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lunedì 6 maggio 2013

Mesa Verde



Il parco Nazionale di Mesa Verde, il cui nome significa “Tavola Verde”, è in realtà una piccola porzione dell’altopiano sud-occidentale del Colorado, conosciuto con il nome di “Four Corners”. 
Questa vasta area ricca di boschi di conifere fu per molti secoli la sede più importante dei pellirosse Anasazi; quando, intorno al 1300 d. C., Mesa Verde fu abbandonata, le sue vestigia e le sue città deserte non furono dimenticate del tutto, ma il ricordo della loro antica esistenza fu perpetuato attraverso la tradizione orale.

I fratelli Richard e Alfred Wetherill, inisieme al cognato Charlie Mason, allevatori e proprietari terrieri nella zona di River Valley situata a est di Mesa Verde, furono i primi a compiere spedizioni esplorative in questi luoghi e, fino alla fine del 1888, scoprirono le rovine di edifici e insediamenti di notevoli dimensioni.
 La ricerca proseguì durante gli anni successivi a opera di un giovane esploratore svedese, Gustav Nordenskjold; desideroso di svolgere una vera e propria indagine archeologica, là dove gli esploratori locali avevano trovato le misteriose “città perdute”, egli scavò vari resti di insediamenti sulla sommità delle aree chiamate Wetherill Mesa e Chapin Mesa.
 Mesa Verde divenne un parco nazionale nel 1906: da allora la ricerca archeologica è stata portata avanti in modo sistematico e oggi è possibile visitare le vestiglia degli Anastazi, custodite e restaurate dal National Park Service.

Gli indiani Anastazi furono per molti secoli gli abitanti degli altipiani meridionali dello Utah e del Colorado e di quelli settentrionali dell’Arizona e del New Messico; a Mesa Verde sono state riscontrate ovunque tracce dei loro centri abitativi e della loro cultura materiale.
 La storia del popolamento di Mesa Verde nelle epoche più antiche, cioè sino ai primi secoli dopo Cristo, costituisce ancora un’enigma. Allo stato attuale delle ricerche, gli archeologi hanno potuto stabilire quattro periodi successivi di occupazione, corrispondenti ad altrettante fasi di sviluppo culturale.
 Il primo, chiamato “Basket Maker III”, è compreso tra il 450 e il 750 d. C., il secondo, detto “Pueblo I”, tra il 750 e il 900 d. C.; seguono il Pueblo II, tra il 900 e il 1100 d. C., e infine il Pueblo III, tra il 1100 e il 1300 d. C., che rappresentava la fase abitativa più tarda prima dell’abbandono definitivo delle “mesas” da parte degli Anasazi.
 I primi uomini giunti in queste zone erano pastori e cacciatori che, abbandonato il nomadismo e adottato un tipo di vita sedentario, cominciarono a coltivare il mais e la zucca; essi conoscevano la fabbricazione della ceramica, ma realizzavano recipienti di fibra vegetale di notevole raffinatezza. 
Da qui deriva il nome di “Basketmakers”, assegnato a questa cultura, espressione in lingua anglosassone che significa “fabbricanti di canestri”.

Le loro primitive abitazioni, chiamate “jacal”, consistevano in semplici pozzi scavati sotto terra, sorretti da puntelli di legno.
 In breve si formarono piccoli villaggi, dapprima situati ai piedi delle alture rocciose e successivamente sulle alture delle mesas, nei pressi delle aree coltivate. A partire dal 500 d. C. circa, i Basketmakers acquisirono le tecniche per la fabbricazione della ceramica, l’uso di arco e frecce e iniziarono l’allevamento dei tacchini. In diversi siti del parco di Mesa Verde, in particolare a Ruins Road e a Step House, è possibile ammirare la struttura di queste case a pozzo: una fra meglio conservate – il Sito 117 – è costituita da un’ampia stanza, dotata di un focolare centrale e di un’anticamera che ne consentiva l’accesso e la ventilazione.
 Il tetto, di frasche e argilla, era sostenuto da quattro robuste travi lignee ed era dotato di una perforazione per consentire la fuoriuscita del fumo.

A partire dall’850 d. C., epoca che corrisponde alla fase Pueblo I, gli Anasazi modificarono le loro consuetudini legate al sistema abitativo: non abbandonarono del tutto le case a pozzo, ma cominciarono a edificare abitazioni vere e proprie sul suolo della Mesa.
 Queste nuove case erano formate da alcune stanze a pianta quadrata, costruite dapprima con argilla essiccata e paglia e, in seguito, con mattoni cotti dalla forma regolare. Con il passare del tempo in queste abitazioni crebbe il numero degli ambienti ed esse assunsero una struttura complessa, venendo a costruire dei villaggi in seguito chiamati “Pueblos” dagli spagnoli.

