mercoledì 10 ottobre 2012
Quanto sei importante
Le persone che contano sono incise fra le pareti della nostra anima. Laddove nessuno può cancellare il loro nome e il tempo non distrugge nulla.
Le persone che contano stanno lì “insieme” a noi, sempre, anche quando le distanze li tengono separati sono lì, più presenti che mai. In quel luogo dove non esiste un “non posso” e nulla è proibito, dove sosta l’amore, dove vive la magia perché è la parte migliore di noi.
E tu sei lì come un dono prezioso in quel luogo “sacro” che si chiama anima, dove tutto è respiro
Le persone che contano stanno lì “insieme” a noi, sempre, anche quando le distanze li tengono separati sono lì, più presenti che mai. In quel luogo dove non esiste un “non posso” e nulla è proibito, dove sosta l’amore, dove vive la magia perché è la parte migliore di noi.
E tu sei lì come un dono prezioso in quel luogo “sacro” che si chiama anima, dove tutto è respiro
Silvana Stremiz
I luoghi di Adolf Hitler :Il Berghof e la Kehlsteinhaus
I luoghi ove il leader del nazismo trascorse la sua avventura alla guida dei "figli" del popolo ariano rappresentano una vera e propria cartina al tornasole del mondo della svastica, fino al drammatico epilogo.
Se i paradisiaci paesaggi del Berghof e della Kehlsteinhaus, nelle alpi bavaresi, fecero da contorno ai felici anni della gloria, il bunker della cancelleria, passando per il lugubre quartier generale di Rastenburg, accompagnò Adolf Hitler, ormai perennemente seppellito in quella sorta di sarcofago di cemento, nel suo appuntamento con la morte, il 30 aprile 1945.
Erano questi i luoghi del fuhrer, degne cornici per quelli che furono gli umori e le vicissitudini di un uomo che sembrava destinato, dall’alto del suo "nido dell’aquila", a dominare il mondo e che invece si vide sprofondare, con l’armata rossa ormai alle porte, all’interno di un’oscura e umida costruzione situata nelle viscere della terra.
Il Berghof
Situato nei dintorni di Berchtesgaden, precisamente nella zona di Obersalzberg, il Berghof fu la villa prediletta di Hitler, il luogo ove questi amava trascorrere i propri momenti di svago e di piacere; ristrutturato dietro precise indicazioni dello stesso Hitler, che non recise mai il suo legame con il mondo dell’arte e al quale si sentiva sempre profondamente legato, il Berghof, proprio per questo motivo, occupò sempre un posto speciale nel cuore del leader nazista; fu in questo meraviglioso luogo, immerso nella alpi bavaresi, che Hitler condivise la suo intimità con le sue donne, a partire dalla nipote Geli Raubal, fino ad arrivare ad Eva Braun, la quale filmò personalmente, con la sua telecamera, diversi momenti di normale vita quotidiana dell’uomo più potente della terra; fu proprio in questo chalet che si tennero delicati vertici politici, destinati a sconvolgere la vita dell’Europa, riunioni militari o più semplicemente raduni mondani e feste, coinvolgenti le personalità più importanti del III reich. Il motivo di tanta passione era d’altronde facilmente intuibile in quanto il Berghof era realmente situato in una posizione invidiabile dalla quale, dall’enorme terrazzo o dalla finestra-vetrata posta all’estremità del salone interno, si poteva godere un panorama mozzafiato; proprio il grande salone era arredato lussuosamente con arazzi e quadri di valore; Hitler era inoltre in possesso di una testa bronzea di Wagner,scolpita dallo scultore Breker e di numerosi dischi del grande autore, riposti su mobili monumentali, ove facevano bella mostra vasi d’argento massiccio e servizi in porcellana di Dresda; nella parte più bassa del salone, cui si accedeva scendendo tre gradini, si poteva invece ammirare un camino bavarese in maiolica, mentre 5 grandi poltrone erano poste intorno ad un tavolo di cristallo; senza dimenticare i numerosi libri di astrologia, che il fuhrer leggeva ed interrogava, confermando gli oscuri legami del nazional-socialismo, con il tenebroso mondo dell’occulto. Le stanze del fuhrer e di Eva Braun, divise da un lussuoso bagno, erano notevolmente più grandi e spaziose delle 14 riservate agli ospiti, situate nell’ultimo piano della villa e in cui campeggiava, onnipresente, il ritratto del leader nazista; tutti coloro che avevano l’onore di essere ricevuti al Berghof dovevano inoltre attenersi a rigide norme comportamentali, elencate su un foglio appositamente consegnato. Proprio l’Obersalzberg sembrava candidato, con il grande reich ormai prossimo alla distruzione, ad ospitare Hitler ed il suo stato maggiore, per una resistenza estrema, ma questo progetto rimase senza seguito per il desiderio del fuhrer di rimanere a Berlino e lì morire.
Il Berghof venne poi bombardato il 25 aprile 1945 da trecento bombardieri inglesi e definitivamente spianato nel 1956; si voleva in questo modo impedire che quel posto da sogno, potesse in futuro divenire meta di nostalgici pellegrinaggi; scomparve in questa maniera il luogo più caro ad Hitler, il suo angolo di paradiso, posto nella magica cornice delle alpi bavaresi, la cui calma, la cui quiete non fu comunque in grado di impedire l’ emanazione di ordini destinati a tramutare in un incubo la vita di decine di migliaia di persone e a dare avvio ad una tragica spirale di morte e violenza. Si può pertanto affermare che quella graziosa e piccola villetta, sperduta tra i monti, ebbe il carattere di assurgere, in numerosi occasioni, a vero e proprio centro del mondo, a luogo che vide sfilare in successione i più importanti e controversi personaggi del secolo appena trascorso, ad anima nera del fuhrer della grande Germania, che trovò linfa vitale, per i suoi macabri e perversi desideri, proprio in quel posto fatato. La Kehlsteinhaus
Fu il famoso "nido dell’aquila", la residenza alpina più bella ma nel contempo meno amata da Hitler. La Kehlsteinhaus era un rifugio che sovrastava il Berghof e il villaggio di Obersalzberg, posto a 1.834 metri di altezza, alle sommità del monte Kehlstein; fu regalata al fuhrer, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, da Martin Borman, che ne curò la costruzione tra il 1936 e il 1938. Per Bormann la costruzione della nuova residenza alpina rappresentava l’ennesima occasione per mettersi in mostra agli occhi di Hitler e, come sempre, si prodigò per colpire e sorprendere il suo fuhrer, avvalendosi dell’organizzazione Todt e di centinaia di operai, sfruttati senza scrupoli e senza alcun riguardo. Ciononostante, l’oscuro segretario, non prese in considerazione la morbosa attenzione di Hitler per le opere architettoniche e commise l’errore di non coinvolgerlo nell’elaborazione dei piani di costruzione; il risultato fu che Hitler snobbò palesemente la nuova residenza, visitata pertanto raramente, preferendo mantenersi legato all’amatissimo Berghof, cui la Kehlsteinhaus era collegata attraverso un’elaborata serie di camminamenti; essi ci sono descritti, insieme alla maestosità del rifugio, dall’ambasciatore francese François Poncet, il quale fu colui che denominò la Kehlsteinhaus come "nido dell’aquila", nome con cui quel luogo sarebbe poi entrato nella storia:
"La strada terminava all’ingresso di un tunnel che portava all’interno della montagna. L’ingresso era chiuso da due massicce porte di bronzo. Al termine del tunnel, da una sala rotonda, entrai in un ascensore spazioso e rivestito di lucidi pannelli di ottone. Arrivai in un edificio tozzo e massiccio dove c’era un portico con colonne romane ed accanto una sala con un’enorme vetrata semicircolare. Giganteschi tronchi di legno bruciavano nel grande camino e c’era un tavolo circolare con una trentina di sedie. La vista panoramica delle montagne assomigliava a quella visibile da un aereo. Lì in fondo giaceva Salisburgo che assomigliava ad un anfiteatro. Villaggi a perdita d’occhio corollavano l’orizzonte fra monti e boschi. La casa di Hitler mi dava l’impressione di essere un edificio costruito fra le nuvole". Per giungere, da valle, al "nido dell’aquila", era necessario attraversare un tunnel di 124 metri, da cui si giungeva dinanzi all’ascensore, decorato con specchi, ottoni e sedili in pelle verde, che, dopo 139 metri di vertiginosa salita all’interno della montagna, portava direttamente all’interno del rifugio.
