Nella Spagna medievale e rinascimentale, come in tutti gli altri paesi europei dell’epoca, non esistevano né una capitale fissa né tantomeno un palazzo reale. I sovrani trasportavano la loro corte, nelle varie città del regno secondo il momento e la necessità, anche perché lo stato unitario recentemente costituito necessitava nelle varie regioni del controllo e della presenza costante del re. Questo “nomadismo reale” durerà in Spagna fino ai “re cattolici”, Isabella e Ferdinando e al loro nipote ed erede, Carlo, V come imperatore del Sacro Romano Impero, I come re della Spagna unificata dal 1516 al 1556. Carlo, che concentra nelle sue mani un potere enorme esteso su due terzi d’Europa, viaggia moltissimo e nel regno, ereditato dalla madre Giovanna la Pazza, non ha fissa dimora. Sarà suo figlio, Filippo II (1527-1598) a elevare al rango di capitale la città di Madrid, fino a quel momento grosso borgo di media importanza, ma situato strategicamente al centro della penisola iberica. Parallelamente e complementariamente alla scelta della nuova capitale, il sovrano decide di costruire per sé e per la sua dinastia un “palazzo-monastero” che sia residenza, luogo di preghiera e di sepoltura, una sorta di “città proibita”, isolata in mezzo alla sierra.
Palazzo reale, tempio celebrativo della monarchia spagnola, monastero e pantheon della famiglia reale, il monumentale Escorial è un edificio unico nel suo genere. Il complesso architettonico collocato ai piedi della Sierra de Guadarrama a quarantacinque chilometri da Madrid, è di una grandiosa maestà, ma anche di un’austera freddezza e nel suo insieme ben interpreta l’animo della Spagna cinquecentesca. L’Escorial, alla cui realizzazione lavorarono, tra gli altri, Pellegrino Tibaldi, Pompeo Leoni, gli Zuccari, Tiziano e El Greco, comprende 2000 stanze, 16 cortili, 15 chiostri, 86 scale, 9 torri, 88 fontane e 300 celle per i monaci. Nel palazzo, iniziato nel 1563 e terminato nel 1584, convivono fianco a fianco la grandiosità e lo sfarzo della corte spagnola nel “secolo d’oro”, ma anche lo spirito complesso e oscuro di Filippo II, il quale dedica l’annesso monastero a S. Lorenzo, per un voto fatto in occasione della grande vittoria degli spagnoli sulle armate francesi durante la battaglia di S. Quintino nel 1557. L’edificio ha, in pianta, la forma di una griglia, perché proprio questa era stata lo strumento di tortura di S. Lorenzo, bruciato a fuoco lento per non aver voluto rinnegare la propria fede.
Anche se di fatto Carlo V è il primo sovrano della Spagna unificata, tocca a Filippo II (re dal 1556, dopo l’abdicazione del padre) istituzionalizzare ed organizzare la monarchia spagnola accentratrice, a partire proprio dall’imponente palazzo sede del sovrano, della sua corte, dei ministri, luogo di culto, centro di preghiera e di devozione e necropoli della nuova dinastia: gli Asburgo. Un secolo prima di Versailles il re di Spagna crea il palazzo come sede del potere centrale, ma all’Escorial non si respira l’atmosfera gioiosa e spensierata della reggia francese; l’immenso edificio, costruito in granito grigio-blu del Guadarrama e coperto di ardesia blu, è gelido e tenebroso come Filippo II. L’Escorial finì con l’essere l’espressione tipica del re e dei suoi tempi, infatti nella facciata del palazzo scompare tutto lo stile ornamentale del primo Rinascimento spagnolo e al suo posto c’è la fredda simmetria di un classicismo soffocatore di ogni estro, imperiale, solenne e distaccato: un simbolo pertinente e perpetuo del trionfo che nella Spagna della Controriforma, la costrizione aveva riportato sulla libertà, e anche del trionfo di una regalità autoritaria sulle forse eversive dell’anarchia. Gli Asburgo abitano ininterrottamente il palazzo-monastero fino al 1700, ma la nuova dinastia lo abbandona quasi subito per altre residenze quali La Granja de San Ildefonso, il Pardo, Aranjuez e il nuovo palazzo reale di Madrid. Solo Carlo III e suo figlio Carlo IV tornano ad abitare di tanto in tanto all’Escorial, facendo però allestire al terzo piano dell’ala Nord-Est degli appartamenti in stile pompeiano messi di moda alla fine del XVIII secolo dal rinnovato interesse per l’archeologia. Il palazzo dei Borboni è in netto contrasto con la residenza austera degli Asburgo: le stanze di Filippo II sono di un rigore quasi monacale, e la camera dove il re muore il 1° settembre 1598 si apre sul presbiterio della basilica per consentire al sovrano malato di ascoltare la messa dal suo letto.
La basilica dell’Escorial, dedicata naturalmente a S. Lorenzo, è una delle opere più rappresentative dell’archiettura spagnola. La facciata che domina il Patio de los Reyes è preceduta da una scala marmorea e fiancheggiata da due torri a cupola; in basso, tra grandi colonne, si aprono cinque arcate sormontate da un balcone con la stature dei sei Re di Giuda. L’interno, di forme classicheggianti, in pianta a croce greca a tre navate con quattro colossali pilastri che reggono una cupola dal diametro di 17 metri e alta 92 metri. Ai due lati dell’altare si trovano le tribune (oratori) dai quali i membri della famiglia reale assistevano alla messa, ora occupate da due gruppi bronzei, opera di Pompeo Leoni, che rappresentano a sinistra Carlo V orante con la sua famiglia e a destra Filippo II orante con mogli e figli. Le volte sopra il presbiterio sono decorate da affreschi di Luca Cambiaso e Luca Giordano.
Il Palacio del Verano (palazzo d’estate) situato alle spalle della basilica, ospita oggi una ricca pinacoteca con opere di Tiziano, Veronese, Tintoretto, Palma il Giovane, Coello, Rubera, Van Dyck, Hieronymus Bosch, Luca Giordano. Sul lato opposto, nell’edificio che chiude il Patio de los Reyes si trova la Biblioteca de Grabados, frutto di un altro dei grandi progetti di Filippo II per il monastero di S. Lorenzo; il re intendeva riunire in questa biblioteca tutto il sapere della propria epoca e vi fece depositare i 4000 volumi della sua collezione privata cui vennero ad aggiungersi, acquisti, lasciti e donazioni. La Biblioteca de Grabados, oggi aperta al pubblico, contiene oltre 60.000 volumi e 2700 manoscritti dal V al XVIII secolo.
