lunedì 15 ottobre 2012
Monti Gamburtsev in Antartide.
Un’immagine in 3-D dei Monti Gamburtsev in Antartide. Immagine per gentile concessione British Antarctic Survey
Una misteriosa catena montuosa, incastonata da milioni di anni in una spessa coltre di ghiaccio, sta finalmente tornando alla luce. Secondo una nuova ricerca, i Monti Gamburtsev sembrano essere parte di un rift (una profonda depressione caratterizzata da zone di sprofondamento e creste rialzate che si forma dove le placche tettoniche si separano) che in passato si estendeva per quasi 3.000 chilometri. Il rift si sarebbe originato circa 250 milioni di anni fa, durante lo smembramento del supercontinente Gondwana. Fausto Ferraccioli, del British Antarctic Survey e primo autore della ricerca pubblicata su Nature, spiega che questa enorme massa comprendeva gli attuali continenti dell’emisfero meridionale: India, Africa, Australia e Antartide orientale. Sepolti sotto quasi 5 chilometri di ghiaccio, i Monti Gamburtsev sono rimasti nascosti fino alla metà del Novecento quando un gruppo di ricercatori russi registrò delle insolite variazioni del campo gravitazionale al di sotto della massa di ghiaccio. Studi successivi hanno scoperto l’esistenza di una grande catena montuosa paragonabile alle Alpi, con vette che raggiungono anche i 4.500 metri di altitudine. “Questa è la catena montuosa meno conosciuta della Terra”, spiega Ferraccioli, “studiarla è emozionante come esplorare un nuovo pianeta”. Risonanza magnetica per montagne Di recente, un team internazionale di geofisici, guidati da Ferraccioli, ha sorvolato i Monti Gamburtsev usando apparecchiature radar che consentono di penetrare lo spessore ghiacciato e catturare dettagliate rilevazioni magnetiche e gravitazionali. Il radar mostra le caratteristiche fisiche superficiali delle montagne, mentre le rilevazioni magnetiche e gravitazionali consentono agli scienziati di effettuare una lettura in profondità della crosta terrestre. Ferraccioli spiega che utilizzando questi tre strumenti insieme si ottiene qualcosa di molto simile a una risonanza magnetica, che svela i dettagli più nascosti di una montagna, dalla superficie fino alle sue radici più profonde . Sulla base di questi dati, il gruppo di ricerca ha potuto ricostruire un quadro particolarmente complesso che illustra la storia di queste montagne. Oggi i Monti Gamburtsev sembrano poggiare al di sopra di una catena montuosa più antica, probabilmente formatasi circa 1.1-1.8 miliardi di anni fa. In quel periodo, caratterizzato da un importante processo di collisioni continentali, spiega Ferraccioli, l’Antartide orientale cominciò a formarsi per l’unione di diversi micro-continenti. Col passare del tempo la parte superficiale dell’antica catena montuosa venne erosa, ma la sua radice crostale, che si estendeva per almeno 32 chilometri di profondità al di sotto della catena, rimase nel mantello. Montagne sotto zero Successivamente, quando il rift iniziò a formarsi - proprio come accadde per la più nota Rift Valley in Africa orientale - il calore interno della Terra riscaldò la radice crostale dell’antica catena. Il materiale della radice così surriscaldato si allegerì, ed espandendosi iniziò a galleggiare sempre più in alto nel mantello terrestre. Circa 100 milioni di anni fa, quando il continente indiano staccatosi dall’Antartide orientale iniziò la sua deriva verso Nord, i Monti Gamburtsev iniziarono a sollevarsi. Successivamente, 34 milioni di anni, iniziò la formazione dello spesso strato di ghiaccio che ricopre il continente antartico. “L’intera catena montuosa è stata così inglobata nel ghiaccio, conservandosi perfettamente come in un congelatore”. “Se così non fosse stato, le montagne sarebbero state erose, e noi non avremmo visto un granché”, ha concluso Ferraccioli.
Una misteriosa catena montuosa, incastonata da milioni di anni in una spessa coltre di ghiaccio, sta finalmente tornando alla luce. Secondo una nuova ricerca, i Monti Gamburtsev sembrano essere parte di un rift (una profonda depressione caratterizzata da zone di sprofondamento e creste rialzate che si forma dove le placche tettoniche si separano) che in passato si estendeva per quasi 3.000 chilometri. Il rift si sarebbe originato circa 250 milioni di anni fa, durante lo smembramento del supercontinente Gondwana. Fausto Ferraccioli, del British Antarctic Survey e primo autore della ricerca pubblicata su Nature, spiega che questa enorme massa comprendeva gli attuali continenti dell’emisfero meridionale: India, Africa, Australia e Antartide orientale. Sepolti sotto quasi 5 chilometri di ghiaccio, i Monti Gamburtsev sono rimasti nascosti fino alla metà del Novecento quando un gruppo di ricercatori russi registrò delle insolite variazioni del campo gravitazionale al di sotto della massa di ghiaccio. Studi successivi hanno scoperto l’esistenza di una grande catena montuosa paragonabile alle Alpi, con vette che raggiungono anche i 4.500 metri di altitudine. “Questa è la catena montuosa meno conosciuta della Terra”, spiega Ferraccioli, “studiarla è emozionante come esplorare un nuovo pianeta”. Risonanza magnetica per montagne Di recente, un team internazionale di geofisici, guidati da Ferraccioli, ha sorvolato i Monti Gamburtsev usando apparecchiature radar che consentono di penetrare lo spessore ghiacciato e catturare dettagliate rilevazioni magnetiche e gravitazionali. Il radar mostra le caratteristiche fisiche superficiali delle montagne, mentre le rilevazioni magnetiche e gravitazionali consentono agli scienziati di effettuare una lettura in profondità della crosta terrestre. Ferraccioli spiega che utilizzando questi tre strumenti insieme si ottiene qualcosa di molto simile a una risonanza magnetica, che svela i dettagli più nascosti di una montagna, dalla superficie fino alle sue radici più profonde . Sulla base di questi dati, il gruppo di ricerca ha potuto ricostruire un quadro particolarmente complesso che illustra la storia di queste montagne. Oggi i Monti Gamburtsev sembrano poggiare al di sopra di una catena montuosa più antica, probabilmente formatasi circa 1.1-1.8 miliardi di anni fa. In quel periodo, caratterizzato da un importante processo di collisioni continentali, spiega Ferraccioli, l’Antartide orientale cominciò a formarsi per l’unione di diversi micro-continenti. Col passare del tempo la parte superficiale dell’antica catena montuosa venne erosa, ma la sua radice crostale, che si estendeva per almeno 32 chilometri di profondità al di sotto della catena, rimase nel mantello. Montagne sotto zero Successivamente, quando il rift iniziò a formarsi - proprio come accadde per la più nota Rift Valley in Africa orientale - il calore interno della Terra riscaldò la radice crostale dell’antica catena. Il materiale della radice così surriscaldato si allegerì, ed espandendosi iniziò a galleggiare sempre più in alto nel mantello terrestre. Circa 100 milioni di anni fa, quando il continente indiano staccatosi dall’Antartide orientale iniziò la sua deriva verso Nord, i Monti Gamburtsev iniziarono a sollevarsi. Successivamente, 34 milioni di anni, iniziò la formazione dello spesso strato di ghiaccio che ricopre il continente antartico. “L’intera catena montuosa è stata così inglobata nel ghiaccio, conservandosi perfettamente come in un congelatore”. “Se così non fosse stato, le montagne sarebbero state erose, e noi non avremmo visto un granché”, ha concluso Ferraccioli.
Dal dentista
Ho detto al mio dentista che 100 euro per togliermi un dente mi sembravano troppe per 10 secondi di lavoro e lui mi ha detto: "Ha ragione, lo toglierò molto lentamente!".
Le grotte celesti del Nepal
Nel Mustang, antico regno del Nepal centrosettentrionale, si cela uno dei più grandi misteri archeologici del mondo. In questo luogo spazzato dal vento e dalla polvere, nascosto fra le vette dell’Himalaya e profondamente scavato dal fiume Gandaki, c’è un numero incredibile di grotte artificiali. Alcune, isolate, si aprono come una bocca solitaria su una vasta parete di roccia segnata dalle intemperie; altre si presentano a gruppi, una sfilza di fori che a volte s’innalzano per decine di metri, come un intero quartiere verticale. Alcune sono state scavate nella parete, altre dall’alto. Molte sono antiche di millenni. Secondo una stima prudente, il numero complessivo di grotte nel Mustang raggiunge quota 10 mila. Nessuno sa chi le abbia scavate, o perché. Né si sa come venissero raggiunte (con corde? Con un’impalcatura? Con scale scavate nella roccia? Eventuali testimonianze sono state quasi tutte cancellate). Sette secoli fa il Mustang era un luogo pieno di vita, centro d’arte e di studi buddhisti, e forse anche la via di collegamento più agevole fra i depositi salini del Tibet e le città del subcontinente indiano. Il sale a quei tempi era uno dei beni più preziosi; nel periodo di massima fioritura del regno, dice l’antropologo Charles Ramble della Sorbona di Parigi, gli accidentati sentieri della regione erano battuti dalle carovane.
Nel Mustang, antico regno del Nepal centrosettentrionale, si cela uno dei più grandi misteri archeologici del mondo. In questo luogo spazzato dal vento e dalla polvere, nascosto fra le vette dell’Himalaya e profondamente scavato dal fiume Gandaki, c’è un numero incredibile di grotte artificiali. Alcune, isolate, si aprono come una bocca solitaria su una vasta parete di roccia segnata dalle intemperie; altre si presentano a gruppi, una sfilza di fori che a volte s’innalzano per decine di metri, come un intero quartiere verticale. Alcune sono state scavate nella parete, altre dall’alto. Molte sono antiche di millenni. Secondo una stima prudente, il numero complessivo di grotte nel Mustang raggiunge quota 10 mila. Nessuno sa chi le abbia scavate, o perché. Né si sa come venissero raggiunte (con corde? Con un’impalcatura? Con scale scavate nella roccia? Eventuali testimonianze sono state quasi tutte cancellate). Sette secoli fa il Mustang era un luogo pieno di vita, centro d’arte e di studi buddhisti, e forse anche la via di collegamento più agevole fra i depositi salini del Tibet e le città del subcontinente indiano. Il sale a quei tempi era uno dei beni più preziosi; nel periodo di massima fioritura del regno, dice l’antropologo Charles Ramble della Sorbona di Parigi, gli accidentati sentieri della regione erano battuti dalle carovane.
