Tzompantli, o muro dei crani, venivano esibiti i teschi dei giocatori sacrificati: i Toltechi avevano introdotto questo rito crudele nel mondo maya, in cui esisteva sì il sacrificio umano, ma non aveva mai raggiunto livelli così ossessivi.
L’importanza del sacrificio di sangue nelle società guerriere appare chiaro anche dai rilievi che decorano la Casa delle Aquile, dove giaguari e rapaci - entrambi rappresentanti gli ordini militari, nonché rispettivamente simboli del Sole notturno e del Sole diurno - divorano cuori umani.
Il sacro Gioco della Palla è stato praticato da tutte le culture mesoamericane.
I primi campi da gioco risalgono alla civiltà Olmeca, la più antica del Messico, e il rituale venne poi trasmesso ai Maya, agli Zapotechi, ai Totonachi e agli Aztechi.
Il gioco è legato al culto del Sole che deve rinascere ogni giorno abbandonando le tenebre: il campo da gioco rappresenta la terra, mentre la palla simboleggia il sole, per cui il giocatore che lascia cadere la palla deve essere sacrificato perché ha impedito al sole di sorgere nuovamente.
La palla era di resina gommosa, poco più grande di una nostra boccia, e doveva rimbalzare tra i giocatori che non potevano usare le mani, ma soltanto le natiche, i fianchi e i gomiti.
I bersagli erano dischi di pietra o anelli fissati in alto sulle pareti laterali.
A seconda della tradizione locale i giocatori erano vestiti con costumi particolari: gli Zapotechi portavano un casco a forma di testa di giaguaro, dei lunghi guanti, pantaloni corti, fasce di cotone e ginocchiere.
Nella cultura di El Tajín - che possiede ben quattordici Campi per la Pelota - la corazza protettiva era costituita da paracolpi sui fianchi, sul petto, sulle ginocchia e sui gomiti.
Le civiltà che ci hanno preceduto erano più tecnologiche della nostra?
Queste sono costruzioni realizzate mediante l'uso di giganteschi blocchi irregolari estratti da cave a volte distanti dal sito centinaia o migliaia di chilometri.
Macigni ricavati dalle pietre più dure e più pesanti al mondo, trasportati non si sa come attraverso vie impossibili per essere poi incastrati perfettamente tra loro senza l'uso di malta.
Il risultato lo possiamo ammirare ancora oggi tra i resti archeologici di queste meravigliose mura a "secco", dove le pietre risultano praticamente saldate tra loro con una tecnica ancora sconosciuta.
I massi ciclopici così incastonati sono riusciti a resistere a tutti i danni prodotti dal tempo.
Questo, assieme alla precisione, portò gli edifici ad avere un'impareggiabile resistenza sismica grazie all'alta staticità ed alla continuità dinamica, l'assenza di frequenze risonanti e di punti di effetto intaglio.
Nel corso di un terremoto di magnitudo bassa o media, gli edifici erano stabili, e durante uno forte i blocchi di pietre "ballavano" attorno alla loro normale posizione atterrando esattamente nello stesso ordine dopo il terremoto.
Possiedono quindi caratteristiche di solidità e di resistenza notevolmente superiori a qualsiasi altra tecnica di costruzione moderna.
Le pietre angolari di queste antiche costruzioni presentano poi delle caratteristiche davvero uniche, in quanto furono levigate e curvate fino a formare un angolo perfetto su un unico enorme blocco incassato magistralmente nel resto della costruzione.
Teniamo presente che, se volessimo riprodurre mura del genere in epoca moderna, dovremmo ricorrere a tutte le ultime tecnologie con un dispendio enorme di capitali.
Queste mura hanno presumibilmente circa 3.000 anni.
Ciò che più sbalordisce è che tali opere non sono solo eccezionalmente antiche, ma sono per giunta attribuite a popoli che non conoscevano neppure la ruota e avevano attrezzi rudimentali.
Non da sottovalutare che tra una pietra e l'altra non è possibile infilare nemmeno una carta velina.
Macigni ricavati dalle pietre più dure e più pesanti al mondo, trasportati non si sa come attraverso vie impossibili per essere poi incastrati perfettamente tra loro senza l'uso di malta.
Il risultato lo possiamo ammirare ancora oggi tra i resti archeologici di queste meravigliose mura a "secco", dove le pietre risultano praticamente saldate tra loro con una tecnica ancora sconosciuta.
I massi ciclopici così incastonati sono riusciti a resistere a tutti i danni prodotti dal tempo.
Questo, assieme alla precisione, portò gli edifici ad avere un'impareggiabile resistenza sismica grazie all'alta staticità ed alla continuità dinamica, l'assenza di frequenze risonanti e di punti di effetto intaglio.
Nel corso di un terremoto di magnitudo bassa o media, gli edifici erano stabili, e durante uno forte i blocchi di pietre "ballavano" attorno alla loro normale posizione atterrando esattamente nello stesso ordine dopo il terremoto.
Possiedono quindi caratteristiche di solidità e di resistenza notevolmente superiori a qualsiasi altra tecnica di costruzione moderna.
Le pietre angolari di queste antiche costruzioni presentano poi delle caratteristiche davvero uniche, in quanto furono levigate e curvate fino a formare un angolo perfetto su un unico enorme blocco incassato magistralmente nel resto della costruzione.
Teniamo presente che, se volessimo riprodurre mura del genere in epoca moderna, dovremmo ricorrere a tutte le ultime tecnologie con un dispendio enorme di capitali.
Queste mura hanno presumibilmente circa 3.000 anni.
Ciò che più sbalordisce è che tali opere non sono solo eccezionalmente antiche, ma sono per giunta attribuite a popoli che non conoscevano neppure la ruota e avevano attrezzi rudimentali.
Non da sottovalutare che tra una pietra e l'altra non è possibile infilare nemmeno una carta velina.
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