Nonostante il disinteresse di Hitler, la Kehlsteinhaus era realmente un luogo incantato, in grado di lasciare a bocca aperta qualunque visitatore; essa fu dunque un mero luogo di rappresentanza, sfruttato solamente in occasioni speciali, per suggestionare, con la sua maestosità, gli ospiti ed i diplomatici invitati a Berchtesgaden. Per la costruzione del "nido dell’aquila" Bormann non lesinò alcuna spesa ed il lusso che caratterizzava quel luogo balzava immediatamente agli occhi, richiamando l’attenzione di qualunque visitatore: nel grande atrio ottagonale faceva bella mostra il camino di marmo verde regalato da Mussolini, mentre le ampie vetrate e le balconate lasciavano intravedere un paesaggio che si apriva su Salisburgo e Monaco. A differenza del Berghof, il "nido dell’aquila" di Hitler, è stato risparmiato dalla distruzione ed ancora oggi può essere visitato, in tutta la sua maestosità, come macabro lascito dell’ oscuro mondo della svastica.
Il Berghof
Situato nei dintorni di Berchtesgaden, precisamente nella zona di Obersalzberg, il Berghof fu la villa prediletta di Hitler, il luogo ove questi amava trascorrere i propri momenti di svago e di piacere; ristrutturato dietro precise indicazioni dello stesso Hitler, che non recise mai il suo legame con il mondo dell’arte e al quale si sentiva sempre profondamente legato, il Berghof, proprio per questo motivo, occupò sempre un posto speciale nel cuore del leader nazista; fu in questo meraviglioso luogo, immerso nella alpi bavaresi, che Hitler condivise la suo intimità con le sue donne, a partire dalla nipote Geli Raubal, fino ad arrivare ad Eva Braun, la quale filmò personalmente, con la sua telecamera, diversi momenti di normale vita quotidiana dell’uomo più potente della terra; fu proprio in questo chalet che si tennero delicati vertici politici, destinati a sconvolgere la vita dell’Europa, riunioni militari o più semplicemente raduni mondani e feste, coinvolgenti le personalità più importanti del III reich. Il motivo di tanta passione era d’altronde facilmente intuibile in quanto il Berghof era realmente situato in una posizione invidiabile dalla quale, dall’enorme terrazzo o dalla finestra-vetrata posta all’estremità del salone interno, si poteva godere un panorama mozzafiato; proprio il grande salone era arredato lussuosamente con arazzi e quadri di valore; Hitler era inoltre in possesso di una testa bronzea di Wagner,scolpita dallo scultore Breker e di numerosi dischi del grande autore, riposti su mobili monumentali, ove facevano bella mostra vasi d’argento massiccio e servizi in porcellana di Dresda; nella parte più bassa del salone, cui si accedeva scendendo tre gradini, si poteva invece ammirare un camino bavarese in maiolica, mentre 5 grandi poltrone erano poste intorno ad un tavolo di cristallo; senza dimenticare i numerosi libri di astrologia, che il fuhrer leggeva ed interrogava, confermando gli oscuri legami del nazional-socialismo, con il tenebroso mondo dell’occulto. Le stanze del fuhrer e di Eva Braun, divise da un lussuoso bagno, erano notevolmente più grandi e spaziose delle 14 riservate agli ospiti, situate nell’ultimo piano della villa e in cui campeggiava, onnipresente, il ritratto del leader nazista; tutti coloro che avevano l’onore di essere ricevuti al Berghof dovevano inoltre attenersi a rigide norme comportamentali, elencate su un foglio appositamente consegnato. Proprio l’Obersalzberg sembrava candidato, con il grande reich ormai prossimo alla distruzione, ad ospitare Hitler ed il suo stato maggiore, per una resistenza estrema, ma questo progetto rimase senza seguito per il desiderio del fuhrer di rimanere a Berlino e lì morire.
Il Berghof venne poi bombardato il 25 aprile 1945 da trecento bombardieri inglesi e definitivamente spianato nel 1956; si voleva in questo modo impedire che quel posto da sogno, potesse in futuro divenire meta di nostalgici pellegrinaggi; scomparve in questa maniera il luogo più caro ad Hitler, il suo angolo di paradiso, posto nella magica cornice delle alpi bavaresi, la cui calma, la cui quiete non fu comunque in grado di impedire l’ emanazione di ordini destinati a tramutare in un incubo la vita di decine di migliaia di persone e a dare avvio ad una tragica spirale di morte e violenza. Si può pertanto affermare che quella graziosa e piccola villetta, sperduta tra i monti, ebbe il carattere di assurgere, in numerosi occasioni, a vero e proprio centro del mondo, a luogo che vide sfilare in successione i più importanti e controversi personaggi del secolo appena trascorso, ad anima nera del fuhrer della grande Germania, che trovò linfa vitale, per i suoi macabri e perversi desideri, proprio in quel posto fatato. La Kehlsteinhaus
Fu il famoso "nido dell’aquila", la residenza alpina più bella ma nel contempo meno amata da Hitler. La Kehlsteinhaus era un rifugio che sovrastava il Berghof e il villaggio di Obersalzberg, posto a 1.834 metri di altezza, alle sommità del monte Kehlstein; fu regalata al fuhrer, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, da Martin Borman, che ne curò la costruzione tra il 1936 e il 1938. Per Bormann la costruzione della nuova residenza alpina rappresentava l’ennesima occasione per mettersi in mostra agli occhi di Hitler e, come sempre, si prodigò per colpire e sorprendere il suo fuhrer, avvalendosi dell’organizzazione Todt e di centinaia di operai, sfruttati senza scrupoli e senza alcun riguardo. Ciononostante, l’oscuro segretario, non prese in considerazione la morbosa attenzione di Hitler per le opere architettoniche e commise l’errore di non coinvolgerlo nell’elaborazione dei piani di costruzione; il risultato fu che Hitler snobbò palesemente la nuova residenza, visitata pertanto raramente, preferendo mantenersi legato all’amatissimo Berghof, cui la Kehlsteinhaus era collegata attraverso un’elaborata serie di camminamenti; essi ci sono descritti, insieme alla maestosità del rifugio, dall’ambasciatore francese François Poncet, il quale fu colui che denominò la Kehlsteinhaus come "nido dell’aquila", nome con cui quel luogo sarebbe poi entrato nella storia:
"La strada terminava all’ingresso di un tunnel che portava all’interno della montagna. L’ingresso era chiuso da due massicce porte di bronzo. Al termine del tunnel, da una sala rotonda, entrai in un ascensore spazioso e rivestito di lucidi pannelli di ottone. Arrivai in un edificio tozzo e massiccio dove c’era un portico con colonne romane ed accanto una sala con un’enorme vetrata semicircolare. Giganteschi tronchi di legno bruciavano nel grande camino e c’era un tavolo circolare con una trentina di sedie. La vista panoramica delle montagne assomigliava a quella visibile da un aereo. Lì in fondo giaceva Salisburgo che assomigliava ad un anfiteatro. Villaggi a perdita d’occhio corollavano l’orizzonte fra monti e boschi. La casa di Hitler mi dava l’impressione di essere un edificio costruito fra le nuvole". Per giungere, da valle, al "nido dell’aquila", era necessario attraversare un tunnel di 124 metri, da cui si giungeva dinanzi all’ascensore, decorato con specchi, ottoni e sedili in pelle verde, che, dopo 139 metri di vertiginosa salita all’interno della montagna, portava direttamente all’interno del rifugio.