Miele multicolor
L'ape che mangia caramelle fa il miele blu Ma anche verde o marrone: è successo in Francia. Gli insetti si sono nutriti di confetti colorati anziché di nettare
L'ape che mangia caramelle fa il miele blu Ma anche verde o marrone: è successo in Francia. Gli insetti si sono nutriti di confetti colorati anziché di nettare
La più grande opera di street art 3D del mondo
La Street Art 3D è un’evoluzione dei consueti graffiti o dipinti su pareti e suolo cittadino: i marciapiedi vengono trasformati in cascate, discese ripide, burroni. A Londra, nel quartiere d’affari di Canary Wharf, con la collaborazione di Reebok CrossFit, gli artisti Joe e Max hanno realizzato il più grande murales 3D del mondo (1.160,4 metri quadrati). Il precedente record apparteneva ad un’opera di 892,15 metri quadrati realizzata in Cina.
SE L'INGIUSTIZIA DIVENTA LEGGE, SI HA IL DOVERE DI RESISTERE.
se si crea un precedente ne seguiranno altri
i bambini sono sacri
Lettera aperta a tutti i cittadini Italiani
ECCO COME RISPONDE LA ZIA DI QUESTO BAMBINO SUL MATTINO DI PADOVA:
Sono la zia del video in questione, ringrazio tutti i commenti di sostegno. Per chi se lo domanda, l'unica motivazione addotta dallo "psichiatra" e seguita dai giudici, è stata la PAS. In casa sua il bimbo viveva splendidamente, un bambino modello con tutti 10 a scuola, madre professionista incensurata. La pas è già uscita dal dsm-5 anzi non è mai entrata, ora bisogna farla uscire dai tribunali. Abbiamo bisogno del supporto di tutti. Bisogna ribellarsi ad un paese che usa parole come democrazia e civile, ma non ne conosce il significato. I bambini vanno ascoltati, non sono fantasmi senza parola, volontà e pensiero. Il padre non solo era presente ma è una delle persone che lo trascina per i piedi sull'asfalto, poi in auto e dice di chiudere la portiera in fretta, sul mio braccio tenuto stretto dalla mano di mio nipote. Quindi av ete potuto vederlo e forse capire perché il bambino rifiutasse di vederlo da solo. L'altro a trascinarlo è il famoso psichiatra ctu che diagnostica malattie inesistenti e che doveva essere presente per assicurarsi del "benessere psicofisico" del bimbo. L'altro ancora è un enorme poliziotto in borghese, che tiene braccio e mano sul collo di mio nipote mentre mi chiede di aiutarlo e dice che non respira. Le immagini parlano da sole, io arrivo da lontano, e il bambino, cara questura, era già per terra con 3 adulti addosso. Del resto viene anche da chiedersi come avrei potuto ostacolare tre uomini enormi, da sola, con una telecamera in una mano e l'altra mano che consolava mio nipote, mentre altri avevano immobilizzato mio padre, il nonno invocato dal bimbo in aiuto. Ma per questo oltre che la telecamera ci sono testimoni oculari, quindi non serve dilungarsi oltre. CHI VUOLE AIUTARCI A LIBERARE QUESTO BAMBINO INNOCENTE, COLPEVOLE SOLO DI AVERE PAURA DEL PROPRIO PADRE, A TORTO O RAGIONE, MA LA SUA PAURA RIMANE COME DATO DI FATTO E VA ASCOLTATA, NON IGNORATA; CHI VOGLIA CREDERE A COSA RACCONTA UN BAMBINO O MENO, MA VOGLIA DIFENDERE IL DIRITTO INALIENABILE DEI MINORI AD AVERE UNA VITA SERENA CON I FAMILIARI CHE LI HANNO CRESCIUTI E AD ESSERE CONSIDERATI ESSERI SENZIENTI E DOTATI DI EMOTIVITA' E INTELLIGENZA: VENITE TUTTI DALLE 8 IN POI ALLA SCUOLA ELEMENTARE CORNARO DI CITTADELLA (PD) VIALE DELLO SPORT. SE L'INGIUSTIZIA DIVENTA LEGGE, SI HA IL DOVERE DI RESISTERE. grazie di cuore
Lettera aperta a tutti i cittadini Italiani
ECCO COME RISPONDE LA ZIA DI QUESTO BAMBINO SUL MATTINO DI PADOVA:
Sono la zia del video in questione, ringrazio tutti i commenti di sostegno. Per chi se lo domanda, l'unica motivazione addotta dallo "psichiatra" e seguita dai giudici, è stata la PAS. In casa sua il bimbo viveva splendidamente, un bambino modello con tutti 10 a scuola, madre professionista incensurata. La pas è già uscita dal dsm-5 anzi non è mai entrata, ora bisogna farla uscire dai tribunali. Abbiamo bisogno del supporto di tutti. Bisogna ribellarsi ad un paese che usa parole come democrazia e civile, ma non ne conosce il significato. I bambini vanno ascoltati, non sono fantasmi senza parola, volontà e pensiero. Il padre non solo era presente ma è una delle persone che lo trascina per i piedi sull'asfalto, poi in auto e dice di chiudere la portiera in fretta, sul mio braccio tenuto stretto dalla mano di mio nipote. Quindi av ete potuto vederlo e forse capire perché il bambino rifiutasse di vederlo da solo. L'altro a trascinarlo è il famoso psichiatra ctu che diagnostica malattie inesistenti e che doveva essere presente per assicurarsi del "benessere psicofisico" del bimbo. L'altro ancora è un enorme poliziotto in borghese, che tiene braccio e mano sul collo di mio nipote mentre mi chiede di aiutarlo e dice che non respira. Le immagini parlano da sole, io arrivo da lontano, e il bambino, cara questura, era già per terra con 3 adulti addosso. Del resto viene anche da chiedersi come avrei potuto ostacolare tre uomini enormi, da sola, con una telecamera in una mano e l'altra mano che consolava mio nipote, mentre altri avevano immobilizzato mio padre, il nonno invocato dal bimbo in aiuto. Ma per questo oltre che la telecamera ci sono testimoni oculari, quindi non serve dilungarsi oltre. CHI VUOLE AIUTARCI A LIBERARE QUESTO BAMBINO INNOCENTE, COLPEVOLE SOLO DI AVERE PAURA DEL PROPRIO PADRE, A TORTO O RAGIONE, MA LA SUA PAURA RIMANE COME DATO DI FATTO E VA ASCOLTATA, NON IGNORATA; CHI VOGLIA CREDERE A COSA RACCONTA UN BAMBINO O MENO, MA VOGLIA DIFENDERE IL DIRITTO INALIENABILE DEI MINORI AD AVERE UNA VITA SERENA CON I FAMILIARI CHE LI HANNO CRESCIUTI E AD ESSERE CONSIDERATI ESSERI SENZIENTI E DOTATI DI EMOTIVITA' E INTELLIGENZA: VENITE TUTTI DALLE 8 IN POI ALLA SCUOLA ELEMENTARE CORNARO DI CITTADELLA (PD) VIALE DELLO SPORT. SE L'INGIUSTIZIA DIVENTA LEGGE, SI HA IL DOVERE DI RESISTERE. grazie di cuore
Scie Chimiche
Nel 2011 nei cieli della Costa Azzurra alle 10,30 di uno splendido mattino del 13 agosto sole alto e caldo tre aerei senza simboli hanno girato in lungo e in largo nei cieli a bassa quota lasciando scie anomale che si sono allargate ma sono rimaste persistenti sino verso le 14,30 per poi lasciare un cielo biancastro invece che azzurro come avevo visto verso le 10
Col. Costante De Simone c'era tanto freddo quel giorno che eravamo in costume da bagno!!!!
Le scuse di chi non può o non vuole dire la verità La prova visiva
Col. Costante De Simone c'era tanto freddo quel giorno che eravamo in costume da bagno!!!!
Le scuse di chi non può o non vuole dire la verità La prova visiva
Il canale di Suez
Nessuno è mai riuscito a calcolare il prezzo di vite umane di quelle grandiose costruzioni dell'antichità che furono le piramidi d'Egitto. Si sa invece con sufficiente precisione quanti fellah, cioè proletari contadini egiziani, siano morti per fatica e malattia durante il taglio del Canale di Suez. Nel 1956, quando il canale venne nazionalizzato dall'Egitto, il Governo del Cairo rese nota la cifra, impressionante, di 120 mila vittime, il prezzo del progresso come lo si intendeva nell'Ottocento, quando i Paesi colonialisti poco si curavano delle perdite e delle sofferenze umane.