Nell’Escorial il Pantheon della famiglia reale è parte integrante dell’edificio: gli avi dai loro sepolcri sorvegliano e proteggono i vivi. Le sepolture, situate sotto l’altare maggiore della basilica di San Lorenzo, sono divise in due ben distinte sezioni: il “pantheon reale” e il “pantheon degli infanti” (a sua volta diviso in nove cappelle funerarie). In quest’ultimo sono collocate le tombe di quasi tutti i principi e delle principesse spagnole e delle regine che non hanno dato eredi alla corona, qui si trovano, fra le altre, le tombe di don Giovanni, figlio naturale di Carlo V, vincitore, nel 1571, della battaglia di Lepanto e di don Carlos lo sfortunato primogenito di Filippo II e le 60 nicchie degli Infanti bambini. Il pantheon reale è riservato ai sovrani e alle loro consorti quando queste (o questi, come nel caso del marito della regina Isabella II) sono le madri dell’erede al trono. La regola rigidamente rispettata fin dai tempi di Filippo II è stata infranta per decisione dell’attuale re di Spagna, Juan Carlos I, che ha destinato ai suoi genitori, il conte e la contessa di Barcellona, le ultime due nicchie libere della cappella reale. Con questo gesto il re ha voluto rendere omaggio a suo padre – “re” Juan III di Spagna – che non ha mai effettivamente regnato, ma ha rappresentato per tutta la durata della dittatura franchista l’opposizione al regime e la continuità della dinastia.
Il pantheon reale è costituito da una sala ottagonale in diaspro e porfido di 10 m di diametro e 10 m e 60 cm di altezza con un altare situato proprio di fronte all’ingresso. I re di Spagna riposano lungo i tre lati a sinistra dell’ingresso, le consorti a destra, in ordine cronologico dall’alto in basso cominciando a partire dall’altare. Con alcune eccezioni: le due mogli di Carlo II che non avendo dato eredi alla corona sono sepolte nel pantheon degli Infanti, Filippo V e la sua seconda moglie Elisabetta Farnese, sepolti nella chiesa del palazzo della Granja de San Ildefonso, Luisa Elisabetta d’Orlèans, moglie di Luigi I sepolta a Parigi, re Ferdinando VI e sua moglie Barbara di Braganza, che riposano nella chiesa madrilena fondata da quest’ultima. Il sepolcro dei re, inoltre, ospita entrambe le mogli di Filippo IV (1605-1665), Maria Anna d’Austria in quanto madre del re Carlo II e Elisabetta di Francia che attraverso la figlia Maria Teresa (sposa di Luigi XIV) trasmette i diritti al trono al pronipote futuro Filippo V.
Le spoglie di Alfonso XIII, morto in esilio a Roma nel 1941, sono state traslate nel pantheon dei re nel 1980 – regnante suo nipote Juan Carlos – mentre la moglie Vittoria Eugenia morta a Losanna nel 1969, è stata deposta solo nel 1985 nel cosiddetto “purgatorio”, del pantheon. Da quasi cinque secoli, infatti, la tradizione vuole che i corpi dei membri della famiglia reale, prima di riposare definitivamente in uno dei due pantheon, debbano subire una “decomposizione sanitaria” (le bare infatti non vengono messe in terra, ma sono collocate all’interno di un palazzo che, all’epoca in cui queste norme furono stabilite, era normalmente abitato) circa 25-30 anni. I corpi chiusi in sarcofagi dal fondo bucato vengono sistemati su un letto di calce, dove si decompongono con relativa rapidità. La durata del soggiorno in quello che in spagnolo viene chiamato “pudriero” varia, per esempio la regina-reggente Maria Cristina, morta nel 1921, fu collocata definitivamente nella sua sepoltura solo nel 1971. Anche il conte di Barcellona, scomparso nel 1993, e la moglie donna Maria de la Mercedes morta nei primi giorni del 2000, riposano per il momento nel “pudriero” in attesa del pantheon vero e proprio. Alla contessa di Barcellona è destinato l’ultimo spazio, poi la sepoltura dei re sarà al completo. I sovrani spagnoli dovranno, quindi, trovarsi un altro luogo di sepoltura. Al momento Juan Carlos non sembra aver deciso nulla in merito, ma a quanto pare due sono le possibilità prese in considerazione:
- far costruire un nuovo pantheon per i futuri re e le loro consorti;
- ricavare otto nuove nicchie nell’attuale cappella, eliminando una decorazione in alto e scavando tutto attorno nel muro.
Ancora oggi, come ai tempi di Filippo II sono i monaci agostiniani a vegliare sulle tombe della famiglia reale spagnola ed è a loro che viene consegnato il corpo dei defunti. I monaci fungono anche da guida per i visitatori del pantheon.
martedì 16 ottobre 2012
È fiorita una pianta dell'Era glaciale
Foto per gentile concessione di National Academy of Sciences
Gli scienziati sono riusciti a far germogliare un seme vecchio di 32 mila anni scoperto nella tana di uno scoiattolo dell'Era glaciale... Un team di scienziati russi ha scoperto un antico nascondiglio di semi di Silene stenophylla, un pianta da fiore originaria della Siberia, in una tana di uno scoiattolo dell’Era glaciale, nella Siberia nordorientale vicino al fiume Kolyma. l semi sono stati datati con il metodo del radiocarbonio a 32 mila anni fa. I semi, alcuni maturi e altri non maturi, sono stati recuperati a 38 metri di profondità nel permafrost, il terreno perennemente congelato tipico della tundra siberiana. Assieme ai semi i ricercatori hanno ritrovato numerosi resti di mammut, bisonti e rinoceronti lanosi. I semi maturi erano guasti e secondo gli scienziati, forse, furono danneggiati dallo scoiattolo stesso perché non germogliassero all’interno nella buca. Invece, alcuni semi immaturi conservavano delle parti vitali intatte. I ricercatori hanno così potuto estrarre questi tessuti dai semi congelati, e dopo averli riposti in alcune boccette hanno atteso che germogliassero. Le piantine, che tra di loro sono identiche ma hanno dei fiori un po’ diversi dalle attuali S. stenophylla, sono tutte germogliate, fiorite e dopo un anno hanno anche prodotto i loro semi.
Gli scienziati sono riusciti a far germogliare un seme vecchio di 32 mila anni scoperto nella tana di uno scoiattolo dell'Era glaciale... Un team di scienziati russi ha scoperto un antico nascondiglio di semi di Silene stenophylla, un pianta da fiore originaria della Siberia, in una tana di uno scoiattolo dell’Era glaciale, nella Siberia nordorientale vicino al fiume Kolyma. l semi sono stati datati con il metodo del radiocarbonio a 32 mila anni fa. I semi, alcuni maturi e altri non maturi, sono stati recuperati a 38 metri di profondità nel permafrost, il terreno perennemente congelato tipico della tundra siberiana. Assieme ai semi i ricercatori hanno ritrovato numerosi resti di mammut, bisonti e rinoceronti lanosi. I semi maturi erano guasti e secondo gli scienziati, forse, furono danneggiati dallo scoiattolo stesso perché non germogliassero all’interno nella buca. Invece, alcuni semi immaturi conservavano delle parti vitali intatte. I ricercatori hanno così potuto estrarre questi tessuti dai semi congelati, e dopo averli riposti in alcune boccette hanno atteso che germogliassero. Le piantine, che tra di loro sono identiche ma hanno dei fiori un po’ diversi dalle attuali S. stenophylla, sono tutte germogliate, fiorite e dopo un anno hanno anche prodotto i loro semi.
