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giovedì 18 febbraio 2016

Un video a fumetti per spiegare le onde gravitazionali

Rivelati i veri colori dei dipinti di van Gogh


L’analisi chimica di un frammento microscopico tratto da uno dei tre dipinti di Vincent van Gogh (“La Camera da Letto”) rivela il vero colore delle pareti nella foto era il viola piuttosto che il blu-fiordaliso sbiadito che vediamo oggi.
 Questo quanto rivelato da un gruppo di scienziati che ha effettuato l’interessante ricerca. La rivelazione è molto significativa perché dimostra “che il colore originale delle pareti nei quadri viene interpretato come una chiara indicazione del telaio emotivo di van Gogh“, rivela Francesca Casadio, presso l’Art Institute di Chicago. “Le pareti della camera da letto di Arles erano bianche; così il viola è la sua interpretazione, la propria volontà di esprimere il riposo della mente e della fantasia”, continua la dottoressa Casadio. 
 E’ tuttavia estremamente insolito per un artista dipingere una stanza vuota, quindi il fatto che van Gogh abbia creato la sua camera letto ad Arles è visto come espressione del suo bisogno di un posto che lui stesso potesse chiamare casa, tanto più che visse in 37 luoghi diversi nei suoi 37 anni! 

Van Gogh ha completato il suo primo dipinto “La Camera da Letto” nell’ottobre del 1888 ed è esposto ad Amsterdam. 
Gli altri due dipinti risalgono invece al settembre 1889, dopo aver subito un taglio all’orecchio e un graduale, progressivo esaurimento nervoso. 
“E’ davvero una scoperta straordinaria, perché adesso sappiamo con certezza che le pareti della camera da letto non erano viola, bensì bianche. 
Il dipinto è stato pensato per infondere un’atmosfera accogliente, per trasmettere un senso di riposo e di tranquillità”, conclude l’Associazione Americana per l’avanzamento della Scienza, a Washington. 

 Fonte: http://scienzenotizie.it/

La civiltà dell'Isola di Pasqua non fu annientata dalla guerra


La tradizione vuole che prima dell'arrivo degli esploratori europei, nel 1700, gli abitanti dell'Isola di Pasqua, a corto di risorse, ingaggiarono una guerra civile che li ridusse allo stremo, portandoli al collasso.
 L'ipotesi era suffragata dal ritrovamento, su tutta la superficie di Rapa Nui, di migliaia di punte in ossidiana ritenute, per il gran numero e l'aspetto tagliente, armi da combattimento. 
Ma una più attenta analisi di questi strumenti (noti come mata'a) racconta una versione diversa dei fatti.

Carl Lipo, antropologo dell'Università di Binghamton (nello stato di New York, USA), ha condotto un'analisi morfometrica - ossia uno studio e una comparazione delle forme dal punto di vista quantitativo - di oltre 400 mata'a ritratti in alcune foto.
 Osservando la varietà di forme dei frammenti di vetro vulcanico, nonché la differenza con le armi di altre civiltà, Lipo ha concluso che non si tratta affatto di strumenti di guerra. 
 «Le armi dovevano far bene il proprio lavoro - spiega - o si rischiava la vita. Per questo gli oggetti di guerra rinvenuti in Europa o altrove sono molto sistematici nella forma. Ogni utensile può essere usato come lancia, ma durante una guerra, le armi devono garantire certe prestazioni. E con un mata'a puoi ferire, ma non uccidere».

Se le osservazioni di Lipo fossero confermate sarebbe lecito pensare che quella sulla fine tragica della popolazione di Rapa Nui sia stata una deduzione basata su un'interpretazione a posteriori europea e non su prove archeologiche.
 La forma e la distribuzione a tappeto dei mata'a fa piuttosto pensare si trattasse di oggetti di uso quotidiano, usati in agricoltura per la lavorazione delle piante, o in compiti rituali come tatuare la pelle.
 Quelli che finora erano stati considerati i segni di una catastrofe erano, più probabilmente, tracce di una civiltà ancora produttiva, che sarebbe stata decimata dalle razzie e dalle malattie importate dagli europei. 

Fonte: focus.it

Grotta Mangiapane in Sicilia, un antico borgo in una grotta dove il tempo si è fermato


Trovare Grotta Mangiapane è dura, ma il segreto che contiene vale decisamente lo sforzo.
 La grotta, a 18 km a nord ovest di Trapani, sulla costa occidentale della Sicilia, ospita un antico borgo che è intatto da circa 70 anni. Oggi, il villaggio è un museo a cielo aperto, dove i visitatori possono fare un passo indietro nel tempo e vedere com’era la vita di un tempo in quei luoghi.
 La storia della grotta non è del tutto chiara, ma le sculture presenti sulle pareti della caverna suggeriscono che l’insediamento potrebbe essere avvenuto durante il Paleolitico, circa 10.000 anni fa.
 La sua storia recente è molto più chiara. 
Il nome del borgo deriva dalla famiglia Mangiapane, che visse nel paese dai primi del 1800 fino al 1950, più o meno. Infatti, è stato grazie ad uno degli ultimi membri della famiglia Mangiapane che il villaggio esiste ancora. 
Dopo essere stato abbandonato a metà del 20° secolo, sembrava che il villaggio si trovasse ad affrontare un declino lento e inesorabile, e avrebbe finito per essere consegnato alla storia. Ma un gruppo di appassionati volontari del posto si è consultato con il membro della famiglia Mangiapane e ha conservato il sito esattamente come era allora.
















La Grotta Mangiapane non è davvero la tipica destinazione turistica. 
La segnaletica è scarsa e non ci sono navette da e per l’hotel.
 In alcuni giorni può sembrare abbandonata, fedele al suo vero stato, forse priva di impiegati del turismo e sicuramente senza catene di fast food e negozi di souvenir che si trovano nella maggior parte dei luoghi turistici.
 E comunque, vorreste che fosse diversamente? 
Insieme all’assoluta bellezza del sito, è proprio questo che rende la Grotta Mangiapane così speciale.
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