L'idea di un canale che congiungesse il Mediterraneo con il Mar Rosso non era nuova. Già i faraoni erano riusciti a collegare i due mari sfruttando i bracci del Nilo: un tortuoso corso d'acqua che rimase in funzione per oltre un millennio e mezzo, finché venne abbandonato alle sabbie del deserto. A riaprirlo per qualche tempo furono in seguito i soldati romani di Traiano, cui successero gli arabi del califfo Ibn el-Khattab nel settimo secolo dopo Cristo. Ma dopo il 1200 la zona venne conquistata dai Mamelucchi turchi, che non si curarono di difendere il canale. Questo rimase nuovamente interrato; e così lo trovarono i tecnici europei che, passata la prima metà dell'Ottocento, tornarono a occuparsi del problema. In quell'epoca molti erano convinti che l'impresa fosse irrealizzabile perché, secondo le stime dei tecnici al seguito di Napoleone, fra il Mediterraneo e il Mar Rosso c'era una differenza di livello di nove metri. Fu facile dimostrare che i due mari erano alla stessa quota. Passaggio per l'Oriente Per cominciare la gigantesca opera bisognò attendere che si fosse almeno in parte sopita la rivalità tra Francia e Inghilterra, che erano, con la Germania, le maggiori potenze europee. Gli inglesi non volevano il canale e si battevano per una semplice ferrovia; inoltre ritenevano che lo sforzo si sarebbe risolto in un enorme sperpero di denaro, senza alcun successo pratico. Anche i turchi appoggiavano gli inglesi, in parte per ragioni tecniche, in parte perchè non volevano influenze francesi nella zona. Ma Ferdinand Lesseps, che aveva iniziato la sua carriera come diplomatico, riuscì a far firmare un accordo. Parigi avrebbe fornito i tecnici, le macchine e i capitali necessari; l'Egitto avrebbe concesso la propria mano d'opera: quei fellah destinati a pagare molte volte con la vita il loro sforzo. I lavori andarono avanti fra tremende difficoltà: per 10 anni i progressi furono limitati. Nel 1865 un'epidemia di colera, portata dai pellegrini della Mecca, contribuì a decimare le file dei lavoratori, tanto che il Governo del Cairo ne sospese il reclutamento forzato. Gli egiziani vennero così rimpiazzati da italiani, slavi, spagnoli, greci, sempre con l'ostilità dichiarata della Gran Bretagna. Per ultimare le opere bisognò attendere fino al 1869. In marzo fu abbattuto l'ultimo diaframma di terra e le acque del Mar Rosso si confusero con quelle del Mediterraneo. In novembre, il giorno 17, si ebbe finalmente l'inaugurazione ufficiale. Da Parigi arrivò l'imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, che non sapeva di dover abdicare appena un anno dopo, in seguito alla rovinosa guerra con la Germania. Al fianco del corteo di cammelli cavalcava un signore in cilindro, montato su un purosangue arabo. Era Lesseps, il trionfatore. Fu scomodato, come si sa, anche il sommo Giuseppe Verdi, che per l'apertura del canale compose l'Aida, rappresentata al Cairo con enorme successo. In quel giorno di novembre fu dunque compiuta la più vasta e costosa impresa mai realizzata dall'uomo fino a quell'epoca. Le navi cominciarono a passare, dirigendosi verso l'Oriente
L'idea di un canale che congiungesse il Mediterraneo con il Mar Rosso non era nuova. Già i faraoni erano riusciti a collegare i due mari sfruttando i bracci del Nilo: un tortuoso corso d'acqua che rimase in funzione per oltre un millennio e mezzo, finché venne abbandonato alle sabbie del deserto. A riaprirlo per qualche tempo furono in seguito i soldati romani di Traiano, cui successero gli arabi del califfo Ibn el-Khattab nel settimo secolo dopo Cristo. Ma dopo il 1200 la zona venne conquistata dai Mamelucchi turchi, che non si curarono di difendere il canale. Questo rimase nuovamente interrato; e così lo trovarono i tecnici europei che, passata la prima metà dell'Ottocento, tornarono a occuparsi del problema. In quell'epoca molti erano convinti che l'impresa fosse irrealizzabile perché, secondo le stime dei tecnici al seguito di Napoleone, fra il Mediterraneo e il Mar Rosso c'era una differenza di livello di nove metri. Fu facile dimostrare che i due mari erano alla stessa quota. Passaggio per l'Oriente Per cominciare la gigantesca opera bisognò attendere che si fosse almeno in parte sopita la rivalità tra Francia e Inghilterra, che erano, con la Germania, le maggiori potenze europee. Gli inglesi non volevano il canale e si battevano per una semplice ferrovia; inoltre ritenevano che lo sforzo si sarebbe risolto in un enorme sperpero di denaro, senza alcun successo pratico. Anche i turchi appoggiavano gli inglesi, in parte per ragioni tecniche, in parte perchè non volevano influenze francesi nella zona. Ma Ferdinand Lesseps, che aveva iniziato la sua carriera come diplomatico, riuscì a far firmare un accordo. Parigi avrebbe fornito i tecnici, le macchine e i capitali necessari; l'Egitto avrebbe concesso la propria mano d'opera: quei fellah destinati a pagare molte volte con la vita il loro sforzo. I lavori andarono avanti fra tremende difficoltà: per 10 anni i progressi furono limitati. Nel 1865 un'epidemia di colera, portata dai pellegrini della Mecca, contribuì a decimare le file dei lavoratori, tanto che il Governo del Cairo ne sospese il reclutamento forzato. Gli egiziani vennero così rimpiazzati da italiani, slavi, spagnoli, greci, sempre con l'ostilità dichiarata della Gran Bretagna. Per ultimare le opere bisognò attendere fino al 1869. In marzo fu abbattuto l'ultimo diaframma di terra e le acque del Mar Rosso si confusero con quelle del Mediterraneo. In novembre, il giorno 17, si ebbe finalmente l'inaugurazione ufficiale. Da Parigi arrivò l'imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, che non sapeva di dover abdicare appena un anno dopo, in seguito alla rovinosa guerra con la Germania. Al fianco del corteo di cammelli cavalcava un signore in cilindro, montato su un purosangue arabo. Era Lesseps, il trionfatore. Fu scomodato, come si sa, anche il sommo Giuseppe Verdi, che per l'apertura del canale compose l'Aida, rappresentata al Cairo con enorme successo. In quel giorno di novembre fu dunque compiuta la più vasta e costosa impresa mai realizzata dall'uomo fino a quell'epoca. Le navi cominciarono a passare, dirigendosi verso l'Oriente
I celti
I Celti sono la popolazione antica più importante dell'Europa. Insieme ai Romani e ai Greci i Celti hanno costruito quella che è oggi l'Europa moderna. Per consuetudine, questa cultura racchiude in sé ancori tantissimi misteri che gli studiosi al giorno d'oggi devono ancora capire. Vi è infatti mistero circa la loro provenienza; riguardo ai loro riti; sui vari oggetti cultuali; come mai, a detta di numerosi studiosi, i Celti hanno così tante affinità con i Greci, i Fenici e altri popoli, distanti da loro molti chilometri.
Particolare dei Celti è anche il loro costante essere riferiti ad Atlantide. Le tradizioni celtiche irlandesi fanno spesso risalire la loro origine ai tre figli di Noè: Sem, Cam e Jafet, che dopo il Diluvio avrebbero lasciato l'avanzato mondo atlantideo per colonizzare poi tutta la Terra. Abbiamo detto che questo popolo ha parecchie analogie anche con i Greci, con i Fenici e altri popoli antichi; significa forse che questa popolazione è parente stretta delle stirpi mediterranee? Perchè a questo punto non considerare il continente Atlantideo come punto di partenza per svelare l'enigma?
Celti e Greci potevano essere discendenti di un unico ceppo proveniente da Atlantide; i tre figli di Noè potrebbero essere stati iniziatori di queste civiltà, addetti alla colonizzazione e al ripopolamento di nuove terre. Maè da ritenere che forse la colonizzazione avvenne anche per evitare che una cultura così potente e maestosa venisse dimenticata. Ecco spiegato come mai così tante analogie tra il pantheon celtico e quello greco, tra certi riti comuni, tra certi modi di concepire la vita molto simili in entrambi i casi.
La stessa vicenda di Ulisse, descritta da Omero nell'Odissea, si dice sia stata ambientata o sia realmente avvenuta (se volessimo prendere in considerazione la teoria che tali storie fossero state ispirate da eventi avvenuti realmente), non nel Mediterraneo, ma nel mar Baltico. Infatti, le isole Shetland e le Faer Or potrebbero essere state benissimo teatro di queste storie, anche perché il lato folkloristico di queste ultime ce lo lascia credere facilmente. Accantoniamo per un momento le analogie tra i Greci e i Celti e concentriamoci sul rapporto tra Atlantide e i Celti.
Nel ciclo di Artù, di forte derivazione celtica, si parla di Avalon, una misteriosa e lontana terra ove Artù andò a curarsi dopo le ferite riportate nella battaglia di Camlan. Può essere Avalon la nostra Atlantide? Non lo possiamo sapere, anche perchè la vicenda si complica: un racconto cristiano vuole Giuseppe di Arimatea (già conosciuto come custode del Sacro Graal) partire alla volta di Avalon, seguito da dodici seguaci sfuggiti come lui alla persecuzione (da notare la seguente analogia: 12 dèi per il pantehon Greco, 12 per quello Celtico, 12 i cavalieri della Tavola Rotonda, 12 gli apostoli e anche 12 i seguaci di Giuseppe di Arimatea).
Arrivati a una collina di Avalon Giuseppe piantò un bastone di biancospino simboleggiando che il viaggio aveva avuto termine. Questo misterioso bastone mise radici e fiorì nonostante la stagione un po' inclemente, era infatti il 6 di Gennaio del vecchio calendario: il Natale originario.
Secondo alcuni questo biancospino era già sacro ai Celti pagani d'Irlanda, inevitabilmente cristianizzati col racconto di Avalon. Ricordiamo inoltre che il ciclo di Artù ha spesso e volentieri a che fare con la ricerca del sacro Graal. Ma allora, perchè non pensare che tutto faccia parte di un comune schema? Potrebbero i Celti, il Graal, il Cristianesimo, Avalon, re Artù, essere tutti quanti facce di una stessa medaglia? Tutte queste leggende potrebbero derivare da un'unica fonte, Atlantide?
Anche i misteriosi campi Elisi descritti come gruppo di isole e visti come dei veri e propri paradisi potrebbero essere stati parte dell'isola di Atlantide. Parti non sommerse del perduto continente?
Analizziamo quindi un altro mistero del mondo celtico: la leggenda, molto radicata nella tradizione celtica, di una città, una residenza sommersa situata a non pochi passi dalla contea di Cornovaglia. Questa città ha il nome di Ys, parola celtica che significa "basso". Qui viveva una certa Dahud, il cui nome significa "La buona strega". Ella, figlia del re di Cornovaglia Grablon, si era costruita una magnifica città sotto il mare (da ciò la parola Ys) protetta da una diga. La principessa rubò al padre la chiave della chiusa, la quale, aperta per errore, causò la distruzione del mondo sottomarino.
Secondo il Prof. Jeah Markle questa ragazza conduceva una vita dissoluta e questa dissolutezza venne accentuata ancora di più dopo che la leggenda subì il flusso del Cristianesimo. Fu così condannata da Dio e dagli uomini anche perché rea di aver sfidato le leggi patriarcali e di essersi resa sovrana assoluta della città di Ys. Sempre secondo il giudizio divino, infine, essa sarebbe dovuta perire assieme alla sua città.