Nonostante il disinteresse di Hitler, la Kehlsteinhaus era realmente un luogo incantato, in grado di lasciare a bocca aperta qualunque visitatore; essa fu dunque un mero luogo di rappresentanza, sfruttato solamente in occasioni speciali, per suggestionare, con la sua maestosità, gli ospiti ed i diplomatici invitati a Berchtesgaden. Per la costruzione del "nido dell’aquila" Bormann non lesinò alcuna spesa ed il lusso che caratterizzava quel luogo balzava immediatamente agli occhi, richiamando l’attenzione di qualunque visitatore: nel grande atrio ottagonale faceva bella mostra il camino di marmo verde regalato da Mussolini, mentre le ampie vetrate e le balconate lasciavano intravedere un paesaggio che si apriva su Salisburgo e Monaco. A differenza del Berghof, il "nido dell’aquila" di Hitler, è stato risparmiato dalla distruzione ed ancora oggi può essere visitato, in tutta la sua maestosità, come macabro lascito dell’ oscuro mondo della svastica.
Figlio mio
Non smettere mai di sognare ...
I sogni sono la linfa dei nostri desideri .
Ama la vita per come viene ,per ogni gioia ed ogni dolore ,
accetta ogni cosa sempre a testa alta ...
Non rimproverarti mai ,tranne per le cose che riterrai giusto un rimprovero.
Nel dubbio ricordati che lo sbaglio è concesso ,siamo esseri umani , non macchine ...
ma se valutato con il Cuore ,sarà uno sbaglio fatto con Amore ...
Non pensare alle cose futili ,e se non ci riuscirai , non importa ...
Rendile giustificabili a te stesso .
Tomas Antecini
Tomas Antecini
Confcommercio:più Iva,calo consumi
L'incremento dell'Iva, approvato con la legge di stabilità, porterà nel 2013 un aumento dell'inflazione, che passerà dal previsto +1,8% a +2,2%. E verrà così ridotto il potere d'acquisto delle famiglie. E' quanto afferma la Confcommercio, che stima una riduzione dei consumi nel 2013 a -0,9% (da -0,8%). Inoltre, i 5 miliardi che si risparmierebbero con il taglio Irpef, sottolinea Confcommercio, vengono largamente "mangiati" dall'incremento dell'Iva.
Villasimius
Incastonato in una zona costiera incantevole, in provincia di Cagliari, sorge una delle località balneari più rinomate di tutto il bacino mediterraneo: Villasimìus. Luogo ricco di fascino, tesoro d'immenso valore che non ha eguali nel mondo.
Castello d'If
Castello d’If - Una prigione da cui non si poteva evadere
Il castello d’If è tristemente noto come il carcere di Stato da cui era impossibile la fuga, per la sua formidabile, inaccessibile posizione. Tuttavia, deve paradossalmente la sua fama a un prigioniero che non vi fu mai rinchiuso: Edmond Dantès, conte di Montecristo, l’eroe nato dalla fantasia di Alexandre Dumas.
UNA FORTEZZA SUL MARE A DIFESA DI MARSIGLIA – La storia del castello d’If inizia nei primi anni del XVI secolo. Già nel 1516 il re di Francia Francesco I, di passaggio a Marsiglia durante il rientro dall’Italia, punto l’attenzione sul piccolo isolotto d’If, uno spoglio tavoliere roccioso triangolare, di 300 metri per 180, distante poco più di un chilometro dal Vieux Port. Posizione ideale per una fortificazione, che poteva difendere gli accessi al porto e controllare la città. Nel 1521, durante la guerra tra Francesco I e l’imperatore Carlo V, nonostante la vigorosa resistenza opposta da Marsiglia all’esercito imperiale, fu evidente la necessità di una nuova fortificazione a controllo del porto, per garantire la difesa della città. Tre anni dopo, il re ordinò la costruzione di una cittadella avanzata, al fine di controllare il transito delle navi. La scelta cade naturalmente su If, che sembrava sorgere in posizione ideale per questo scopo.
CITTADELLA IMPRENDIBILE…. – Il castello, edificato in pochi anni e completato già nel 1531, è una poderosa costruzione in pietra, a pianta quadrata, con tre angoli difesi da enormi torrioni tondi. Tutt’intorno, alla fine del XVI secolo, verrà eretta una cortina difensiva bastionata, che corre lungo tutto il perimetro dell’isola, e di cui il castello funge da ridotto centrale.
La posizione privilegiata, la robustezza delle mura e l’efficienza della cortina bastionata, in grado di battere con i suoi canoni ogni via d’approccio alla fortificazione, dissuasero le truppe imperiali dall’attaccare Marsiglia. Tuttavia, la fortezza aveva anche lo scopo, non dichiarato ma evidente, di incutere timore nei marsigliesi, sempre pronti a reclamare una maggiore indipendenza, che non videro di buon occhio i cannoni puntati notte e giorno nella loro direzione. Per questo motivo l’isola fu soprannominata ‘insupportabile voisine’ vicina insopportabile. Nonostante ciò, nel corso della storia, If non ebbe mai l’occasione di essere messa alla prova contro nemici o contro la città. Già verso la metà del Cinquecento, la fortezza divenne prigione di Stato. Per più di tre secoli, molti detenuti per ordine reale saranno confinati nelle celle del castello. Vi soggiorneranno, tra gli altri, numerosi ugonotti, arrestati e imprigionati in seguito alla revoca nel 1685, da parte di Luigi XIV, dell’edito di Nantes, che aveva garantito la libertà religiosa nel regno di Francia. Vi trascorse sei mesi anche il conte di Mirabeau, che tuttavia, grazie ad ampie somme di denaro sapientemente elargite, riusci ad avere una cella confortevole e nutrimento adeguato. Vi furono confinati gli insorti dei moti del 1848 e i comunardi del 1871. Per meglio garantire la sicurezza del carcere, la cinta muraria fu ulteriormente fortificata nel 1701, in modo da rendere impensabile ogni tentativo di evasione. Solo nel 1880 il castello concluderà la sua triste funzione.