Scoperta una necropoli della Magna Grecia
Una necropoli risalente ad un periodo approssimativamente databile tra il IV e il VI secolo avanti Cristo e' stata scoperta in contrada Capodarso, nel comune di Enna. A segnalare la presenza di grotte con resti di ossa umane sono stati alcuni escursionisti, che hanno immediatamente allertato i carabinieri. Sul posto si sono cosi' recati oltre ai militari anche il sostituto procuratore di Enna Paola D'Ambrosio, i vigili del fuoco, il nucleo Tutela patrimonio culturale di Palermo e gli esperti della Soprintendenza ai Beni culturali di Enna.
Durante il sopralluogo sono state cosi' scoperte numerose grotte, all'interno delle quali ben visibili c'erano ossa umane e frammenti di vasellame. La necropoli che ricade nel parco archeologico "Sabucina e Capodarso", non era mai stata individuata prima. Secondo i primi accertamenti si tratterebbe di una necropoli a grotticelle risalente all'epoca della Magna Grecia. Le ossa e i frammenti di vasellame repertati saranno presto messi a disposizione della Soprintendenza.
Fonte :Antikitera.net
Il monte Erebus è il vulcano attivo più meridionale del pianeta. Ha cominciato a formarsi all'incirca 1,3 milioni di anni fa, e oggi si erge per 3.794 metri sopra il livello del mare. Ha le pendici coperte di neve e ghiaccio, con ghiacciai, crepacci, e sporadiche colate di lava, anche se di solito dalla cima esce solo vapore, segno del calore che c'è al suo interno.
L'Erebus è uno dei pochi vulcani ad avere un lago lavico permanente. Nel momento in cui è stata scattata la foto il vulcano era tranquillo, ma le sue eruzioni sono frequenti, e producono forti esplosioni di bombe laviche.
La luce filtra tingendosi di verde attraverso una fonte idrotermale incrostata di cristalli gelati nella Warren Cave.
L'Erebus è uno dei pochi vulcani ad avere un lago lavico permanente. Nel momento in cui è stata scattata la foto il vulcano era tranquillo, ma le sue eruzioni sono frequenti, e producono forti esplosioni di bombe laviche.
La luce filtra tingendosi di verde attraverso una fonte idrotermale incrostata di cristalli gelati nella Warren Cave.
Il Giardino di Boboli è un parco storico della città di Firenze, connesso con Palazzo Pitti e col Forte di Belvedere. Il giardino, che accoglie ogni anno oltre 800.000 visitatori, è uno dei più importanti esempi di giardino all'italiana al mondo ed è un vero e proprio museo all'aperto, per l'impostazione architettonico-paesaggistica e per la collezione di sculture, che vanno dalle antichità romane al XVI e XVII secolo.
I Giardini, dietro Palazzo Pitti, sede dapprima dei Medici, poi dei Lorena e dei Savoia, furono costruiti tra il XV e il XIX secolo e occupano un'area di circa 45.000 metri quadri. Alla prima impostazione di stile rinascimentale, visibile nel nucleo più vicino al palazzo, si aggiunsero negli anni nuove porzioni con differenti impostazioni: lungo l'asse parallelo al palazzo nacquero viali ricoperti di ghiaia, nuovi laghnetti e fontane, ninfei, tempietti e grotte. Notevole è l'importanza che nel giardino assumono statue e parti fabbricate, come la settecentesca Kaffeehaus (raro esempio di gusto rococo), che permettevano di godere del panorama sulla città che il giardino offre, difformemente al gusto dell'epoca della costruzione.
L'origine del nome nasce forse dai possedimenti della famiglia Borgolo, che si trovavano nel territorio della chiesa di Santa Felicita il Oltrarno, che Luca Pitti acquistò come orti nel 1418, quarant'anni prima di iniziare la costruzione del palazzo che dalla sua famiglia prese in nome. Con il passaggio della proprietà ai Medici nel 1549, per l'acquisto da parte di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de' Medici, iniziarono gli ampliamenti e abbellimento che coinvolsero anche il giardino, il quale fu iniziato da Niccolò Tribolo, che dieci anni prima aveva già superbamente lavorato ai giardini della Villa medicea di Castello.
Il Tribolo lasciò un progetto al quale si attribuisce quasi certamente l'anfiteatro ricavato dallo sbancamento della collina, con il primo asse prospettico nord-ovest / sud-est tra il palazzo e il futuro Forte di Belvedere. Il Tribolo morì di lì a poco nel 1550, quindi la direzione dei lavori passò a Bartolomeo Ammanati e in seguito a Bernardo Buontalenti. Dopo di loro, nel XVII secolo la continuazione dell'abbelllimento del giardino fu opera di Giulio Parigi e del figlio Alfonso, i quali realizzarono l'ampliamento verso sud con il secondo asse del giardino verso Porta Romana.
I Giardini, dietro Palazzo Pitti, sede dapprima dei Medici, poi dei Lorena e dei Savoia, furono costruiti tra il XV e il XIX secolo e occupano un'area di circa 45.000 metri quadri. Alla prima impostazione di stile rinascimentale, visibile nel nucleo più vicino al palazzo, si aggiunsero negli anni nuove porzioni con differenti impostazioni: lungo l'asse parallelo al palazzo nacquero viali ricoperti di ghiaia, nuovi laghnetti e fontane, ninfei, tempietti e grotte. Notevole è l'importanza che nel giardino assumono statue e parti fabbricate, come la settecentesca Kaffeehaus (raro esempio di gusto rococo), che permettevano di godere del panorama sulla città che il giardino offre, difformemente al gusto dell'epoca della costruzione.
L'origine del nome nasce forse dai possedimenti della famiglia Borgolo, che si trovavano nel territorio della chiesa di Santa Felicita il Oltrarno, che Luca Pitti acquistò come orti nel 1418, quarant'anni prima di iniziare la costruzione del palazzo che dalla sua famiglia prese in nome. Con il passaggio della proprietà ai Medici nel 1549, per l'acquisto da parte di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de' Medici, iniziarono gli ampliamenti e abbellimento che coinvolsero anche il giardino, il quale fu iniziato da Niccolò Tribolo, che dieci anni prima aveva già superbamente lavorato ai giardini della Villa medicea di Castello.