La leggenda non termina qui. Si dice infatti che Dahud viva ancora nel suo meraviglioso palazzo in fondo al mare e aspetti il momento adatto per ritornare in superficie. Quando questo avverrà, Ys sarà la città più bella e più ricca del mondo. È veramente esistita questa città e la sua strega oppure la vicenda di Dahud è solo leggenda? Alcuni ricercatori sono dell'opinione che la città sia esistita veramente, poiché si sono verificati effettivamente dei cataclismi verso il 1200 a.C. che potrebbero aver ispirato gli antichi racconti. A seguito di queste inondazioni il livello dei mari, dei laghi e delle paludi si abbassò in Europa di qualche metro, e il processo venne accelerato dalla diminuzione di umidità. Ma alla fine dell'età del bronzo o nel primo periodo di Hallstatt (530 a.C.) avvenne un nuovo mutamento climatico. In seguito a piogge diluviali che provocarono inondazioni, le coste del Mar del Nord vennero parzialmente sommerse, e con esse parecchi porti del Baltico, della Bretagna, del Galles e dell'Irlanda. In queste inondazioni anche Ys sarebbe potuta essere stata sommersa, poiché vicina alle coste Inglesi. La collera divina che fa definitivamente scomparire la città dai flutti e la capacità magiche di Dahud forse sono solo fantasie o aggiunte da parte della Chiesa cristiana. Certo che l'esistenza di questa città e il fatto che molti porti furono travolti dalle acque ci suggerisce il fatto che potrebbero essere esistite veramente terre simili. Le ultime vestigia di Atlantide? I campi Elisi erano parte di queste isole? Ys era forse una eco della civiltà Atlantidea, in parte ancora in piedi nel 1200 a.C.? Dahud faceva forse parte dell'élite Atalntidea? Atlantide,secondo le leggende, affondò all'incirca nel 10.000 a.C. Come è possibile che nel 1200 a.C. fosse ancora abitata?
Atlantide era un continente che ospitava una razza superiore, non possiamo dire se giunta della stelle o nativa del pianeta terra, che aveva un grande sapere di tipo tecnologico, spirituale e filosofico. Per cause naturali: terremoti, eruzioni vulcaniche, maremoti o per l'uso, secondo alcuni studiosi, improprio di energia nucleare o di un eccessivo potere dei diamanti da parte di sacerdoti corrotti, vide segnata la sua fine. Una fine che tuttavia non fu totale, sia perché c'era tutto un mondo da colonizzare sia perchè qualche pezzo di terra di questo continente potrebbe essere rimasto abitabile. C'è da considerare tuttavia che la colonizzazione avvenne in parecchi anni e in questo lungo periodo di colonizzazione, dall'originale nucleo atlantideo nacquero nuove etnie quali i Greci, i Fenici, i popoli del Mare, i Cretesi, gli Egizi e i Celti. Durante questo periodo di migrazioni e colonizzazioni dovette esserci un capo, coordinatore dei sopravvissuti. Questo capo potrebbe essere stato benissimo il re Grablon, visto come un sacerdote-mago dotato di poteri particolari, che ha un forte corrispettivo nella casta sacerdotale dei Druidi. Forse l'attributo re è stato dato solo per disegnare le sue capacità, tali da sembrare degne appunto di un monarca. Ricordiamo infatti dalla storia antica che il re spesso e volentieri era visto come un Dio. Questo re-sacerdote aveva una figlia, anche essa'dotata di poteri particolari, tanto da meritarsi l'appellativo di Dahud (buona strega), che per capriccio si fece fare questa stupenda residenza sottomarina. Improvvisamente, nel 1200 a.C. un altro maremoto sconvolse la Terra, e Ys venne cancellata insieme alle numerosi isole del vecchio continente Atlantideo, inabissandosi a chissà quale profondità. Divenne così parte della leggenda e fu attribuito a Dio l'opera della sua distruzione. La leggenda vuole inoltre che Ys riposi ancora nelle profondità del mare, in attesa di riemergere e tornare al suo antico splendore. Forse gli Atlantidei superstiti dimorano ancora nelle profondità degli oceani con lo scopo di ricostruire il loro regno? Ys sarebbe soltanto un piccolo pezzo di un immenso impero perduto! Riferendoci al passato infatti potrebbe essere stata una buona colonia degnamente costruita per dar sostegno agli ultimi superstiti del mondo prediluviano, ma allo stesso tempo un ottimo e geniale mezzo per diffondere la civiltà su altre terre. Inoltre, è da considerare che questa civiltà portò la cultura non solo in Inghilterra, ma all'intero globo, dando vita alla nostra civiltà globale. Noi siamo parte di questa cultura, poiché siamo parte dei Celti, dei Greci e di tutti gli altri popoli del Mediterraneo.
PASQUALE ARCIUOLO
La leggenda non termina qui. Si dice infatti che Dahud viva ancora nel suo meraviglioso palazzo in fondo al mare e aspetti il momento adatto per ritornare in superficie. Quando questo avverrà, Ys sarà la città più bella e più ricca del mondo. È veramente esistita questa città e la sua strega oppure la vicenda di Dahud è solo leggenda? Alcuni ricercatori sono dell'opinione che la città sia esistita veramente, poiché si sono verificati effettivamente dei cataclismi verso il 1200 a.C. che potrebbero aver ispirato gli antichi racconti. A seguito di queste inondazioni il livello dei mari, dei laghi e delle paludi si abbassò in Europa di qualche metro, e il processo venne accelerato dalla diminuzione di umidità. Ma alla fine dell'età del bronzo o nel primo periodo di Hallstatt (530 a.C.) avvenne un nuovo mutamento climatico. In seguito a piogge diluviali che provocarono inondazioni, le coste del Mar del Nord vennero parzialmente sommerse, e con esse parecchi porti del Baltico, della Bretagna, del Galles e dell'Irlanda. In queste inondazioni anche Ys sarebbe potuta essere stata sommersa, poiché vicina alle coste Inglesi. La collera divina che fa definitivamente scomparire la città dai flutti e la capacità magiche di Dahud forse sono solo fantasie o aggiunte da parte della Chiesa cristiana. Certo che l'esistenza di questa città e il fatto che molti porti furono travolti dalle acque ci suggerisce il fatto che potrebbero essere esistite veramente terre simili. Le ultime vestigia di Atlantide? I campi Elisi erano parte di queste isole? Ys era forse una eco della civiltà Atlantidea, in parte ancora in piedi nel 1200 a.C.? Dahud faceva forse parte dell'élite Atalntidea? Atlantide,secondo le leggende, affondò all'incirca nel 10.000 a.C. Come è possibile che nel 1200 a.C. fosse ancora abitata?
Atlantide era un continente che ospitava una razza superiore, non possiamo dire se giunta della stelle o nativa del pianeta terra, che aveva un grande sapere di tipo tecnologico, spirituale e filosofico. Per cause naturali: terremoti, eruzioni vulcaniche, maremoti o per l'uso, secondo alcuni studiosi, improprio di energia nucleare o di un eccessivo potere dei diamanti da parte di sacerdoti corrotti, vide segnata la sua fine. Una fine che tuttavia non fu totale, sia perché c'era tutto un mondo da colonizzare sia perchè qualche pezzo di terra di questo continente potrebbe essere rimasto abitabile. C'è da considerare tuttavia che la colonizzazione avvenne in parecchi anni e in questo lungo periodo di colonizzazione, dall'originale nucleo atlantideo nacquero nuove etnie quali i Greci, i Fenici, i popoli del Mare, i Cretesi, gli Egizi e i Celti. Durante questo periodo di migrazioni e colonizzazioni dovette esserci un capo, coordinatore dei sopravvissuti. Questo capo potrebbe essere stato benissimo il re Grablon, visto come un sacerdote-mago dotato di poteri particolari, che ha un forte corrispettivo nella casta sacerdotale dei Druidi. Forse l'attributo re è stato dato solo per disegnare le sue capacità, tali da sembrare degne appunto di un monarca. Ricordiamo infatti dalla storia antica che il re spesso e volentieri era visto come un Dio. Questo re-sacerdote aveva una figlia, anche essa'dotata di poteri particolari, tanto da meritarsi l'appellativo di Dahud (buona strega), che per capriccio si fece fare questa stupenda residenza sottomarina. Improvvisamente, nel 1200 a.C. un altro maremoto sconvolse la Terra, e Ys venne cancellata insieme alle numerosi isole del vecchio continente Atlantideo, inabissandosi a chissà quale profondità. Divenne così parte della leggenda e fu attribuito a Dio l'opera della sua distruzione. La leggenda vuole inoltre che Ys riposi ancora nelle profondità del mare, in attesa di riemergere e tornare al suo antico splendore. Forse gli Atlantidei superstiti dimorano ancora nelle profondità degli oceani con lo scopo di ricostruire il loro regno? Ys sarebbe soltanto un piccolo pezzo di un immenso impero perduto! Riferendoci al passato infatti potrebbe essere stata una buona colonia degnamente costruita per dar sostegno agli ultimi superstiti del mondo prediluviano, ma allo stesso tempo un ottimo e geniale mezzo per diffondere la civiltà su altre terre. Inoltre, è da considerare che questa civiltà portò la cultura non solo in Inghilterra, ma all'intero globo, dando vita alla nostra civiltà globale. Noi siamo parte di questa cultura, poiché siamo parte dei Celti, dei Greci e di tutti gli altri popoli del Mediterraneo.
PASQUALE ARCIUOLO
La cappella di Rosslyn è una chiesa situata a Roslin, nel Midlothian in Scozia (vicino ad Edimburgo), la costruzione ebbe inizio precisamente il 21 settembre del 1446, ad opera di William Sinclair (membro della nobilissima famiglia Sinclair) e terminò 4 anni dopo, il 21 settembre 1450, giorno dell'equinozio d'autunno. Inizialmente la chiesa fu dedicata a San Matteo apostolo ed evangelista proprio perché il 21 settembre corrisponde nel calendario gregoriano al giorno di San Matteo.