SENZA VIA DI FUGA – L’unica evasione riuscita nella storia della fortezza rimane quella, puramente letteraria, di Edmund Dantès (‘in un incisione a fronte’). L’eroe de Il conte di Montecristo, il celebre romanzo di Alexandre Dumas, resto confinato in una cella buia e umida della prigione dal 1815 al 1829. Il suo compagno di sventura, l’abate Faria, gli rivelò l’esistenza di un favoloso tesoro nascosto sull’isola Montecristo, grazie al quale, Edmund, rocambolescamente evaso, avrebbe compiuto la sua vendetta. Si tratta appunto di una storia: nessuno è mai riuscito a evadere dall’isola. Anzi, qualcuno, come il generale Kléber, vi rimase confinato… anche da morto.
UN PRIGIONIERO MOLTO SILENZIOSO – Il generale Kléber, al quale Napoleone Bonaparte, rientrato in Francia, aveva affidato l’incarico di comandante in capo dell’esercito francese in Egitto, fu assassinato al Cairo il 14 giugno 1800. La Francia gli tributò grandi onori. Si decise addirittura di erigere un monumento in suo onore. Tuttavia, quando, un anno dopo, il suo corpo fu rimpatriato, la salma, chiusa in una pesante bara di piombo, venne ‘parcheggiata’ nel castello d’If. Dimenticata volutamente dall’imperatore, che trovo nella corrispondenza del suo ex generale vari motivi di malcontento, le spoglie di Kléber furono trasferite a Strasburgo, solo dopo diciotto anni di ‘detenzione’ postuma.
UNA FINZIONE REALE – Per soddisfare la curiosità dei visitatori, una delle celle del castello d’If è stata ribattezzata ‘cella del conte di Montecristo’. Vi è stato persino praticato un buco per ricordare quello realizzato dal prigioniero per la fuga. Si tratta di una concessione all’immagine popolare che, talvolta, ha più presa della realtà storica.
Il castello d’If è tristemente noto come il carcere di Stato da cui era impossibile la fuga, per la sua formidabile, inaccessibile posizione. Tuttavia, deve paradossalmente la sua fama a un prigioniero che non vi fu mai rinchiuso: Edmond Dantès, conte di Montecristo, l’eroe nato dalla fantasia di Alexandre Dumas.
UNA FORTEZZA SUL MARE A DIFESA DI MARSIGLIA – La storia del castello d’If inizia nei primi anni del XVI secolo. Già nel 1516 il re di Francia Francesco I, di passaggio a Marsiglia durante il rientro dall’Italia, punto l’attenzione sul piccolo isolotto d’If, uno spoglio tavoliere roccioso triangolare, di 300 metri per 180, distante poco più di un chilometro dal Vieux Port. Posizione ideale per una fortificazione, che poteva difendere gli accessi al porto e controllare la città. Nel 1521, durante la guerra tra Francesco I e l’imperatore Carlo V, nonostante la vigorosa resistenza opposta da Marsiglia all’esercito imperiale, fu evidente la necessità di una nuova fortificazione a controllo del porto, per garantire la difesa della città. Tre anni dopo, il re ordinò la costruzione di una cittadella avanzata, al fine di controllare il transito delle navi. La scelta cade naturalmente su If, che sembrava sorgere in posizione ideale per questo scopo.
CITTADELLA IMPRENDIBILE…. – Il castello, edificato in pochi anni e completato già nel 1531, è una poderosa costruzione in pietra, a pianta quadrata, con tre angoli difesi da enormi torrioni tondi. Tutt’intorno, alla fine del XVI secolo, verrà eretta una cortina difensiva bastionata, che corre lungo tutto il perimetro dell’isola, e di cui il castello funge da ridotto centrale.
La posizione privilegiata, la robustezza delle mura e l’efficienza della cortina bastionata, in grado di battere con i suoi canoni ogni via d’approccio alla fortificazione, dissuasero le truppe imperiali dall’attaccare Marsiglia. Tuttavia, la fortezza aveva anche lo scopo, non dichiarato ma evidente, di incutere timore nei marsigliesi, sempre pronti a reclamare una maggiore indipendenza, che non videro di buon occhio i cannoni puntati notte e giorno nella loro direzione. Per questo motivo l’isola fu soprannominata ‘insupportabile voisine’ vicina insopportabile. Nonostante ciò, nel corso della storia, If non ebbe mai l’occasione di essere messa alla prova contro nemici o contro la città. Già verso la metà del Cinquecento, la fortezza divenne prigione di Stato. Per più di tre secoli, molti detenuti per ordine reale saranno confinati nelle celle del castello. Vi soggiorneranno, tra gli altri, numerosi ugonotti, arrestati e imprigionati in seguito alla revoca nel 1685, da parte di Luigi XIV, dell’edito di Nantes, che aveva garantito la libertà religiosa nel regno di Francia. Vi trascorse sei mesi anche il conte di Mirabeau, che tuttavia, grazie ad ampie somme di denaro sapientemente elargite, riusci ad avere una cella confortevole e nutrimento adeguato. Vi furono confinati gli insorti dei moti del 1848 e i comunardi del 1871. Per meglio garantire la sicurezza del carcere, la cinta muraria fu ulteriormente fortificata nel 1701, in modo da rendere impensabile ogni tentativo di evasione. Solo nel 1880 il castello concluderà la sua triste funzione.
SENZA VIA DI FUGA – L’unica evasione riuscita nella storia della fortezza rimane quella, puramente letteraria, di Edmund Dantès (‘in un incisione a fronte’). L’eroe de Il conte di Montecristo, il celebre romanzo di Alexandre Dumas, resto confinato in una cella buia e umida della prigione dal 1815 al 1829. Il suo compagno di sventura, l’abate Faria, gli rivelò l’esistenza di un favoloso tesoro nascosto sull’isola Montecristo, grazie al quale, Edmund, rocambolescamente evaso, avrebbe compiuto la sua vendetta. Si tratta appunto di una storia: nessuno è mai riuscito a evadere dall’isola. Anzi, qualcuno, come il generale Kléber, vi rimase confinato… anche da morto.
UN PRIGIONIERO MOLTO SILENZIOSO – Il generale Kléber, al quale Napoleone Bonaparte, rientrato in Francia, aveva affidato l’incarico di comandante in capo dell’esercito francese in Egitto, fu assassinato al Cairo il 14 giugno 1800. La Francia gli tributò grandi onori. Si decise addirittura di erigere un monumento in suo onore. Tuttavia, quando, un anno dopo, il suo corpo fu rimpatriato, la salma, chiusa in una pesante bara di piombo, venne ‘parcheggiata’ nel castello d’If. Dimenticata volutamente dall’imperatore, che trovo nella corrispondenza del suo ex generale vari motivi di malcontento, le spoglie di Kléber furono trasferite a Strasburgo, solo dopo diciotto anni di ‘detenzione’ postuma.
UNA FINZIONE REALE – Per soddisfare la curiosità dei visitatori, una delle celle del castello d’If è stata ribattezzata ‘cella del conte di Montecristo’. Vi è stato persino praticato un buco per ricordare quello realizzato dal prigioniero per la fuga. Si tratta di una concessione all’immagine popolare che, talvolta, ha più presa della realtà storica.
Agarthi - la terra cava
Agarthi è un nome spesso usato per definire una civiltà nascosta all'interno dell'Asia centrale. Nel tantra Kalachakra del buddhismo tibetano viene descritto un regno simile, col nome di Shambhala. Nelle interpretazioni moderne, vi è una identificazione tra Shambhala e Agarthi.