Il Tribolo lasciò un progetto al quale si attribuisce quasi certamente l'anfiteatro ricavato dallo sbancamento della collina, con il primo asse prospettico nord-ovest / sud-est tra il palazzo e il futuro Forte di Belvedere. Il Tribolo morì di lì a poco nel 1550, quindi la direzione dei lavori passò a Bartolomeo Ammanati e in seguito a Bernardo Buontalenti. Dopo di loro, nel XVII secolo la continuazione dell'abbelllimento del giardino fu opera di Giulio Parigi e del figlio Alfonso, i quali realizzarono l'ampliamento verso sud con il secondo asse del giardino verso Porta Romana.
Nuda in moto: multata perché senza casco
Non era certo passata inosservata agli automobilisti che la vedevano sfrecciare abbracciata al conducente della moto. E non è passata inosservata a una pattuglia della polizia, che ha fermato il mezzo su cui viaggiava. Per farle una multa perché... senza casco.
E' successo in Romania, dove una bella ragazza ha deciso di fare un giro in moto completamente nuda.
Fermata da una pattuglia, la giovane non si è rivestita e i poliziotti, felici, non glielo hanno chiesto. Le hanno solo fatto una multa perché non indossava il casco.
La ragazza, quindi, ha messo il casco in testa, è risalita in moto e con il suo amico è ripartita. Completamente nuda. Già, perché a fermarli è stata la polizia locale e l'unica infrazione al codice della strada commesso dalla coppia era la mancanza del casco.
28 Aprile 2012 di Emanuele Malossini
Ricorso multa Prefetto o Giudice di Pace
In caso di contestazione di una violazione del codice stradale, il trasgressore può fare ricorso, a propria scelta:
- entro 60 giorni, al Prefetto;
- entro 30 giorni, al Giudice di Pace.
Entrambi i termini si riferiscono al tempo trascorso dalla contestazione della violazione del codice stradale, o dalla notifica del relativo verbale di accertamento. In entrambi i casi, le autorità competenti sono quelle del luogo dove è stata commessa la violazione.
Ricorso al Prefetto
Al Prefetto il ricorso, redatto in carta semplice, va inviato tramite raccomandata A/R o consegnato a mano. Il documento può essere presentato direttamente alla Prefettura o all'organo accertatore. La prefettura ha 210 giorni di tempo per emettere la propria ordinanza e 150 giorni per notificarla alla persona interessata.
È bene sapere che il Prefetto non è tenuto ad entrare nel merito delle motivazioni del ricorrente, potendo rigettare il ricorso senza neanche prenderne in esame i contenuti. Se il ricorso viene rigettato, l'importo della sanzione da pagare raddoppia.
Ricorso al Giudice di Pace
Optando per questa soluzione, il ricorso, anch'esso in carta semplice, va presentato alla cancelleria dell'ufficio del Giudice di Pace del luogo dove il fatto è avvenuto, oppure spedito tramite raccomandata A/R. È anche necessario pagare, per ricorsi di valore fino a 1.100 euro, la somma di38 euro.
Il ricorrente deve comunque presenziare all'udienza, pena l'annullabilità del procedimento. Per poter ricevere le informazioni necessarie (ad esempio, la data fissata per l'udienza), se non si è residenti, è necessario domiciliarsi entro l'area operativa dell'Ufficio del Giudice di Pace dove e' stato presentato ricorso o, in alternativa, fissare presso la cancelleria il domicilio e poi informarsi costantemente, anche via telefono, sull'andamento della pratica.
Il Giudice di Pace, a differenza del Prefetto, entra nel merito del ricorso, fissando udienza per il contraddittorio tra le parti.
Anche nel caso del Giudice di Pace, il rigetto del ricorso comporta il pagamento della sanzione raddoppiata. Per evitare tale evenienza, è possibile pagare comunque la sanzione. In caso di accoglimento del ricorso, va poi richiesto il rimborso di quanto pagato.
Casi in cui può essere proposto il ricorso
Molti cittadini ritengono (o sperano) che il ricorso consenta di fare valere le proprie ragioni in merito alla dinamica del fatto contestato tramite la sanzione. In realtà, il successo del ricorso dipende da aspetti per lo più formali, come i seguenti :
- i dati anagrafici del proprietario del veicolo non corrispondono a quelli della contravvenzione;
- manca l'indicazione del luogo, giorno ed ora della violazione;
- manca l'indicazione dell'agente accertatore;
- manca l'indicazione della norma infranta;
- la notifica è fuori termine, ovvero dopo 60 giorni dalla data dell'avvenuta infrazione,
Se questa la chiamano arte devo riverede tutte le mie convinzioni
Cercando in rete notizie di questo “artista” ho trovato queste parole: “Damien Hirst è considerato il capofila di un fenomeno artistico che a partire dagli ultimi anni Ottanta vede l’arte britannica al centro della scena internazionale. Un artista che con il suo lavoro ha lasciato importanti eredità al settore artistico contemporaneo riuscendo ad influenzarne i meccanismi che ancora oggi lo regolano.”
Le sue opere
.Ne è un esempio l’apparente insensatezza del ciclo vitale di un essere vivente in A Thousand Years, dove nugoli di mosche nascono, vivono e trovano la morte all’interno dell’opera stessa.”
Tra le sue (opere) ci sono vasche contenenti tassidermie di animali, addirittura uno squalo in formaldeide.
Ma l’autore non si ferma ancora dopo il ciclo vitale delle mosche ora anche quello delle farfalle, si chiama In and Out of Love, l’installazione alla Tate di una stanza senza finestre in cui gli insetti nascono, prosperano e muoiono dentro al museo londinese. E di nuovo gli animalisti protestano, a sostegno della “Rspca”, l’associazione britannica a difesa degli animali, ci sono i numeri: 9000 farfalle morte in 23 settimane di esposizione.
Apparentemente sembra un’opera davvero fantastica, che consente di immergersi totalmente nella natura, trasmettendo emozioni intense e particolari. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia. Infatti i piccoli insetti non sono stati affatto tutelati e, a causa dei visitatori, molti di loro venivano uccisi.
Molte sono state calpestate, altre sono morte perché i visitatori se le scrollavano di dosso. Di conseguenza ogni settimana si è dovuto provvedere a rimpiazzare le farfalle morte, introducendone altre 400.
Se consideriamo che la mostra è durata 23 settimane, i calcoli riescono piuttosto facili: si è trattato di 9.000 farfalle morte. Sul caso sono intervenute le associazioni animaliste, che hanno attaccato l’artista.
.Ne è un esempio l’apparente insensatezza del ciclo vitale di un essere vivente in A Thousand Years, dove nugoli di mosche nascono, vivono e trovano la morte all’interno dell’opera stessa.”
Tra le sue (opere) ci sono vasche contenenti tassidermie di animali, addirittura uno squalo in formaldeide.