La struttura si caratterizza in modo particolare per le intense e bellissime decorazioni presenti sulle colonne, inoltre è presente anche una strana decorazione sul soffitto, secondo alcuni quest'ultima è una specie di codice che però nessuno finora è mai riuscito a decifrare. All'interno della chiesa si trovano anche due colonne particolari denominate la "colonna del maestro" e la colonna "dell'apprendista". Lo stesso Sinclair aveva disegnato una colonna molto elaborata e di forma molto originale. Si narra che il maestro scalpellino non fosse in grado di realizzare la colonna voluta da Sinclair, ma l'apprendista ebbe in sogno i segreti per poterla creare a perfezione e ci riuscì. Il maestro per invidia creò così un'altra colonna, ma quest'ultima, anche se particolare, non arrivò mai alla bellezza di quella dell'apprendista
Oltre al famoso soffitto indecifrabile, la cappella si distingue anche per una serie di curiosi miti e leggende sorte su di essa e attorno ad essa, infatti pur essendo stata costruita più di un secolo dopo la fine dei Templari essa presenta diversi elementi che richiamerebbero la simbologia ad essi associata (come ad esempio le raffigurazioni di un cavallo con due cavalieri). Inoltre una leggenda vuole che la cappella di Rosslyn sia stata costruita imitando l'architettura del leggendario Tempio di Salomone: mettendo a paragone la pianta della Chiesa di Salomone e quella di Rosslyn, si può notare che la forma è identica. Stando ad alcuni studiosi (ipotesi recentemente ripresa dallo scrittore Dan Brown nel suo romanzo Il codice da Vinci) la cappella di Rosslyn sarebbe il luogo dove sarebbe (o è stato) custodito il Santo Graal, che si narra fosse nascosto nella colonna dell'apprendista; leggenda vuole, che uno studioso recatosi nella Chiesa con un Metal Detector avesse ispezionato tutta la colonna: arrivato a metà colonna, il metal detector cominciò a suonare; l'autorizzazione per compiere delle ricerche approfondite, non è però mai stata concessa.
Altri studiosi però hanno negato sia la similitudine col tempio di Salomone che qualsiasi simbologia templare. Secondo Mark Oxbrow e Ian Robertson "la cappella di Rosslyn assomiglia al Tempio di Salomone come un mattone assomiglia a un libro", mentre il bassorilievo templare spesso citato mostra un solo cavaliere e la seconda figura è un angelo che tiene una croce. La famiglia St. Clair (poi divenuta Sinclair) inoltre non era in buoni rapporti con i Templari, tanto che William St Clair, nel processo tenuto ad Edimburgo nel 1309, testimoniò in loro sfavore. Molte delle sculture che oggi si vedono nella cappella di Rosslyn non risalgono all'epoca dell'edificazione ma alla seconda metà dell'Ottocento, quando la cappella in rovina venne restaurata da parte dell'architetto David Bryce, che era massone. I tanto discussi "angeli massonici" della parete est infatti sono stati aggiunti in occasione di quei lavori, come moltissime altre sculture negli archi e nelle volte. Lo stesso Robert St Clair-Erskine divenuto Earl di Rosslyn nel 1866 fu Gran Maestro di logge massoniche dal 1870 fino alla morte avvenuta nel 1890.
La struttura si caratterizza in modo particolare per le intense e bellissime decorazioni presenti sulle colonne, inoltre è presente anche una strana decorazione sul soffitto, secondo alcuni quest'ultima è una specie di codice che però nessuno finora è mai riuscito a decifrare. All'interno della chiesa si trovano anche due colonne particolari denominate la "colonna del maestro" e la colonna "dell'apprendista". Lo stesso Sinclair aveva disegnato una colonna molto elaborata e di forma molto originale. Si narra che il maestro scalpellino non fosse in grado di realizzare la colonna voluta da Sinclair, ma l'apprendista ebbe in sogno i segreti per poterla creare a perfezione e ci riuscì. Il maestro per invidia creò così un'altra colonna, ma quest'ultima, anche se particolare, non arrivò mai alla bellezza di quella dell'apprendista
Oltre al famoso soffitto indecifrabile, la cappella si distingue anche per una serie di curiosi miti e leggende sorte su di essa e attorno ad essa, infatti pur essendo stata costruita più di un secolo dopo la fine dei Templari essa presenta diversi elementi che richiamerebbero la simbologia ad essi associata (come ad esempio le raffigurazioni di un cavallo con due cavalieri). Inoltre una leggenda vuole che la cappella di Rosslyn sia stata costruita imitando l'architettura del leggendario Tempio di Salomone: mettendo a paragone la pianta della Chiesa di Salomone e quella di Rosslyn, si può notare che la forma è identica. Stando ad alcuni studiosi (ipotesi recentemente ripresa dallo scrittore Dan Brown nel suo romanzo Il codice da Vinci) la cappella di Rosslyn sarebbe il luogo dove sarebbe (o è stato) custodito il Santo Graal, che si narra fosse nascosto nella colonna dell'apprendista; leggenda vuole, che uno studioso recatosi nella Chiesa con un Metal Detector avesse ispezionato tutta la colonna: arrivato a metà colonna, il metal detector cominciò a suonare; l'autorizzazione per compiere delle ricerche approfondite, non è però mai stata concessa.
Altri studiosi però hanno negato sia la similitudine col tempio di Salomone che qualsiasi simbologia templare. Secondo Mark Oxbrow e Ian Robertson "la cappella di Rosslyn assomiglia al Tempio di Salomone come un mattone assomiglia a un libro", mentre il bassorilievo templare spesso citato mostra un solo cavaliere e la seconda figura è un angelo che tiene una croce. La famiglia St. Clair (poi divenuta Sinclair) inoltre non era in buoni rapporti con i Templari, tanto che William St Clair, nel processo tenuto ad Edimburgo nel 1309, testimoniò in loro sfavore. Molte delle sculture che oggi si vedono nella cappella di Rosslyn non risalgono all'epoca dell'edificazione ma alla seconda metà dell'Ottocento, quando la cappella in rovina venne restaurata da parte dell'architetto David Bryce, che era massone. I tanto discussi "angeli massonici" della parete est infatti sono stati aggiunti in occasione di quei lavori, come moltissime altre sculture negli archi e nelle volte. Lo stesso Robert St Clair-Erskine divenuto Earl di Rosslyn nel 1866 fu Gran Maestro di logge massoniche dal 1870 fino alla morte avvenuta nel 1890.
Il dolcificante Aspartame - cancerogeno
Gli effetti cancerogeni multipotenti dell’aspartame
Dottor Morando Soffritti* – tratto da “L’Ecologist italiano” nr.4
L’aspartame è un dolcificante artificiale consumato nel mondo da oltre 200 milioni di persone. E’ utilizzato in oltre 6000 prodotti, fra i quali bevande light, gomme da masticare, dolciumi, caramelle, yogurt, farmaci, in particolare sciroppi e antibiotici per bambini. E’ stato calcolato che la quantità media di aspartame assunta giornalmente da coloro che ne fanno uso è di circa 2-3 mg/Kg di peso corporeo e, per quanto riguarda bambini e donne in età di gravidanza, fino a 4-5 mg/Kg. La quantità giornaliera di assunzione di aspartame permessa dalle normative vigenti è di 40 e 50 mg/Kg di peso corporeo, rispettivamente in Europa e negli USA.
I risultati dello studio hanno evidenziato che: 1) l'aspartame induce un aumento dose-correlato, statisticamente significativo, dell'incidenza di linfomi e leucemie maligni del rene nei ratti femmine e tumori maligni dei nervi periferici nei ratti maschi. Tale aumento statisticamente significativo è stato osservato anche alla dose di 20 mg/Kg di peso corporeo, una dose inferiore a quella ammessa per l'uomo dalla normativa vigente Considerando che i risultati dei saggi sperimentali condotti sui roditori sono altamente predittivi dei rischi cancerogeni per l'uomo, come riconosciuto dall'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC) dell'Organizzazione mondiale della Sanità, i risultati di questo studio impongono, da parte degli organi preposti, un urgente riesame dei livelli di assunzione permissibili dell'aspartame. E importante inoltre sottolineare che per un agente cancerogeno, non esiste una soglia al di sotto della quale tale agente può essere considerato sicuro per l'uomo. Non bisogna inoltre dimenticare che l'obbiettivo di garantire la qualità degli alimenti è sempre stato perseguito con particolare attenzione dai legislatori. Negli Stati Uniti per esempio, dal 1958 è in vigore una norma, conosciuta come emendamento Delaney, la quale stabilisce che "non può essere ammesso nessun additivo per l'alimentazione umana in qualsivoglia quantitativo per il quale appropriati test abbiano dimostrato che causa l'insorgenza del cancro se somministrato a esseri umani o animali". Mentre tale norma nel 1996 è stata rivista nella sua applicazione per quanto riguardo i pesticidi, rimane in vigore per gli additivi alimentari, compreso quindi l'aspartame.
Il problema della sicurezza dei dolcificanti artificiali è da tempo noto e la necessità di poter avere conoscenze scientifiche adeguate è urgente, soprattutto per la diffusione che sempre di più stanno avendo i beni di consumi ipocalorici. Basti pensare che, secondo un servizio apparso sul New York Times il 15 maggio 2005, solo negli Stati Uniti sono stati introdotti nell'ultimo anno 2.225 nuovi beni di consumo senza zucchero, una cifra che rappresenta l’11 % di tutti i nuovi prodotti alimentari immessi nel mercato statunitense. Per questo motivo la FER ha da tempo in atto un programma di ricerche per valutare i potenziali rischi cancerogeni dei dolcificanti artificiali più diffusi. I dati pubblicati recentemente sull'aspartame sono solamente i primi.
* Morando Soffritti è direttore scientifico della Fondazione Europea di Oncologia e Scienze Ambientali “B. Ramazzini”
L’aspartame è un dolcificante artificiale consumato nel mondo da oltre 200 milioni di persone. E’ utilizzato in oltre 6000 prodotti, fra i quali bevande light, gomme da masticare, dolciumi, caramelle, yogurt, farmaci, in particolare sciroppi e antibiotici per bambini. E’ stato calcolato che la quantità media di aspartame assunta giornalmente da coloro che ne fanno uso è di circa 2-3 mg/Kg di peso corporeo e, per quanto riguarda bambini e donne in età di gravidanza, fino a 4-5 mg/Kg. La quantità giornaliera di assunzione di aspartame permessa dalle normative vigenti è di 40 e 50 mg/Kg di peso corporeo, rispettivamente in Europa e negli USA.