Sotto l'espressione di teoria della Terra cava è raccolto un filone di diverse teorie formulate da pensatori in varie epoche storiche, secondo cui il pianeta Terra sarebbe cavo al proprio interno. Secondo alcune di queste teorie, sotto la superficie terrestre vi sarebbero altre superfici concentriche, che potrebbero a loro volta essere abitate o abitabili.
Il leggendario paradiso di Shambala ha varie analogie con altri luoghi mitici, come la Terra Proibita, la Terra delle Acque Candide, la Terra degli Spiriti Raggianti, la Terra del Fuoco Vivente, la Terra degli Dei Viventi, la Terra delle Meraviglie. Gli indù parlano di Aryavartha, terra d'origine dei Veda; i Cinesi di Hsi Tien, il Paradiso Occidentale di Hsi Wang Mu, la Madre Regale dell'Ovest; La setta cristiana russa dei vecchi credenti la chiamava Belovodye e i Kirghizi Janaidar.
Il leggendario paradiso di Shambala ha varie analogie con altri luoghi mitici, come la Terra Proibita, la Terra delle Acque Candide, la Terra degli Spiriti Raggianti, la Terra del Fuoco Vivente, la Terra degli Dei Viventi, la Terra delle Meraviglie. Gli indù parlano di Aryavartha, terra d'origine dei Veda; i Cinesi di Hsi Tien, il Paradiso Occidentale di Hsi Wang Mu, la Madre Regale dell'Ovest; La setta cristiana russa dei vecchi credenti la chiamava Belovodye e i Kirghizi Janaidar.
Artemisia Lomi Gentileschi
Artemisia Lomi Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 1653) è stata una pittrice italiana di scuola caravaggesca.
Vissuta durante la prima metà del XVII secolo, riprese dal padre Orazio il limpido rigore disegnativo, innestandovi una forte accentuazione drammatica ripresa dalle opere del Caravaggio, caricata di effetti teatrali; stilema che contribuì alla diffusione del caravaggismo a Napoli, città in cui si era trasferita dal 1630. Negli anni Settanta del secolo scorso Artemisia, a partire dalla notorietà assunta dal processo per stupro da essa intentato, diventò un simbolo del femminismo internazionale, con numerose associazioni e circoli ad essa intitolate. Contribuirono alla affermazione di tale immagine la sua figura di donna impegnata a perseguire la propria indipendenza e la propria affermazione artistica contro le molteplice difficoltà e pregiudizi incontrati nella sua vita travagliata.
La tela, che raffigura Giuditta che decapita Oloferne (1612-13), conservata al Museo Capodimonte di Napoli, impressionante per la violenza della scena che raffigura, è stata interpretata in chiave psicologica e psicoanalitica, come desiderio di rivalsa rispetto alla violenza subita.
Infatti Artemisia fu violentata e subì un processo
Il periodo fiorentino (1614-1620)
Giuditta con la sua ancella, Palazzo Pitti, Firenze
Per una donna all'inizio del XVII secolo dedicarsi alla pittura, come fece Artemisia, rappresentava una scelta non comune e difficile, ma non eccezionale. Prima di Artemisia, tra la fine del 500 e l'inizio del 600,
Il giudizio liquidatorio di Longhi a favore di Artemisia come «l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura...» appare alquanto ingeneroso. Tuttavia c'è, sia nell'arte sia nella biografia di Artemisia Gentileschi, qualcosa che la rende specialmente affascinante e che spiega l'interesse di alcuni scrittori e di alcune scrittrici nei suoi confronti.
Per una donna all'inizio del XVII secolo dedicarsi alla pittura, come fece Artemisia, rappresentava una scelta non comune e difficile, ma non eccezionale. Prima di Artemisia, tra la fine del 500 e l'inizio del 600,
Il giudizio liquidatorio di Longhi a favore di Artemisia come «l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura...» appare alquanto ingeneroso. Tuttavia c'è, sia nell'arte sia nella biografia di Artemisia Gentileschi, qualcosa che la rende specialmente affascinante e che spiega l'interesse di alcuni scrittori e di alcune scrittrici nei suoi confronti.
Khalil Gibran
Khalil Gibran (arabo: Jubrān Khalīl Jubrān) (Bsharri, 6 dicembre 1883 – New York, 10 aprile 1931) è stato un poeta, pittore e filosofo libanese.
Libanese di religione cristiano-maronita emigrò negli Stati Uniti; le sue opere si diffusero ben oltre il suo paese d'origine. La sua poesia venne tradotta in oltre 20 lingue, e divenne un mito per i giovani che considerarono le sue opere come breviari mistici. Gibran ha cercato di unire nelle sue opere la civiltà occidentale e quella orientale.
Fra le opere più note: Il Profeta (scritto in inglese) e Massime spirituali.
I privilegi che godono i conviventi dei deputati
Mentre Rosy Bindi fa fuoco e fiamme per impedire che due persone che si amano, siano esse omosessuali o etero, possano godere fuori dal matrimonio degli stessi diritti di cui gode una coppia sposata si scopre che quei diritti (anzi privilegi), quando si tratta dei parlamentari (anche se cessati dal mandato), vengono tranquillamente estesi ai loro partner anche solo se conviventi. E che diritti (anzi privilegi): dalla pensione di reversibilità, alle Terme, alle cure mediche anche se effettuate nelle costosissime cliniche estere. Lo prevede una legge del 1990 e il regolamento di assistenza sanitaria integrativa dei deputati. Ecco cosa prevede all’articolo 2:
E guardate un po’ a cosa hanno diritto i conviventi dei deputati...
... E prestazioni straordinarie
E' stato chiesto – secondo noi giustamente- che questi privilegi vengano estesi (oltre che alle copie etero – anche alle coppie omosessuali presenti in Parlamento... Sì ok, ma quando si discuterà di estenderli anche ai comuni mortali. Non certo i privilegi di cui godono i parlamentari ma almeno i più normali diritti?
Pubblicato da Informare per resistere il 18 luglio 2012.
E guardate un po’ a cosa hanno diritto i conviventi dei deputati...
... E prestazioni straordinarie
E' stato chiesto – secondo noi giustamente- che questi privilegi vengano estesi (oltre che alle copie etero – anche alle coppie omosessuali presenti in Parlamento... Sì ok, ma quando si discuterà di estenderli anche ai comuni mortali. Non certo i privilegi di cui godono i parlamentari ma almeno i più normali diritti?
Pubblicato da Informare per resistere il 18 luglio 2012.
Le ninfee di Monet
Uno dei più grandi esponenti dell’impressionismo francese, Monet, negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla rappresentazione dei fiori che sono divenuti un simbolo della sua arte: le ninfee. A questi fiori il grande artista dedicò un ciclo di circa 250 dipinti che descrivevano il suo giardino, situato a Giverny, una zona poco distante da Parigi. Questo giardino fu realizzato secondo il modello giapponese, con un ponte sullo stagno, salici piangenti, glicini e poi ninfee, iris, tulipani, campanule, gladioli, fiori e piante esotiche. Gli ultimi trent’anni della produzione artistica del pittore furono dedicati intensamente allo studio della luce e del colore di questi fiori, che Monet continuò a dipingere anche quando fu colpito da cataratta. Il pittore impressionista, ad un certo punto della sua vita, si allontanò dal caos della città, decise di vivere in solitudine, nel silenzio, in un luogo dove lo scorrere del tempo era segnato dal fiorire e dallo sfiorire dei fiori
E poi la caccia ....E' chiamata sport
Lo sport è l'insieme di quelle attività fisiche compiute al fine di intrattenere chi le pratica o anche chi ne è spettatore.