Ma l’autore non si ferma ancora dopo il ciclo vitale delle mosche ora anche quello delle farfalle, si chiama In and Out of Love, l’installazione alla Tate di una stanza senza finestre in cui gli insetti nascono, prosperano e muoiono dentro al museo londinese. E di nuovo gli animalisti protestano, a sostegno della “Rspca”, l’associazione britannica a difesa degli animali, ci sono i numeri: 9000 farfalle morte in 23 settimane di esposizione.
sono ali staccate alle farfalle |
Orologio ad acqua Villa Borghese Roma (Pincio)
L'idrocronometro del Pincio fu inventato da padre Giovan Battista Embriaco nel 1867 e fu presentato all'Esposizione Universale di Parigi. Ha la forma di una torretta lignea realizzata con l'utilizzo di ghisa fusa a imitazione di tronchi d'albero. I quattro quadranti dell'ora sono visibili da ogni direzione. Nel 1873 l'orologio ad acqua fu collocato a Villa Borghese a Roma, all'interno di una fontana appositamente realizzata dall'architetto di origine svizzera Gioacchino Ersoch. Il restauro dell'orologio in grave stato di degrado è stato effettuato dalla Scuola ELIS di Roma, senza oneri per il Comune, negli anni 2006-07. L'orologio è stato rimesso in opera il 29 giugno 2007
Chi gioca con le parole
Chi gioca con le parole prima o poi rimarrà intrappolato nel suo stesso gioco… perché le bugie che diciamo agli altri, sono quelle che prima raccontiamo a noi stessi.
- Imma Brigante -
QUESTO NON E' IL POSTO FISSO DOVE FAR CARRIERA
Dep. Giorgio La Malfa Gruppo Misto in Parlamento da 38 anni
Dep. Mario Tassone Unione di Centro in Parlamento da 34 anni
Dep. Francesco Colucci Popolo della Libertà in Parlamento da 33 anni
Dep. Gianfranco Fini Futuro e Libertà per l’Italia, è presidente della Camera in Parlamento da 29 anni
Dep. Pierferdinando Casini Unione di Centro in Parlamento da 29 anni
Dep. Livia Turco Partito Democratico in Parlamento da 25 anni
Dep. Teresio Delfino Unione di Centro in Parlamento da 25 anni
Dep. Giuseppe Calderisi Popolo della Libertà in Parlamento da 24 anni
Dep. Calogero Mannino Gruppo Misto in Parlamento da 24 anni
Dep. Massimo D’Alema Partito Democratico in Parlamento da 23 anni
Sen. Beppe Pisanu Popolo della Libertà in Parlamento da 38 anni
Sen. Altero Matteoli Popolo della Libertà in Parlamento da 29 anni
Sen. Filippo Berselli Popolo della Libertà in Parlamento da 29 anni
Sen. Carlo Vizzini Unione di Centro in Parlamento da 29 anni
Sen. Luigi Grillo Popolo della Libertà in Parlamento da 25 anni
Sen. Francesco Pontone Popolo della Libertà in Parlamento da 25 anni
Sen. Domenico Nania Popolo della Libertà in Parlamento da 25 anni
Sen. Anna Finocchiaro Partito Democratico in Parlamento da 25 anni
Sen. Giulio Camber Popolo della Libertà in Parlamento da 23 anni
Sen. Adriana Poli Bortone Coesione Nazionale in Parlamento da 22 anni _________________________________________________________________”E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo- “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro" corrisponderà alla realtà _____________________________________________________________________________________ LA DOMANDA E' QUESTA: In tutti questi anni Questi signori, ( 630 deputati e 315 senatori italiani: 945 parlamentari) cosa hanno fatto per rendere questa formula una realtà???
Dep. Giorgio La Malfa Gruppo Misto in Parlamento da 38 anni
Dep. Mario Tassone Unione di Centro in Parlamento da 34 anni
Dep. Francesco Colucci Popolo della Libertà in Parlamento da 33 anni
Dep. Gianfranco Fini Futuro e Libertà per l’Italia, è presidente della Camera in Parlamento da 29 anni
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Sen. Domenico Nania Popolo della Libertà in Parlamento da 25 anni
Sen. Anna Finocchiaro Partito Democratico in Parlamento da 25 anni
Sen. Giulio Camber Popolo della Libertà in Parlamento da 23 anni
Sen. Adriana Poli Bortone Coesione Nazionale in Parlamento da 22 anni _________________________________________________________________”E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo- “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro" corrisponderà alla realtà _____________________________________________________________________________________ LA DOMANDA E' QUESTA: In tutti questi anni Questi signori, ( 630 deputati e 315 senatori italiani: 945 parlamentari) cosa hanno fatto per rendere questa formula una realtà???
Otturazioni neolitiche
Alcuni ricercatori hanno scoperto un'otturazione fatta con cera d'api in un dente fossile di 6.500 anni fa. Secondo gli studiosi si tratta del più antico intervento dentistico terapeutico
Fotografia per gentile concessione di ICTP
Trieste Le tracce presenti su un canino umano, custodito nel Museo di Storia Naturale di Trieste, suggeriscono che i pastori neolitici del carso triestino praticassero otturazioni dentarie terapeutiche già 6.500 anni fa. Lo studio, pubblicata sulla rivista Plos One, è stato possibile grazie all'utilizzo di diverse tecniche analitiche particolarmente sofisticate, come la microtomografia (micro CT), la spettrometria di massa (AMS), le spettroscopia ad infrarossi e il microscopio elettronico a scansione (SEM), effettuate in parte da ricercatori italiani del Centro internazionale di fisica teorica di Trieste (ICTP), dell'Università di Trieste, dell'Università La Sapienza di Roma e della Seconda Università di Napoli. La scoperta è avvenuta analizzando un canino appartenente alla mandibola sinistra dell'Uomo di Lonche. La mandibola (nella foto) venne scoperta nel 1911, incastrata nella parete calcarea di una grotta vicina allla cittadina di Lonche (Slovenia), ed è considerata una dei più antichi ritrovamenti umani dell'Istria. Studiando il canino i ricercatori, guidati dal fisico italiano Claudio Tuniz, si sono accorti di una profonda rottura che incideva il dente fino alla polpa, e grazie all'analisi all'infrarosso hanno scoperto che il materiale che riveste la parte esposta del dente e ne riempie la frattura è cera d'api. La datazione al radiocarbonio, effettuata sul canino con lo spettrometro di massa, lo colloca temporalmente circa 6.500 anni fa, cioè nella fase antica del Neolitico istriano, la cosiddetta "fase post-Vlaška". Durante quel periodo le grotte e i ripari sottoroccia dell'Istria e del carso triestino erano frequentati dai pastori neolitici che li utilizzavano come rifugi per le loro greggi di pecore. "L'economia neolitica dell'area del carso triestino si basava principalmente sulla pastorizia e l'allevamento di pecore, visto che le aree sfruttabili per le coltivazioni erano poche. L'uso dei prodotti delle api è provato da numerosi ritrovamenti del Paleolitico Superiore e del Mesolitico, che testimoniano un uso diffuso di questi prodotti per scopi terapeutici e cerimoniali", spiega Federico Bernardini, uno degli autori della scoperta.