I risultati dello studio hanno evidenziato che: 1) l'aspartame induce un aumento dose-correlato, statisticamente significativo, dell'incidenza di linfomi e leucemie maligni del rene nei ratti femmine e tumori maligni dei nervi periferici nei ratti maschi. Tale aumento statisticamente significativo è stato osservato anche alla dose di 20 mg/Kg di peso corporeo, una dose inferiore a quella ammessa per l'uomo dalla normativa vigente Considerando che i risultati dei saggi sperimentali condotti sui roditori sono altamente predittivi dei rischi cancerogeni per l'uomo, come riconosciuto dall'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC) dell'Organizzazione mondiale della Sanità, i risultati di questo studio impongono, da parte degli organi preposti, un urgente riesame dei livelli di assunzione permissibili dell'aspartame. E importante inoltre sottolineare che per un agente cancerogeno, non esiste una soglia al di sotto della quale tale agente può essere considerato sicuro per l'uomo. Non bisogna inoltre dimenticare che l'obbiettivo di garantire la qualità degli alimenti è sempre stato perseguito con particolare attenzione dai legislatori. Negli Stati Uniti per esempio, dal 1958 è in vigore una norma, conosciuta come emendamento Delaney, la quale stabilisce che "non può essere ammesso nessun additivo per l'alimentazione umana in qualsivoglia quantitativo per il quale appropriati test abbiano dimostrato che causa l'insorgenza del cancro se somministrato a esseri umani o animali". Mentre tale norma nel 1996 è stata rivista nella sua applicazione per quanto riguardo i pesticidi, rimane in vigore per gli additivi alimentari, compreso quindi l'aspartame.
Il problema della sicurezza dei dolcificanti artificiali è da tempo noto e la necessità di poter avere conoscenze scientifiche adeguate è urgente, soprattutto per la diffusione che sempre di più stanno avendo i beni di consumi ipocalorici. Basti pensare che, secondo un servizio apparso sul New York Times il 15 maggio 2005, solo negli Stati Uniti sono stati introdotti nell'ultimo anno 2.225 nuovi beni di consumo senza zucchero, una cifra che rappresenta l’11 % di tutti i nuovi prodotti alimentari immessi nel mercato statunitense. Per questo motivo la FER ha da tempo in atto un programma di ricerche per valutare i potenziali rischi cancerogeni dei dolcificanti artificiali più diffusi. I dati pubblicati recentemente sull'aspartame sono solamente i primi.
* Morando Soffritti è direttore scientifico della Fondazione Europea di Oncologia e Scienze Ambientali “B. Ramazzini”
Il ghepardo
Con una falcata che può raggiungere i 30 metri al secondo, i ghepardi (Acinonyx jubatus) sono gli animali terrestri più veloci al mondo. Un bolide che deve il suo primato sia alla struttura ossea, grazie alla colonna vertebrale molto flessibile e a dita in grado di coordinare curve e rallentamenti, sia a quella muscolare, con fibre ad alta potenza concentrate soprattutto nella parte posteriore del corpo. E proprio in questa "trazione posteriore" risiederebbe il segreto del suo primato di velocità, almeno secondo uno studio giapponese dell'Università di Yamaguchi, pubblicato su Mammalian Biology.
Secondo gli scienziati, le fibre muscolari del ghepardo sono di due tipi: quelle "lente" - o di Tipo I - cruciali per sostenere sforzi prolungati ma meno utili negli sprint, e quelle "veloci" - di Tipo IIx - che al contrario sprigionano una grande potenza ma sono molto meno resistenti agli sforzi. I muscoli di questi felini sarebbero composti da un'alta percentuale di fibre "veloci", ma soprattutto la scoperta sorprendente è che le cellule dei due Tipi sono distribuite in modo differente negli arti posteriori rispetto agli anteriori. Come dire che le zampe davanti abbondano di cellule "lente", mentre quelle "veloci" risiederebbero soprattutto nelle zampe posteriori, nel torace e nelle dita dell'animale.
Cave di marmo a Chile Chico
Chile Chico è in realtà un piccolo paese della Provincia di General Carrera, Cile , Sud America.
Famosa è la Grotta interamente in marmo.
Per lo più esplorate dai geologi, ma anche preferito dai vacanzieri media,
Queste grotte sono certamente una pietra miliare di Chile Chico.
Il luogo è completamente naturale ed è assolutamente mozzafiato.
Il marmo bianco che forma la caverna e le numerose gallerie rendono il luogo intrigante, attraente. L'esplorazione della grotta può essere effettuata solo in barca.
Chile Chico è in realtà un piccolo paese della Provincia di General Carrera, Cile , Sud America.
Famosa è la Grotta interamente in marmo.
Per lo più esplorate dai geologi, ma anche preferito dai vacanzieri media,
Queste grotte sono certamente una pietra miliare di Chile Chico.
Il luogo è completamente naturale ed è assolutamente mozzafiato.
Il marmo bianco che forma la caverna e le numerose gallerie rendono il luogo intrigante, attraente. L'esplorazione della grotta può essere effettuata solo in barca.
Solo chi ti vuole bene capisce tre cose di te ...
Solo chi ti vuole bene capisce tre cose di te...
Il dolore dietro al sorriso...
L'amore dietro la tua rabbia...
Le ragioni dietro il tuo silenzio...
Il disonore alla patria non merita monumenti
Per ricordare questo criminale di guerra la Regione Lazio ha stanziato 180 mila euro di denaro pubblico a favore del comune di Affile, di cui Graziani in realtà non era neanche cittadino (era nato a Filettino, vicino Frosinone) nè residente. Vi soggiornò solo per un breve periodo dopo gli anni del carcere. Ma il sindaco del paese, Ercole Viri, va fiero del monumento-mausoleo, un parallelepipedo di mattoni costato 127 mila euro, su cui campeggiano le due parole chiave del fascismo d’ogni epoca: “patria” e “onore”.
GRAZIANI, Rodolfo. - Nacque a Filettino l'11 ag. 1882 Parliamo del «più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Un generale fascista, collaborazionista dei nazisti e ricercato, per un periodo, come criminale di guerra dalla giustizia internazionale. Fu nel periodo coloniale che Graziani diede il meglio di sè. Nel 1921 fu inviato in Libia. Braccio destro di Badoglio il quale scriveva a Graziani il 20 giugno 1930 "La portata e la gravità di questo provvedimento, vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica" (Roma, Arch. centrale dello Stato, Fondo Graziani, b. 1, f. 2, sottofasc. 2). Badoglio non poteva trovare un esecutore dei suoi ordini più zelante del Graziani; in pochi mesi egli portò a compimento la deportazione dei 100.000 Cirenaici, la metà dei quali morirono nei lager del deserto per malattie, maltrattamenti, scarsa alimentazione ed esecuzioni capitali. Dopo dieci anni interamente spesi a braccare e a sterminare i patrioti libici, il Graziani, cominciò a raccogliere i frutti della sua frenetica attività. Badoglio lo additò, infatti, alla riconoscenza di tutti gli Italiani di Libia. De Bono lo citò alla Camera e al Senato come benemerito della patria. Per conseguire queste vittorie, che gli fruttarono il bastone da maresciallo e il titolo nobiliare di marchese di Neghelli, il Graziani adottò i metodi più spietati. Fu il primo a impiegare i gas per rallentare la marcia di ras Destà su Dolo. Non esitò, per logorare il morale degli avversari, a sottoporre le città di Harar, Giggiga e Dagabùr a bombardamenti a tappeto. Usò la divisione "Libia", costituita esclusivamente da soldati di fede musulmana e perciò nemici implacabili degli Etiopici di religione cristiana, come uno strumento per seminare panico e orrore, perché i Libici non facevano prigionieri. Autorizzò, inoltre, il bombardamento di un ospedale da campo svedese, provocando il disappunto dello stesso Mussolini, che si preoccupò per l'indignazione che l'episodio aveva suscitato a livello mondiale. Il 2 febbr. 1932 il ministro della Guerra C. Gazzera lo promosse al grado di generale di corpo d'armata per meriti speciali. Ordinò inoltre di mettere in stato d'assedio una città intera lasciando al federale fascista G. Cortese il compito di organizzare la rappresaglia, che fu selvaggia e indiscriminata. Per tre interi giorni squadre di militari e di civili italiani e di ascari libici percorsero le vie della capitale incendiando le abitazioni degli indigeni e massacrando tutti gli Etiopici che giungevano a tiro. Un preciso bilancio della strage non fu mai fatto, e anche se appare esagerata la cifra di 30.000 morti, avanzata nel dopoguerra dalle autorità etiopiche, è certo che le vittime della repressione non furono meno di 4000. Anche in queste operazioni, che si conclusero nel febbraio 1937 con il completo annientamento degli Etiopici, il Graziani adottò la politica del pugno di ferro. Non riconoscendo ai suoi avversari il diritto di battersi in difesa della loro patria, fece impiccare ras Destà e fucilare i fratelli Cassa. La stessa sorte toccò all'abuna Petros che cadde ucciso mentre benediceva con la croce copta gli otto carabinieri del plotone di esecuzione. Dopo un attentato Alla fine di agosto, i soli carabinieri avevano passato per le armi 2509 indigeni; senza contare altre migliaia di Etiopici tradotti nei campi di concentramento di Nocra e di Danane, mentre i notabili non collaborazionisti erano stati inviati in esilio in Italia. Essendo infine emersa l'ipotesi che a ispirare gli attentatori fosse stato il clero copto della città conventuale di Debra Libanòs, il G., pur non disponendo che di vaghi indizi, ordinò al generale P. Maletti di passare per le armi tutti i monaci e i diaconi della città santa e di confermare l'esito delle operazioni con le parole "liquidazione completa". Già ufficiale subalterno del G. in Libia, avvezzo a eseguire gli ordini nella maniera più tassativa, Maletti portò a termine la sua missione tra il 21 e il 27 maggio 1937, prima rastrellando tutti i religiosi di Debrà Libanòs e successivamente sopprimendoli con raffiche di mitragliatrice nelle località di Laga Wolde e di Engecha. Dai telegrammi inviati dal viceré a Mussolini risulta che le vittime delle stragi furono 449. Ma da indagini compiute sul campo negli anni Novanta, le dimensioni delle stragi appaiono ben più rilevanti, tanto che si è ipotizzata una cifra che oscilla tra i 1400 e i 2000 morti Rientrato in Italia fu accusato, fra l'altro, di codardia, per aver diretto le operazioni da una tomba tolemaica di Cirene, profonda trenta metri e lontana dal fronte alcune centinaia di chilometri, Rinviato a giudizio l'11 ott. 1948 dinanzi alla corte di assise di Roma e poi, avendo questa riconosciuto la propria incompetenza per materia, dinanzi al tribunale militare speciale di Roma, il G., il 2 maggio 1950, fu condannato a 19 anni di carcere per "collaborazionismo militare col tedesco"; ma, grazie ai vari condoni, quattro mesi dopo il verdetto poteva tornare in libertà. Il governo imperiale etiopico chiese, in applicazione dell'art. 45 del trattato di pace, la sua estradizione per processarlo per i numerosi crimini di guerra, ma la richiesta di Addis Abeba cadde nel vuoto.Si spense a Roma l'11 genn. 1955.