Il termine in italiano che più si avvicina all'etimo francese è "diporto", che significa svago, divertimento, ricreazione.
Una concezione, largamente diffusa soprattutto nei paesi con maggiori tradizioni sportive, è che lo sport debba essere considerato un mezzo di trasmissione di valori universali e una scuola di vita che insegna a lottare per ottenere una giusta ricompensa e che aiuta alla socializzazione ed al rispetto tra compagni ed avversari.
Valori dello sport Lealtà Coraggio Tenacia Sfida ai propri limiti Senso dell'appartenenza Rispetto delle regole Rispetto dell'avversario Rispetto di sé stesso Fratellanza universale Spirito di sacrificio Determinazione Affidabilità Coerenza Costanza Gioco di squadra La consapevolezza di se
Notate qualcuno di questi valori nello sport della caccia???
OLTRE ALL'UCCISIONE PURE LO SPREGIO Questo sarebbe un essere umano???
CACCIA
Alcune definizioni dei cacciatori per questo (sport)
Sport, tradizione, amore per la natura
Nel mondo di oggi l’abitudine a considerare i non-umani come oggetti è a tal punto radicata che molte persone considerano lecito e normale uccidere altri animali come passatempo. La caccia e la pesca oggi sottostanno a una serie di norme volte a garantire la sicurezza pubblica (umana) e a impedire, sulla carta, un eccessivo numero di uccisioni tale da creare scompensi negli habitat. Nessuno sembra mettere in discussione il fatto che sia inaccettabile uccidere altri animali. Anzi. Chi difende questa attività è solito accampare giustificazioni quanto mai traballanti. Molte volte si sente parlare di tradizione, altre volte di controllo della fauna selvatica e altre volte persino si sente dire che i cacciatori rispettano l’ambiente e amano gli animali.
Giustificare un’attività che istiga all’uccisione e alla totale mancanza di rispetto di chi è diverso appellandosi ad una tradizione è quanto mai ridicolo. Se applicassimo questo concetto ad altri tipi di tradizioni che sono state abolite oggi vivremmo in un mondo nel quale è accettato possedere e vendere schiavi o bruciare vive le donne sospettate di stregoneria o far combattere all’ultimo sangue le persone in un’arena. Per capire quanto rispettino la natura i cacciatori è sufficiente recarsi in un bosco o in una qualunque altra zona di caccia e fare attenzione alla quantità di cartucce e altri rifiuti che si incontrano tra l’erba o di filo di nylon da pesca nei pressi di fiumi e torrenti. Per tacere della quantità di piombo (metallo pesante cancerogeno) disperso nell’ambiente. Sull’amore verso gli animali ci basta pensare ai carnieri pieni di animali lasciati morire dissanguati o ammassati l’uno sull’altro, o uccisi dai cani da caccia o dilaniati dai pallini di piombo… Allevamenti da ripopolamento Le campagne e le colline nelle quali si svolge l’attività venatoria soffrono enormemente il problema dello spopolamento delle specie cacciabili. In particolare lepri e fagiani ma anche quaglie, starne, pernici ecc. Le associazioni dei cacciatori risolvono in maniera molto semplice questo problema. Gli animali che vengono sterminati durante la stagione di caccia vengono allevati in appositi allevamenti e immessi nel territorio di caccia all’inizio della stagione. Abituati alla costante presenza dell’uomo e completamente spaesati per trovarsi all’improvviso in un ambiente che non conoscono, diventano facile preda dei cacciatori che nell’arco di pochi mesi riportano quasi a zero la popolazione di questi animali. Fagiani (così come altri volatili come le starne) Vengono allevati all’aperto in campi cinti da rete metallica e ricoperti da una voliera di rete plastica sostenuta da pali verticali. Vengono nutriti con mangimi simili a quelli dei polli e tenuti in queste strutture per alcuni mesi. A fine estate vengono dispersi nei campi in zona di caccia e uccisi a fucilate per tutta la stagione venatoria. Lepri Leggermente diverso ma con uguale esito è l’allevamento delle lepri. Sono allevate in gabbia di rete, all’aperto sotto delle tettoie in strutture in parte simili a quelle dei visoni da pelliccia. Essendo la lepre un animale estremamente schivo e solitario, lo stress della continua vicinanza dei propri simili e dell’uomo fa loro patire una vita di tormenti. È proprio per via dello stress e di varie problematiche dovute alla cattività che l’allevamento delle lepri è considerato molto difficile. In natura le lepri partoriscono due o tre cuccioli ad ogni gravidanza e li nascondono nei prati. I piccoli già dai primi giorni iniziano ad integrare il latte materno con l’erba e vengono svezzati in un tempo relativamente breve. La lepre non scava una tana ma si ripara nei fossi o tra l’erba alta. Possiamo solo immaginare cosa possano provare questi animali ad essere intrappolati in una gabbia senza potersi nascondere o fuggire.
Caccia di selezione
Nella sua smania di governare ogni cosa l’uomo pretende oggi di fungere da Padre eterno anche nel controllo delle popolazioni di fauna selvatica. Per consentire all’agricoltura uno sviluppo senza limiti e la sua espansione anche nei territori popolati dagli animali selvatici sono stati fissati dei limiti numerici entro i quali le popolazioni delle specie considerate dannose devono rientrare. È il caso dei caprioli, considerati dannosi per l’agricoltura, ma anche di storni, istrici, daini e cervi. Gli abbattimenti vengono effettuati anche per “riequlibrare” specie considerate in sovrannumero come cinghiali e volpi, sempre arrogandosi il potere di decidere quanti animali hanno diritto di vivere e quanti no. Queste selezioni si basano principalmente sui censimenti ovvero su conteggi delle specie selvatiche effettuati per lo più dalle associazioni venatorie. Inutile dire che i cacciatori hanno tutto l’interesse a far risultare in sovrannumero gli animali di cui poi verrà ordinato l’abbattimento. I selettori (cacciatori ai quali viene affidata la selezione) devono seguire un particolare corso per saper riconoscere anzitutto le specie e più nel dettaglio saper distinguere gli esemplari da uccidere (vecchi o malati) rispetto a quelli in età da riproduzione. La realtà delle cose è però parecchio distante da questo già di per sé discutibile metodo. Soprattutto nel caso degli ungulati i selettori mirano ad abbattere gli animali più vigorosi e con il trofeo più imponente esclusivamente per avere una bella preda da ostentare. Ancor più atroce è la caccia al cinghiale che vede impegnati decine di cacciatori disposti a cerchio su un territorio di svariati ettari e in contatto tra loro via radio. Con l’ausilio dei cani il branco di cinghiali viene stanato e mandato incontro ai cacciatori che nel frattempo stringono il cerchio lasciando gli animali senza via di fuga. In queste battute vengono uccisi decine di animali di ogni età, caricati su camion e furgoni e spartiti tra i partecipanti alla caccia. La selezione alla volpe testimonia forse più di ogni altra la crudeltà e l’insensibilità di queste persone. Considerato un animale sporco e pericoloso, portatore di malattie e parassiti, la volpe viene monitorata e sterminata per mantenere la popolazione bassa. La selezione viene fatta in molti casi sui piccoli, uccisi nelle tane da cani addestrati. Bracconaggio Ogni pratica di caccia che non rientra nelle regole fissate è considerata bracconaggio. Quindi se non si può dire che ogni cacciatore è anche bracconiere, è però vero, quasi nella totalità dei casi, il contrario. Chi caccia di frodo è quasi sempre una persona che caccia anche legalmente. Può trattarsi di qualche cacciatore che piazza trappole (sempre illegali in Italia) o di qualcun altro che durante una battuta regolare uccide delle specie protette o eccede sui limiti consentiti. Noi consideriamo l’uccisione di animali come una pratica da ostacolare indipendentemente dalla sua legalità. È vero però che molti gruppi e associazioni combattendo sul piano legale il bracconaggio riescono a ostacolare in maniera significativa i cacciatori per i quali essere sorpresi in attività illecite può significare anche la revoca della licenza.