Fotografia per gentile concessione di ICTP
Trieste Le tracce presenti su un canino umano, custodito nel Museo di Storia Naturale di Trieste, suggeriscono che i pastori neolitici del carso triestino praticassero otturazioni dentarie terapeutiche già 6.500 anni fa. Lo studio, pubblicata sulla rivista Plos One, è stato possibile grazie all'utilizzo di diverse tecniche analitiche particolarmente sofisticate, come la microtomografia (micro CT), la spettrometria di massa (AMS), le spettroscopia ad infrarossi e il microscopio elettronico a scansione (SEM), effettuate in parte da ricercatori italiani del Centro internazionale di fisica teorica di Trieste (ICTP), dell'Università di Trieste, dell'Università La Sapienza di Roma e della Seconda Università di Napoli. La scoperta è avvenuta analizzando un canino appartenente alla mandibola sinistra dell'Uomo di Lonche. La mandibola (nella foto) venne scoperta nel 1911, incastrata nella parete calcarea di una grotta vicina allla cittadina di Lonche (Slovenia), ed è considerata una dei più antichi ritrovamenti umani dell'Istria. Studiando il canino i ricercatori, guidati dal fisico italiano Claudio Tuniz, si sono accorti di una profonda rottura che incideva il dente fino alla polpa, e grazie all'analisi all'infrarosso hanno scoperto che il materiale che riveste la parte esposta del dente e ne riempie la frattura è cera d'api. La datazione al radiocarbonio, effettuata sul canino con lo spettrometro di massa, lo colloca temporalmente circa 6.500 anni fa, cioè nella fase antica del Neolitico istriano, la cosiddetta "fase post-Vlaška". Durante quel periodo le grotte e i ripari sottoroccia dell'Istria e del carso triestino erano frequentati dai pastori neolitici che li utilizzavano come rifugi per le loro greggi di pecore. "L'economia neolitica dell'area del carso triestino si basava principalmente sulla pastorizia e l'allevamento di pecore, visto che le aree sfruttabili per le coltivazioni erano poche. L'uso dei prodotti delle api è provato da numerosi ritrovamenti del Paleolitico Superiore e del Mesolitico, che testimoniano un uso diffuso di questi prodotti per scopi terapeutici e cerimoniali", spiega Federico Bernardini, uno degli autori della scoperta.
Le formiche
Le formiche sono insetti comuni, ma presentano alcune caratteristiche uniche. Le specie conosciute di formica in tutto il mondo sono più di 10 mila. Sono diffuse soprattutto nelle foreste tropicali: in alcune zone costituiscono addirittura la metà di tutti gli insetti presenti. Le formiche appaiono molto simili alle termiti, e proprio per questo le due specie sono spesso confuse (soprattutto da proprietari di casa irritati). A differenza delle termiti, tuttavia, tra l'addome e il torace questi animali presentano una "vita" stretta. Hanno inoltre una grossa testa, antenne piegate a gomito e mascelle potenti.
Le formiche sono insetti appartenenti all'ordine degli imenotteri, che comprende anche vespe e api, e sono fortemente sociali: vivono di solito in comunità strutturate in nidi situati sottoterra, in cumuli a livello del suolo o negli alberi. Le formiche carpentiere (Camponotus) nidificano nel legno e possono avere effetti distruttivi sulle costruzioni edilizie. Alcune specie, come le formiche guerriere, fanno eccezione poiché non hanno dimore permanenti. Le comunità di formiche sono guidate da una o più regine, che hanno il compito di deporre migliaia di uova in modo da assicurare la sopravvivenza della colonia. Le formiche operaie (le più note all’uomo) sono femmine senza ali che non si riproducono, bensì vanno in cerca di cibo, si prendono cura della prole della regina, svolgono lavori sul nido, proteggono la comunità e assolvono a molte altre funzioni.
I maschi hanno spesso un unico compito: accoppiarsi con la regina. Dopo averlo eseguito possono anche morire. Le formiche comunicano e collaborano tra loro usando sostanze chimiche in grado di mettere in allerta gli altri individui in caso di pericolo o condurli verso una promettente risorsa di cibo. Generalmente si cibano di nettare, semi, funghi o insetti. Alcune specie, tuttavia, hanno una dieta più inconsueta. Le formiche guerriere possono predare rettili, uccelli e persino piccoli mammiferi. Quelle di una specie amazzonica (Allomerus decemarticulatus) collaborano alla costruzione di grandi trappole intrecciando fibre vegetali sulle quali lasciano numerosi buchi. Quando un insetto si posa sopra una di esse, centinaia di formiche nascoste all’interno della trappola lo afferrano per le mascelle attraverso le sue aperture.
Le formiche sono insetti appartenenti all'ordine degli imenotteri, che comprende anche vespe e api, e sono fortemente sociali: vivono di solito in comunità strutturate in nidi situati sottoterra, in cumuli a livello del suolo o negli alberi. Le formiche carpentiere (Camponotus) nidificano nel legno e possono avere effetti distruttivi sulle costruzioni edilizie. Alcune specie, come le formiche guerriere, fanno eccezione poiché non hanno dimore permanenti. Le comunità di formiche sono guidate da una o più regine, che hanno il compito di deporre migliaia di uova in modo da assicurare la sopravvivenza della colonia. Le formiche operaie (le più note all’uomo) sono femmine senza ali che non si riproducono, bensì vanno in cerca di cibo, si prendono cura della prole della regina, svolgono lavori sul nido, proteggono la comunità e assolvono a molte altre funzioni.
I maschi hanno spesso un unico compito: accoppiarsi con la regina. Dopo averlo eseguito possono anche morire. Le formiche comunicano e collaborano tra loro usando sostanze chimiche in grado di mettere in allerta gli altri individui in caso di pericolo o condurli verso una promettente risorsa di cibo. Generalmente si cibano di nettare, semi, funghi o insetti. Alcune specie, tuttavia, hanno una dieta più inconsueta. Le formiche guerriere possono predare rettili, uccelli e persino piccoli mammiferi. Quelle di una specie amazzonica (Allomerus decemarticulatus) collaborano alla costruzione di grandi trappole intrecciando fibre vegetali sulle quali lasciano numerosi buchi. Quando un insetto si posa sopra una di esse, centinaia di formiche nascoste all’interno della trappola lo afferrano per le mascelle attraverso le sue aperture.