GRAZIANI, Rodolfo. - Nacque a Filettino l'11 ag. 1882 Parliamo del «più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Un generale fascista, collaborazionista dei nazisti e ricercato, per un periodo, come criminale di guerra dalla giustizia internazionale. Fu nel periodo coloniale che Graziani diede il meglio di sè. Nel 1921 fu inviato in Libia. Braccio destro di Badoglio il quale scriveva a Graziani il 20 giugno 1930 "La portata e la gravità di questo provvedimento, vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica" (Roma, Arch. centrale dello Stato, Fondo Graziani, b. 1, f. 2, sottofasc. 2). Badoglio non poteva trovare un esecutore dei suoi ordini più zelante del Graziani; in pochi mesi egli portò a compimento la deportazione dei 100.000 Cirenaici, la metà dei quali morirono nei lager del deserto per malattie, maltrattamenti, scarsa alimentazione ed esecuzioni capitali. Dopo dieci anni interamente spesi a braccare e a sterminare i patrioti libici, il Graziani, cominciò a raccogliere i frutti della sua frenetica attività. Badoglio lo additò, infatti, alla riconoscenza di tutti gli Italiani di Libia. De Bono lo citò alla Camera e al Senato come benemerito della patria. Per conseguire queste vittorie, che gli fruttarono il bastone da maresciallo e il titolo nobiliare di marchese di Neghelli, il Graziani adottò i metodi più spietati. Fu il primo a impiegare i gas per rallentare la marcia di ras Destà su Dolo. Non esitò, per logorare il morale degli avversari, a sottoporre le città di Harar, Giggiga e Dagabùr a bombardamenti a tappeto. Usò la divisione "Libia", costituita esclusivamente da soldati di fede musulmana e perciò nemici implacabili degli Etiopici di religione cristiana, come uno strumento per seminare panico e orrore, perché i Libici non facevano prigionieri. Autorizzò, inoltre, il bombardamento di un ospedale da campo svedese, provocando il disappunto dello stesso Mussolini, che si preoccupò per l'indignazione che l'episodio aveva suscitato a livello mondiale. Il 2 febbr. 1932 il ministro della Guerra C. Gazzera lo promosse al grado di generale di corpo d'armata per meriti speciali. Ordinò inoltre di mettere in stato d'assedio una città intera lasciando al federale fascista G. Cortese il compito di organizzare la rappresaglia, che fu selvaggia e indiscriminata. Per tre interi giorni squadre di militari e di civili italiani e di ascari libici percorsero le vie della capitale incendiando le abitazioni degli indigeni e massacrando tutti gli Etiopici che giungevano a tiro. Un preciso bilancio della strage non fu mai fatto, e anche se appare esagerata la cifra di 30.000 morti, avanzata nel dopoguerra dalle autorità etiopiche, è certo che le vittime della repressione non furono meno di 4000. Anche in queste operazioni, che si conclusero nel febbraio 1937 con il completo annientamento degli Etiopici, il Graziani adottò la politica del pugno di ferro. Non riconoscendo ai suoi avversari il diritto di battersi in difesa della loro patria, fece impiccare ras Destà e fucilare i fratelli Cassa. La stessa sorte toccò all'abuna Petros che cadde ucciso mentre benediceva con la croce copta gli otto carabinieri del plotone di esecuzione. Dopo un attentato Alla fine di agosto, i soli carabinieri avevano passato per le armi 2509 indigeni; senza contare altre migliaia di Etiopici tradotti nei campi di concentramento di Nocra e di Danane, mentre i notabili non collaborazionisti erano stati inviati in esilio in Italia. Essendo infine emersa l'ipotesi che a ispirare gli attentatori fosse stato il clero copto della città conventuale di Debra Libanòs, il G., pur non disponendo che di vaghi indizi, ordinò al generale P. Maletti di passare per le armi tutti i monaci e i diaconi della città santa e di confermare l'esito delle operazioni con le parole "liquidazione completa". Già ufficiale subalterno del G. in Libia, avvezzo a eseguire gli ordini nella maniera più tassativa, Maletti portò a termine la sua missione tra il 21 e il 27 maggio 1937, prima rastrellando tutti i religiosi di Debrà Libanòs e successivamente sopprimendoli con raffiche di mitragliatrice nelle località di Laga Wolde e di Engecha. Dai telegrammi inviati dal viceré a Mussolini risulta che le vittime delle stragi furono 449. Ma da indagini compiute sul campo negli anni Novanta, le dimensioni delle stragi appaiono ben più rilevanti, tanto che si è ipotizzata una cifra che oscilla tra i 1400 e i 2000 morti Rientrato in Italia fu accusato, fra l'altro, di codardia, per aver diretto le operazioni da una tomba tolemaica di Cirene, profonda trenta metri e lontana dal fronte alcune centinaia di chilometri, Rinviato a giudizio l'11 ott. 1948 dinanzi alla corte di assise di Roma e poi, avendo questa riconosciuto la propria incompetenza per materia, dinanzi al tribunale militare speciale di Roma, il G., il 2 maggio 1950, fu condannato a 19 anni di carcere per "collaborazionismo militare col tedesco"; ma, grazie ai vari condoni, quattro mesi dopo il verdetto poteva tornare in libertà. Il governo imperiale etiopico chiese, in applicazione dell'art. 45 del trattato di pace, la sua estradizione per processarlo per i numerosi crimini di guerra, ma la richiesta di Addis Abeba cadde nel vuoto.Si spense a Roma l'11 genn. 1955.
IL CUBISMO
Tre dei dipinti più emblematici del XX secolo vennero concepiti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, ma godettero di ben diversa fortuna critica. «Les demoiselles d’Avignon» di Picasso, 1907, e il «Nu bleu» di Matisse, realizzato lo stesso anno e il Bacio di Klimt 1908 Una delle più note avanguardie pittoriche della prima decade del Novecento è stato certamente il Cubismo il cui anno di nascita si fa risalire al 1907, anno in cui Pablo Picasso dipinse il quadro Les demoiselles d'Avignon. Inizialmente, il cubismo si rifece all'arte primitiva accogliendone in special modo la tendenza concettuale e l'attitudine per una forma d'espressione astratta. Successivamente invece, cifra propria di questa avanguardia pittorica divenne la simultaneità di prospettive, la compresenza di figure ed oggetti tutti posti sullo stesso piano e la scomposizione geometrica di uno stesso soggetto in più parti smembrate. Fra i tre artisti sicuramente i due più di spicco furono Matisse e Picasso. Nota è la loro rivalità (un gioco irresistibile)S'influenzarono l'un l'altro «Nessuno ha mai guardato i quadri di Matisse più attentamente di me, e nessuno ha guardato i miei più attentamente di lui», ammise Picasso. Picasso e Matisse sono due poli dell' anima, l' acido e il basico della pittura, Questa partita a rimpiattino tra i due durerà apertamente una decina d'anni. Picasso continuerà a succhiare spunti a Matisse, ma a riproporli stravolti, come se dicesse: ecco come dovevi fare. Solo alla morte di Matisse, nel 1954, potrà rubare, finalmente libero, forme e soggetti: «Quando Matisse morì mi lasciò le odalische in eredità». Dirà infatti: «E questa è la mia idea d' Oriente, benché non ci sia mai stato». Come mostrano i celebri collages, che ricopierà quasi impunemente, Picasso non avrà più bisogno di competere. Gustav Klimt è il pittore più rappresentativo dell'art nouveau. Partito da una formazione artistica ancora tradizionale, diviene uno dei massimi esponenti della secessione viennese. In lui prevalgono il simbolo, l'evocazione della realtà, piuttosto che la sua rappresentazione; la linea elegante, morbida e sinuosa, la bidimensionalità delle forme, l'accostamento sapiente dei colori, il preziosismo, in una fusione e in un assorbimento delle più svariate componenti, che vanno dalla conoscenza dei mosaici di Ravenna (fulgore e divisionismo cromatico, superamento della realtà, assenza di volumetria) fino alle più recenti acquisizioni artistiche (simbolismo, decadentismo) e psicoanalitiche (l'espressione dell'inconscio attraverso il segno pittorico). Ma l'arte di Klimt non è tutta o soltanto espressione di un mondo interiore morbosamente angosciato, come appare in molte sue opere: egli è capace di rendere anche l'ultima magica poesia di un bel paesaggio o la forza interiore che emana dai visi di alcuni ritratti femminili.