Il Collare che da la scossa elettrica
Cani da caccia Tutti i cacciatori vi diranno, se interrogati, di amare i loro cani. Come manifestano questo amore è però una cosa da approfondire. I cani da caccia vengono tenuti per la maggior parte all’interno di box simili a quelli dei canili. I più vengono fatti uscire esclusivamente per l’addestramento o per la caccia. Non sono rari i casi di detenzione in condizioni ai limiti della sopravvivenza, nel fango, tra i loro escrementi, con acqua sporca e poco cibo, senza riparo ecc. Ovviamente non è possibile generalizzare, ma basta guardarsi intorno nelle campagne per rendersi conto della portata di questo fenomeno che non esitiamo a chiamare maltrattamento. L’allevamento e l’addestramento dei cani avviene, come sempre nell’allevamento, con il solo fine di dare un prodotto con caratteristiche funzionali al suo utilizzo. I cani sono selezionati secondo precisi standard e addestrati con metodi che in molti casi si possono definire crudeli. Basta sfogliare le riviste di caccia per vedere inserzioni di collari elettrici da addestramento o anti abbaio. Questi strumenti (dei quali è vietato l’utilizzo ma non la vendita!) vengono allacciati al collo del cane e liberano una scarica elettrica ogni qual volta l’animale compie qualcosa di sbagliato (da addestramento) o abbaia. Altri metodi prevedono privazione di cibo prima delle battute di caccia, punizioni fisiche e psicologiche.
Valori dello sport Lealtà Coraggio Tenacia Sfida ai propri limiti Senso dell'appartenenza Rispetto delle regole Rispetto dell'avversario Rispetto di sé stesso Fratellanza universale Spirito di sacrificio Determinazione Affidabilità Coerenza Costanza Gioco di squadra La consapevolezza di se
Notate qualcuno di questi valori nello sport della caccia???
OLTRE ALL'UCCISIONE PURE LO SPREGIO Questo sarebbe un essere umano???
CACCIA
Alcune definizioni dei cacciatori per questo (sport)
Sport, tradizione, amore per la natura
Nel mondo di oggi l’abitudine a considerare i non-umani come oggetti è a tal punto radicata che molte persone considerano lecito e normale uccidere altri animali come passatempo. La caccia e la pesca oggi sottostanno a una serie di norme volte a garantire la sicurezza pubblica (umana) e a impedire, sulla carta, un eccessivo numero di uccisioni tale da creare scompensi negli habitat. Nessuno sembra mettere in discussione il fatto che sia inaccettabile uccidere altri animali. Anzi. Chi difende questa attività è solito accampare giustificazioni quanto mai traballanti. Molte volte si sente parlare di tradizione, altre volte di controllo della fauna selvatica e altre volte persino si sente dire che i cacciatori rispettano l’ambiente e amano gli animali.
Giustificare un’attività che istiga all’uccisione e alla totale mancanza di rispetto di chi è diverso appellandosi ad una tradizione è quanto mai ridicolo. Se applicassimo questo concetto ad altri tipi di tradizioni che sono state abolite oggi vivremmo in un mondo nel quale è accettato possedere e vendere schiavi o bruciare vive le donne sospettate di stregoneria o far combattere all’ultimo sangue le persone in un’arena. Per capire quanto rispettino la natura i cacciatori è sufficiente recarsi in un bosco o in una qualunque altra zona di caccia e fare attenzione alla quantità di cartucce e altri rifiuti che si incontrano tra l’erba o di filo di nylon da pesca nei pressi di fiumi e torrenti. Per tacere della quantità di piombo (metallo pesante cancerogeno) disperso nell’ambiente. Sull’amore verso gli animali ci basta pensare ai carnieri pieni di animali lasciati morire dissanguati o ammassati l’uno sull’altro, o uccisi dai cani da caccia o dilaniati dai pallini di piombo… Allevamenti da ripopolamento Le campagne e le colline nelle quali si svolge l’attività venatoria soffrono enormemente il problema dello spopolamento delle specie cacciabili. In particolare lepri e fagiani ma anche quaglie, starne, pernici ecc. Le associazioni dei cacciatori risolvono in maniera molto semplice questo problema. Gli animali che vengono sterminati durante la stagione di caccia vengono allevati in appositi allevamenti e immessi nel territorio di caccia all’inizio della stagione. Abituati alla costante presenza dell’uomo e completamente spaesati per trovarsi all’improvviso in un ambiente che non conoscono, diventano facile preda dei cacciatori che nell’arco di pochi mesi riportano quasi a zero la popolazione di questi animali. Fagiani (così come altri volatili come le starne) Vengono allevati all’aperto in campi cinti da rete metallica e ricoperti da una voliera di rete plastica sostenuta da pali verticali. Vengono nutriti con mangimi simili a quelli dei polli e tenuti in queste strutture per alcuni mesi. A fine estate vengono dispersi nei campi in zona di caccia e uccisi a fucilate per tutta la stagione venatoria. Lepri Leggermente diverso ma con uguale esito è l’allevamento delle lepri. Sono allevate in gabbia di rete, all’aperto sotto delle tettoie in strutture in parte simili a quelle dei visoni da pelliccia. Essendo la lepre un animale estremamente schivo e solitario, lo stress della continua vicinanza dei propri simili e dell’uomo fa loro patire una vita di tormenti. È proprio per via dello stress e di varie problematiche dovute alla cattività che l’allevamento delle lepri è considerato molto difficile. In natura le lepri partoriscono due o tre cuccioli ad ogni gravidanza e li nascondono nei prati. I piccoli già dai primi giorni iniziano ad integrare il latte materno con l’erba e vengono svezzati in un tempo relativamente breve. La lepre non scava una tana ma si ripara nei fossi o tra l’erba alta. Possiamo solo immaginare cosa possano provare questi animali ad essere intrappolati in una gabbia senza potersi nascondere o fuggire.