SANTI CRISANTO E DARIA
I due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martirio si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre. I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa. La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe. Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a s. Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca. Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare. Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi I due giovani ora riposano nell’urna posta sotto la mensa dell’altare della cripta. della cattedrale di Reggio Emilia
I fedeli che si recheranno in cattedrale saranno accompagnati da un percorso di 12 grandi pannelli (disposti lungo le navate), in cui sono riprodotte le formelle con la vita di Crisanto e Daria scolpite da Bartolomeo Spani sulle basi dei cinquecenteschi busti reliquiari (a loro volta ben conosciuti dai reggiani, poiché da sempre conservati in duomo). I pannelli saranno impreziositi dai testi tratti dalla celebre Legenda Aurea (Legenda sanctorum) di Jacopo da Varagine.
I due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martirio si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre. I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa. La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe. Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a s. Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca. Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare. Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi I due giovani ora riposano nell’urna posta sotto la mensa dell’altare della cripta. della cattedrale di Reggio Emilia
I fedeli che si recheranno in cattedrale saranno accompagnati da un percorso di 12 grandi pannelli (disposti lungo le navate), in cui sono riprodotte le formelle con la vita di Crisanto e Daria scolpite da Bartolomeo Spani sulle basi dei cinquecenteschi busti reliquiari (a loro volta ben conosciuti dai reggiani, poiché da sempre conservati in duomo). I pannelli saranno impreziositi dai testi tratti dalla celebre Legenda Aurea (Legenda sanctorum) di Jacopo da Varagine.
Cyberincantatori
Fotografia di Mattias Klum
Incantatori di serpenti contro autorità high-tech; un simile scontro culturale poteva avvenire solo in India. Lo scorso anno, per censire i rettili e i loro proprietari, sono stati impiantati microchip identificativi a 43 serpenti di proprietà di dieci incantatori di Delhi. Gli incantatori la considerano una misura ingiusta, ma chi la rifiuterà rischierà la prigione. Eppure, in base a una legge del 1972, anche i serpenti con microchip sarebbero illegali, sottolinea Kartick Satyanarayan dellONG Wildlife SOS, che auspica una riforma più drastica: anziché maltrattare i serpenti e togliere loro i denti del veleno, gli incantatori potrebbero sfruttare le proprie conoscenze per contribuire alla tutela degli animali. L'erpetologo Romulus Whitaker è d'accordo, ma solleva dubbi sulla possibilità del cambiamento: gli incantatori sono quasi scomparsi dall'India urbana, dice, ma nelle aree rurali «resteranno per altri cent'anni».
Fotografia di Mattias Klum
Incantatori di serpenti contro autorità high-tech; un simile scontro culturale poteva avvenire solo in India. Lo scorso anno, per censire i rettili e i loro proprietari, sono stati impiantati microchip identificativi a 43 serpenti di proprietà di dieci incantatori di Delhi. Gli incantatori la considerano una misura ingiusta, ma chi la rifiuterà rischierà la prigione. Eppure, in base a una legge del 1972, anche i serpenti con microchip sarebbero illegali, sottolinea Kartick Satyanarayan dellONG Wildlife SOS, che auspica una riforma più drastica: anziché maltrattare i serpenti e togliere loro i denti del veleno, gli incantatori potrebbero sfruttare le proprie conoscenze per contribuire alla tutela degli animali. L'erpetologo Romulus Whitaker è d'accordo, ma solleva dubbi sulla possibilità del cambiamento: gli incantatori sono quasi scomparsi dall'India urbana, dice, ma nelle aree rurali «resteranno per altri cent'anni».
Scoperto in Cina un gigantesco dinosauro piumato
Lungo come un autobus ma soffice come un pulcino, Yutyrannus è il più grande animale piumato mai vissuto. E se anche T. rex fosse stato coperto di penne?
di Ker Than
Era grande e grosso - un lontano parente di Tyrannosaurus rex - ma in più, il nuovo dinosauro appena scoperto in Cina aveva una soffice livrea, il che lo rende il più grande animale piumato mai vissuto sulla Terra. I paleontologi già sapevano che alcuni esponenti del gruppo cui appartiene T. rex, ovvero i teropodi, erano dotati di piumaggio. Ma finora, le creature rinvenute con questa caratteristica erano relativamente piccole. "Il grande punto interrogativo riguardava proprio se anche parenti più grandi di questi piccoli teropodi fossero coperti di penne", dice il paleontologo Corwin Sullivan dell'Accademia Cinese delle Scienze di Pechino, uno degli autori della scoperta. "Ma non avevamo dati né in un senso né l'altro, poiché la conservazione dei tessuti molli è un evento estremamente raro". Ora però, il rinvenimento di ben tre esemplari fossili di questo tirannosauride, un adulto e due piccoli, dimostrano che anche i teropodi di grandi dimensioni erano dotati di piumaggio - un piumaggio primitivo, costituito da filamenti più simili alle piume di un moderno pulcino che da penne vere e proprie. La nuova specie di dinosauro, descritta sulla rivista Nature, è stata battezzata Yutyrannus huali, un misto di latino e mandarino che significa "tiranno dalle belle piume". Un enorme "pulcino" I tre esemplari fossili, risalenti a 125 milioni di anni fa, sono stati scoperti nella stessa cava di sedimenti cretacici nella provincia cinese nordorientale del Liaoning, che in passato ha già restituito i resti di altri celebri dinosauri piumati come Sinosauropteryx. Secondo le stime dei ricercatori, un esemplare adulto di Yutyrannus avrebbe raggiunto i 9 metri di lunghezza e una tonnellata e mezzo di peso. Poca cosa rispetto al peso 5-6 volte superiore del più celebre cugino Tyrannosaurus rex, ma comunque ben 40 volte più pesante del più grande dinosauro piumato precedentemente conosciuto. Le penne fossilizzate - lunghe dai 15 ai 20 centimetri - erano presenti in diverse parti del corpo dei tre esemplari fossili, il che porta gli studiosi a ritenere che probabilmente Yutyrannus avesse l'intero corpo ricoperto dal piumaggio. Le grandi dimensioni dell'animale e il livello primitivo del suo piumaggio fanno escludere che il dinosauro fosse in grado di volare, dice Sullivan; è più probabile invece che la copertura avesse lo scopo di tenere caldo Yutyrannus.