Tre dei dipinti più emblematici del XX secolo vennero concepiti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, ma godettero di ben diversa fortuna critica. «Les demoiselles d’Avignon» di Picasso, 1907, e il «Nu bleu» di Matisse, realizzato lo stesso anno e il Bacio di Klimt 1908 Una delle più note avanguardie pittoriche della prima decade del Novecento è stato certamente il Cubismo il cui anno di nascita si fa risalire al 1907, anno in cui Pablo Picasso dipinse il quadro Les demoiselles d'Avignon. Inizialmente, il cubismo si rifece all'arte primitiva accogliendone in special modo la tendenza concettuale e l'attitudine per una forma d'espressione astratta. Successivamente invece, cifra propria di questa avanguardia pittorica divenne la simultaneità di prospettive, la compresenza di figure ed oggetti tutti posti sullo stesso piano e la scomposizione geometrica di uno stesso soggetto in più parti smembrate. Fra i tre artisti sicuramente i due più di spicco furono Matisse e Picasso. Nota è la loro rivalità (un gioco irresistibile)S'influenzarono l'un l'altro «Nessuno ha mai guardato i quadri di Matisse più attentamente di me, e nessuno ha guardato i miei più attentamente di lui», ammise Picasso. Picasso e Matisse sono due poli dell' anima, l' acido e il basico della pittura, Questa partita a rimpiattino tra i due durerà apertamente una decina d'anni. Picasso continuerà a succhiare spunti a Matisse, ma a riproporli stravolti, come se dicesse: ecco come dovevi fare. Solo alla morte di Matisse, nel 1954, potrà rubare, finalmente libero, forme e soggetti: «Quando Matisse morì mi lasciò le odalische in eredità». Dirà infatti: «E questa è la mia idea d' Oriente, benché non ci sia mai stato». Come mostrano i celebri collages, che ricopierà quasi impunemente, Picasso non avrà più bisogno di competere. Gustav Klimt è il pittore più rappresentativo dell'art nouveau. Partito da una formazione artistica ancora tradizionale, diviene uno dei massimi esponenti della secessione viennese. In lui prevalgono il simbolo, l'evocazione della realtà, piuttosto che la sua rappresentazione; la linea elegante, morbida e sinuosa, la bidimensionalità delle forme, l'accostamento sapiente dei colori, il preziosismo, in una fusione e in un assorbimento delle più svariate componenti, che vanno dalla conoscenza dei mosaici di Ravenna (fulgore e divisionismo cromatico, superamento della realtà, assenza di volumetria) fino alle più recenti acquisizioni artistiche (simbolismo, decadentismo) e psicoanalitiche (l'espressione dell'inconscio attraverso il segno pittorico). Ma l'arte di Klimt non è tutta o soltanto espressione di un mondo interiore morbosamente angosciato, come appare in molte sue opere: egli è capace di rendere anche l'ultima magica poesia di un bel paesaggio o la forza interiore che emana dai visi di alcuni ritratti femminili.
Les demoiselles d'Avignon |
il «Nu bleu» |
il Bacio |
Felix Baumgartner - Lancio dallo Spazio 39000 metri d'altitudine
Lancio Felix Baumgartner - Autentica impresa e record a livello mondiale per l'austriaco che si lancia da 39000 metri di quota.
Il paracadutista austriaco si è lanciato da oltre 39.000 (la quota di lancio era prevista di 36.576 metri) e non solo ha battutto il record del superamento della velocità del suono, ma ha anche battuto il record di un uomo più in alto nell'atmosfera senza l'aiuto di velivoli (detenuto dal 1960 dal colonnello dell’aeronautica Usa, Joe Kittering, che si era lanciato da 31.333 metri) e anche la quota più alta verso cui è stato lanciato un pallone aerostatico.
Il pallone contenente la capsula, partito alle 17.30 ora italiana, è arrivato a 39.060 metri esattamente dopo 2 ore e 37 minuti. Raggiunta la quota di lancio, il paracadutista si è tuffato nel vuoto alle 20.08, aprendo il paracadute dopo pochi minuti e toccando terra alle 20.16.
Felix Baumgartner, poco prima di lanciarsi, ha avuto la freddezza di inviare un messaggio su Twitter: “100% adrenalina”. Poi è diventato ufficialmente il primo essere umano ad aver infranto il muro del suono in caduta libera, che a quella quota corrisponde a 1.110 km/h.
La missione è stata sponsorizzata da Red Bull, che ha reso possibile la visione totale dell'evento a tutto il mondo in streaming grazie a 30 telecamere installate al suolo, 1 su un elicottero e 1 sul pallone aerostatico imbottito di elio.
I cavalieri dell' Apocalisse
I quattro cavalieri dell’Apocalisse che cosa rappresentano?
Essi portano distruzione e rovina vengono come flagelli dell’umanità intera. Quindi sono simboli astratti, che si succedono nel corso del processo storico a motivo della diversa tipologia di male che simboleggiano. Una certa tradizione cristiana ha creduto di ravvisare nel cavaliere del cavallo bianco la popolazione barbarica dei Parti, grandi esperti nell’uso dell’arco e grandi nemici dei romani nel I sec. Ma questa interpretazione è riduttiva. La vera novità nel quadro a tinte fosche dipinto dall’autore dell’Apocalisse sta piuttosto nell’aver voluto dare a questi emblemi della negatività una connotazione storica, seppure in chiave di filosofia e teologia della storia. Già i profeti come Ezechiele 14,21 o Geremia. 15,2 avevano individuato le disgrazie peggiori dell’umanità: fame, guerra, peste, bestie feroci e schiavitù. Ma questi mali venivano considerati equivalenti, tant’è che potevano anche colpire contemporaneamente in luoghi diversi, come le bestie feroci colpivano in genere i lavoratori della terra. Non c’era una vera e propria filosofia o teologia della storia. Quelle figure non erano evocative di processi storici, né rappresentavano delle categorie metastoriche che nell’Apocalisse, peraltro, vengono in qualche modo standardizzate. Nel Levitico 26,14 le sciagure non sono che maledizioni che si susseguono come minacce terribili il cui grado di severità aumenta in misura proporzionale alle forme di disobbedienza nei confronti della legge mosaica. Non c’è filosofia della storia, ma solo ipotesi di castighi severissimi: il paternalismo autoritario e moralistico del Levitico è evidente. Viceversa, nell’Apocalisse si ha la netta sensazione che i mali rappresentati dai quattro cavalieri siano delle realtà inevitabili, imprescindibili, in quanto la perdizione del genere umano appare senza via di scampo. La colpa è priva di remissione e deve essere scontata in mezzo al sangue e a una desolazione infinita.
Il cavallo bianco, in tal senso, sembra rappresentare l’uso della forza pura e semplice, senza ideologia. Il cavaliere è un campione nell’uso dell’arco. Tutti gli riconoscono la supremazia bellica. E’ il trionfo dell’individualismo basato sull’abilità fisica. Potrebbe rappresentare benissimo gli imperi schiavistici. Il cavallo rosso invece sembra rappresentare una sofisticazione dello schiavismo, forse il servaggio. Il cavaliere infatti ha il potere non solo di dominare con la forza delle armi, ma anche di far uccidere tra loro i sudditi che domina. Questo significa che con la sua spada egli difende questa o quella ideologia astratta, per un fine che resta sempre quello del potere politico. Il terzo cavallo non sembra feroce, in apparenza, poiché il cavaliere ha in mano una bilancia con cui dà un valore alle cose: “una misura di frumento per un denaro e tre misure d’orzo per un denaro”(6,6). Cose, queste, che, a differenza dell’olio e del vino, vengono “danneggiate” – il che porta inevitabilmente alla fame, almeno in una parte dell’umanità. Questo forse significa che l’ideologia si è posta al servizio di interessi meramente economici, coi quali si gestisce il potere politico. Ma il cavallo che fa più paura è il quarto, quello giallastro-verdastro, che rappresenta la morte, quello che domina “sulla quarta parte della terra”, quello che, in virtù del numero incredibile di seguaci, è in grado di infliggere qualunque pena: spada, fame, malattie, belve feroci. Sembra qui di vedere un riferimento alle moltitudini di origine asiatica.
L’autore dell’Apocalisse è molto scettico sulla possibilità di liberarsi da questi flagelli e fa invocare da parte delle anime cristiane già morte la giustizia inflessibile ovvero la vendetta terribile del “Signore” santo e verace (6,10), che qui si deve presumere sia il Cristo in persona. Forse anche questo aspetto alquanto truce del messia redivivo può aver indotto molti padri orientali della chiesa cristiana a dubitare dell’effettiva ortodossia di questo testo, che certo in questi passi è profondamente semita: vi sono almeno 500 citazioni o riferimenti antico-testamentari. Tuttavia, il Signore-Cristo dice di pazientare ancora, poiché prima si deve raggiungere un numero non meglio precisato libro dei martiri 6,11. Il sesto sigillo, in tal senso, inaugura l’apocalisse vera e propria, perché sanziona la ribellione della natura alle forze malvagie dell’umanità. Cioè proprio nel momento in cui sembrava essere arrivato il peggio per l’uomo, ecco che si scatenano imponenti catastrofi naturali, nei cui confronti l’uomo è del tutto impotente. Questo incredibile cataclisma obbliga tutti gli uomini, di qualunque rango o estrazione sociale, a rifugiarsi, al pari di uomini primitivi, presso spelonche e tra le rocce dei monti 6,15. All’apertura del 7° sigillo non si salverà nessuno. Infatti sarà talmente grande la paura di morire che l’odio reciproco prevarrà su tutto e gli uomini si uccideranno proprio allo scopo di poter vivere. Le riserve di viveri saranno talmente scarse che l’unico modo di sopravvivere sarà quello di distruggersi a vicenda. Cioè invece di trovare un modo razionale di affrontare i cataclismi naturali, gli uomini preferiranno, vittime del loro individualismo e schiavi della logica della forza, di annientarsi a vicenda. Non solo, ma si dice nell’Apocalisse- “il resto degli uomini che non furono uccisi da questi flagelli, non si ravvidero dalle opere delle loro mani, non cessò di prestar culto ai demoni e agli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; non rinunciò nemmeno agli omicidi, né alle stregonerie, né alla fornicazione, né alle ruberie. L’autore dell’Apocalisse esclude categoricamente la possibilità di una qualche forma di vera giustizia umana sulla terra. Gli uomini tendono inevitabilmente a farsi ingannare dalle apparenze, specie se queste sono un simulacro, una mimesi della vera giustizia. L’Apocalisse, in tal senso, rappresenta la disperazione di una rivoluzione fallita e, nel contempo, l’ansia portata all’estremo di veder crollare l’imperio dell’uomo per cause quali la corruzione, o per cause di pressioni dovute ad un imbarbarimento o in forza di sconvolgimenti naturali o in virtù di una speranza impossibile: il ritorno in vita del Cristo in veste gloriosa, da trionfatore.
testo elab-g.m.s.
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