Caccia di selezione
Nella sua smania di governare ogni cosa l’uomo pretende oggi di fungere da Padre eterno anche nel controllo delle popolazioni di fauna selvatica. Per consentire all’agricoltura uno sviluppo senza limiti e la sua espansione anche nei territori popolati dagli animali selvatici sono stati fissati dei limiti numerici entro i quali le popolazioni delle specie considerate dannose devono rientrare. È il caso dei caprioli, considerati dannosi per l’agricoltura, ma anche di storni, istrici, daini e cervi. Gli abbattimenti vengono effettuati anche per “riequlibrare” specie considerate in sovrannumero come cinghiali e volpi, sempre arrogandosi il potere di decidere quanti animali hanno diritto di vivere e quanti no. Queste selezioni si basano principalmente sui censimenti ovvero su conteggi delle specie selvatiche effettuati per lo più dalle associazioni venatorie. Inutile dire che i cacciatori hanno tutto l’interesse a far risultare in sovrannumero gli animali di cui poi verrà ordinato l’abbattimento. I selettori (cacciatori ai quali viene affidata la selezione) devono seguire un particolare corso per saper riconoscere anzitutto le specie e più nel dettaglio saper distinguere gli esemplari da uccidere (vecchi o malati) rispetto a quelli in età da riproduzione. La realtà delle cose è però parecchio distante da questo già di per sé discutibile metodo. Soprattutto nel caso degli ungulati i selettori mirano ad abbattere gli animali più vigorosi e con il trofeo più imponente esclusivamente per avere una bella preda da ostentare. Ancor più atroce è la caccia al cinghiale che vede impegnati decine di cacciatori disposti a cerchio su un territorio di svariati ettari e in contatto tra loro via radio. Con l’ausilio dei cani il branco di cinghiali viene stanato e mandato incontro ai cacciatori che nel frattempo stringono il cerchio lasciando gli animali senza via di fuga. In queste battute vengono uccisi decine di animali di ogni età, caricati su camion e furgoni e spartiti tra i partecipanti alla caccia. La selezione alla volpe testimonia forse più di ogni altra la crudeltà e l’insensibilità di queste persone. Considerato un animale sporco e pericoloso, portatore di malattie e parassiti, la volpe viene monitorata e sterminata per mantenere la popolazione bassa. La selezione viene fatta in molti casi sui piccoli, uccisi nelle tane da cani addestrati. Bracconaggio Ogni pratica di caccia che non rientra nelle regole fissate è considerata bracconaggio. Quindi se non si può dire che ogni cacciatore è anche bracconiere, è però vero, quasi nella totalità dei casi, il contrario. Chi caccia di frodo è quasi sempre una persona che caccia anche legalmente. Può trattarsi di qualche cacciatore che piazza trappole (sempre illegali in Italia) o di qualcun altro che durante una battuta regolare uccide delle specie protette o eccede sui limiti consentiti. Noi consideriamo l’uccisione di animali come una pratica da ostacolare indipendentemente dalla sua legalità. È vero però che molti gruppi e associazioni combattendo sul piano legale il bracconaggio riescono a ostacolare in maniera significativa i cacciatori per i quali essere sorpresi in attività illecite può significare anche la revoca della licenza.
Il Collare che da la scossa elettrica
Cani da caccia Tutti i cacciatori vi diranno, se interrogati, di amare i loro cani. Come manifestano questo amore è però una cosa da approfondire. I cani da caccia vengono tenuti per la maggior parte all’interno di box simili a quelli dei canili. I più vengono fatti uscire esclusivamente per l’addestramento o per la caccia. Non sono rari i casi di detenzione in condizioni ai limiti della sopravvivenza, nel fango, tra i loro escrementi, con acqua sporca e poco cibo, senza riparo ecc. Ovviamente non è possibile generalizzare, ma basta guardarsi intorno nelle campagne per rendersi conto della portata di questo fenomeno che non esitiamo a chiamare maltrattamento. L’allevamento e l’addestramento dei cani avviene, come sempre nell’allevamento, con il solo fine di dare un prodotto con caratteristiche funzionali al suo utilizzo. I cani sono selezionati secondo precisi standard e addestrati con metodi che in molti casi si possono definire crudeli. Basta sfogliare le riviste di caccia per vedere inserzioni di collari elettrici da addestramento o anti abbaio. Questi strumenti (dei quali è vietato l’utilizzo ma non la vendita!) vengono allacciati al collo del cane e liberano una scarica elettrica ogni qual volta l’animale compie qualcosa di sbagliato (da addestramento) o abbaia. Altri metodi prevedono privazione di cibo prima delle battute di caccia, punizioni fisiche e psicologiche.
Elezioni
PENSIAMOCI -la legge ce ne da la possibilità
Esiste un METODO DI ASTENSIONE, che garantisce di essere percentuale votante (ma non delegante)e consente di non far attribuire il proprio non-voto al partito di maggioranza. E’ infatti facoltà dell’elettore far vidimare il certificato elettorale, E AVVALERSI DEL DIRITTO DI RIFIUTARE LA SCHEDA, assicurandosi di far mettere a verbale tale opzione; è possibile inoltre ALLEGARE IN CALCE AL VERBALE, UNA BREVE DICHIARAZIONE IN CUI, SE VUOLE, L’ELETTORE HA IL DIRITTO DI ESPRIMERE LE MOTIVAZIONI DEL SUO RIFIUTO (es.: ‘Nessuno degli schieramenti qui riportati mi rappresenta’).
1) PRESENTARSI AL SEGGIO CON I DOCUMENTI + TESSERA ELETTORALE E FARSI VIDIMARE LA SCHEDA
2) ESERCITARE IL DIRITTO DI RIFIUTARE LA SCHEDA (DOPO VIDIMATA) DANDO LA MOTIVAZIONE
3) PRETENDERE CHE VENGA VERBALIZZATO IL RIFIUTO DELLA SCHEDA
4) ESERCITARE IL PROPRIO DIRITTO METTERE A VERBALE UN COMMENTO CHE GIUSTIFICHI IL RIFIUTO
5) Il segretario dell'Ufficio elettorale che si rifiuta o non allega proteste o reclami dell' elettore è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa sino a lire 4.000.000.
COSI FACENDO NON VOTERETE, ED EVITERETE CHE IL VOTO NULLO O BIANCO SIA CONTEGGIATO COME QUOTA PREMIO PER IL PARTITO CON PIU' VOTI
Testo Unico delle Leggi Elettorali D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 - Art. 104 - Par. 5
Esiste un METODO DI ASTENSIONE, che garantisce di essere percentuale votante (ma non delegante)e consente di non far attribuire il proprio non-voto al partito di maggioranza. E’ infatti facoltà dell’elettore far vidimare il certificato elettorale, E AVVALERSI DEL DIRITTO DI RIFIUTARE LA SCHEDA, assicurandosi di far mettere a verbale tale opzione; è possibile inoltre ALLEGARE IN CALCE AL VERBALE, UNA BREVE DICHIARAZIONE IN CUI, SE VUOLE, L’ELETTORE HA IL DIRITTO DI ESPRIMERE LE MOTIVAZIONI DEL SUO RIFIUTO (es.: ‘Nessuno degli schieramenti qui riportati mi rappresenta’).
1) PRESENTARSI AL SEGGIO CON I DOCUMENTI + TESSERA ELETTORALE E FARSI VIDIMARE LA SCHEDA
2) ESERCITARE IL DIRITTO DI RIFIUTARE LA SCHEDA (DOPO VIDIMATA) DANDO LA MOTIVAZIONE
3) PRETENDERE CHE VENGA VERBALIZZATO IL RIFIUTO DELLA SCHEDA
4) ESERCITARE IL PROPRIO DIRITTO METTERE A VERBALE UN COMMENTO CHE GIUSTIFICHI IL RIFIUTO
5) Il segretario dell'Ufficio elettorale che si rifiuta o non allega proteste o reclami dell' elettore è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa sino a lire 4.000.000.
COSI FACENDO NON VOTERETE, ED EVITERETE CHE IL VOTO NULLO O BIANCO SIA CONTEGGIATO COME QUOTA PREMIO PER IL PARTITO CON PIU' VOTI
Testo Unico delle Leggi Elettorali D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 - Art. 104 - Par. 5
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