di Ker Than
Era grande e grosso - un lontano parente di Tyrannosaurus rex - ma in più, il nuovo dinosauro appena scoperto in Cina aveva una soffice livrea, il che lo rende il più grande animale piumato mai vissuto sulla Terra. I paleontologi già sapevano che alcuni esponenti del gruppo cui appartiene T. rex, ovvero i teropodi, erano dotati di piumaggio. Ma finora, le creature rinvenute con questa caratteristica erano relativamente piccole. "Il grande punto interrogativo riguardava proprio se anche parenti più grandi di questi piccoli teropodi fossero coperti di penne", dice il paleontologo Corwin Sullivan dell'Accademia Cinese delle Scienze di Pechino, uno degli autori della scoperta. "Ma non avevamo dati né in un senso né l'altro, poiché la conservazione dei tessuti molli è un evento estremamente raro". Ora però, il rinvenimento di ben tre esemplari fossili di questo tirannosauride, un adulto e due piccoli, dimostrano che anche i teropodi di grandi dimensioni erano dotati di piumaggio - un piumaggio primitivo, costituito da filamenti più simili alle piume di un moderno pulcino che da penne vere e proprie. La nuova specie di dinosauro, descritta sulla rivista Nature, è stata battezzata Yutyrannus huali, un misto di latino e mandarino che significa "tiranno dalle belle piume". Un enorme "pulcino" I tre esemplari fossili, risalenti a 125 milioni di anni fa, sono stati scoperti nella stessa cava di sedimenti cretacici nella provincia cinese nordorientale del Liaoning, che in passato ha già restituito i resti di altri celebri dinosauri piumati come Sinosauropteryx. Secondo le stime dei ricercatori, un esemplare adulto di Yutyrannus avrebbe raggiunto i 9 metri di lunghezza e una tonnellata e mezzo di peso. Poca cosa rispetto al peso 5-6 volte superiore del più celebre cugino Tyrannosaurus rex, ma comunque ben 40 volte più pesante del più grande dinosauro piumato precedentemente conosciuto. Le penne fossilizzate - lunghe dai 15 ai 20 centimetri - erano presenti in diverse parti del corpo dei tre esemplari fossili, il che porta gli studiosi a ritenere che probabilmente Yutyrannus avesse l'intero corpo ricoperto dal piumaggio. Le grandi dimensioni dell'animale e il livello primitivo del suo piumaggio fanno escludere che il dinosauro fosse in grado di volare, dice Sullivan; è più probabile invece che la copertura avesse lo scopo di tenere caldo Yutyrannus.
Sorpresa, il pianeta è fatto di diamante
I ricercatori della Yale University hanno rilevato la "preziosa" composizione chimica di 55 Cancri e, un pianeta situato a circa 40 anni luce di distanza dalla Terra di Andrew Fazekas La superficie di 55 Cancri e, composta in gran parte da grafite, circonda uno spesso strato di diamante. Illustrazione per gentile concessione di Haven Giguere, Yale Vedi anche Il pianeta di diamante che una volta era una stellaLa stella che brilla come un (falso) diamante La vita sulla Terra è arrivata da altri pianeti? L'universo è un po' più "ricco" grazie alla scoperta della composizione chimica di un pianeta situato in una costellazione vicina: è fatto quasi interamente di diamante. Questo pianeta roccioso, battezzato 55 Cancri e, è grande solo due volte la Terra ma ha otto volte la massa del nostro pianeta, caratteristiche che, secondo un nuovo studio, la rendono una cosiddetta "super Terra". Questo pianeta, osservato per la prima volta nel 2011 davanti alla sua stella madre, impiega soltanto 18 ore per compiere un'orbita intorno alla sua stella. Di conseguenza, le temperature di superficie, che raggiungono i 2.150° C (condizioni che rendono inabitabile il pianeta) e il carbonio, creano le condizioni ideali per la formazione di diamanti.
Il nuovo pianeta orbita così vicino alla sua stella che l'intero sistema potrebbe stare dentro al Sole. Illustrazione per gentile concessione Swinburne Astronomy Productions Un pianeta costituito interamente di carbonio e ossigeno e denso come un diamante è stato scoperto osservando una stella pulsar superveloce, denominata PSR J1719-1438, situata nella costellazione del Serpente distante 4 mila anni luce dalla Terra. Secondo le stime degli astronomi il nuovo pianeta ha un diametro di 55 mila chilometri, quasi 5 volte quello terrrestre. Una stella pulsar è un corpo celeste che ruotando vorticosamente su sè stesso con un periodo di pochi millisecondi emette potenti fasci di onde radio dai suoi poli. Quando questi impulsi regolari raggiungono la Terra possono essere captati dai radiotelescopi. Le stelle pulsar si formano quando il nucleo di una stella che esplode in una supernova collassa su sè stesso dando origine appunto a una pulsar.
Una pulsar si trasforma in superveoloce quando inizia a risucchiare massa dalla stella compagna con la quale orbita in un sistema binario. Questo aumento di massa fa ruotare la pulsar molto più velocemente.
I ricercatori della Yale University hanno rilevato la "preziosa" composizione chimica di 55 Cancri e, un pianeta situato a circa 40 anni luce di distanza dalla Terra di Andrew Fazekas La superficie di 55 Cancri e, composta in gran parte da grafite, circonda uno spesso strato di diamante. Illustrazione per gentile concessione di Haven Giguere, Yale Vedi anche Il pianeta di diamante che una volta era una stellaLa stella che brilla come un (falso) diamante La vita sulla Terra è arrivata da altri pianeti? L'universo è un po' più "ricco" grazie alla scoperta della composizione chimica di un pianeta situato in una costellazione vicina: è fatto quasi interamente di diamante. Questo pianeta roccioso, battezzato 55 Cancri e, è grande solo due volte la Terra ma ha otto volte la massa del nostro pianeta, caratteristiche che, secondo un nuovo studio, la rendono una cosiddetta "super Terra". Questo pianeta, osservato per la prima volta nel 2011 davanti alla sua stella madre, impiega soltanto 18 ore per compiere un'orbita intorno alla sua stella. Di conseguenza, le temperature di superficie, che raggiungono i 2.150° C (condizioni che rendono inabitabile il pianeta) e il carbonio, creano le condizioni ideali per la formazione di diamanti.
Il nuovo pianeta orbita così vicino alla sua stella che l'intero sistema potrebbe stare dentro al Sole. Illustrazione per gentile concessione Swinburne Astronomy Productions Un pianeta costituito interamente di carbonio e ossigeno e denso come un diamante è stato scoperto osservando una stella pulsar superveloce, denominata PSR J1719-1438, situata nella costellazione del Serpente distante 4 mila anni luce dalla Terra. Secondo le stime degli astronomi il nuovo pianeta ha un diametro di 55 mila chilometri, quasi 5 volte quello terrrestre. Una stella pulsar è un corpo celeste che ruotando vorticosamente su sè stesso con un periodo di pochi millisecondi emette potenti fasci di onde radio dai suoi poli. Quando questi impulsi regolari raggiungono la Terra possono essere captati dai radiotelescopi. Le stelle pulsar si formano quando il nucleo di una stella che esplode in una supernova collassa su sè stesso dando origine appunto a una pulsar.
Una pulsar si trasforma in superveoloce quando inizia a risucchiare massa dalla stella compagna con la quale orbita in un sistema binario. Questo aumento di massa fa ruotare la pulsar molto più velocemente.
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