 Le genti di Mesa Verde accrebbero la loro economia, originariamente agricola, e le loro conoscenze, grazie al commercio; la produzione ceramica raggiunse un alto livello qualitativo. 
Nel corso dei secoli i villaggi vennero trasformati in vere e proprie città; intorno al 1100 d. C. l’altopiano del Colorado conobbe un enorme incremento demografico. Nel Parco Nazionale di Mesa Verde la maggior concentrazione di siti è distribuita su due altopiani, separati da canyon profondi: Chapin Mesa e Wertherill Mesa. A Chapin Mesa si formò una grande comunità rurale, che diede avvio alla costruzione di una ventina di villaggi, formati da case a più piani, composte da numerose stanze. Nonostante questo mutamento avvenuto riguardo al tipo di sistema abitativo, gli indiani delle mesas non abbandonarono mai definitivamente le antiche case a pozzo, ma le trasformarono in “kivas”, vaste strutture sotterranee a pianta circolare, destinate a un uso cerimoniale – religioso. A Chapin Mesa sono state individuate cinque kivas e nei dintorni è stato rinvenuto quello che anticamente poteva essere il bacino lastricato di un grande serbatoio idrico, chiamato oggi “Mummy Lake”.

Tuttavia, secondo alcuni studiosi, non si trattava di un lago, ma di una grande kivas, destinata a danze e cerimonie per gli abitanti di intere comunità.
 È stato documentato che in molti casi le kivas erano collegate a strutture simili a torrioni, la cui funzione non è stata identificata con certezza; tra queste si possono ricordare la “Torre del Cedro” e un complesso monumentale dotato di una doppia cinta di mura, forse un tempio o un mausoleo, chiamato “Tempio del Sole”.
 Tuttavia, il luogo più suggestivo di Mesa Verde è certamente Cliff Palace, il “Palazzo a strapiombo”: si tratta di un immenso edificio, costruito nel 1200 d. C. in un riparo sottoroccia, che comprende 220 stanze e 23 kivas e ospitava alcune centinaia di persone. 
Tra le numerose Cliff Houses, le “case a strapiombo” erette dagli Anasazi all’interno delle cavità rocciose, con i suoi torrioni a base quadrata o circolare, Cliff Palace è senza dubbio la più impressionante e la sua visione lasciò esterrefatti i primi esploratori che si avventurarono laggiù alla fine del secolo scorso.

 Questi palazzi fiabeschi, le numerose case costruite sugli speroni rocciosi, le torri e le kivas furono completamente abbandonate a partire dal 1300 d. C. Si suppose che gli Anasazi fossero partiti spinti dallo spettro di luoghi anni di siccità e carestie, ma non esistono risposte sicure.
 Oggi, Mesa Verde, con i suoi 4000 siti archeologici, costituisce un patrimonio mondiale di valore inestimabile, dove, narrano gli indiani, risuonano ancora gli echi delle danze e delle preghiere dei loro antenati.

L'amicizia



“L’amicizia è uno dei sentimenti più belli da vivere,
perchè dà ricchezza, emozioni, complicità
e perchè è assolutamente gratuita.
Ad un tratto ci si vede, ci si sceglie,
si costruisce una sorta di intimità;
si puo’ camminare accanto
e crescere insieme pur percorrendo strade differenti,
pur essendo distanti, come noi due,
centinaia di migliaia di chilometri.”
Susanna Tamaro

Lady in Red

Pompei - 79 D.C. L'ULTIMO GIORNO the last day - Carmina Burana O Fortuna

Se gli animali avessero mangiato da Mc Donalds

I ricordi


Tra tutti  i ricordi quelli  che evochiamo  sono i più belli, da loro ci  facciamo scegliere  e ripercorriamo quelle antiche strade negli spazi  lontani della memoria. I ricordi sono preziosi, sono piccole parti di noi, ci emozionano fino alle lacrime e  sono solo nostri, nessuno ce li potrà  rubare. Il ricordo ti prende  e ti porta via, lontano, in posti vissuti, in luoghi veduti, in cuori amati, ti  rapisce senza nessuna spiegazione, ti toglie  il fardello degli anni e non potrai mai dimenticarlo, non riuscirai  a cancellarlo. 

Trailer italiano del thriller EFFETTI COLLATERALI, al cinema dal 1° MAGGIO 2013.



EFFETTI COLLATERALI è un thriller provocatorio che racconta la storia di una rampante coppia newyorkese, Emily e Martin (Rooney Mara e Channing Tatum), la cui vita viene sconvolta quando lo psichiatra di lei (Jude Law) le prescrive un nuovo psicofarmaco per curare una forma di depressione.
Ma il medicinale avrà sulla donna pericolosi effetti collaterali. Emily (la candidata all'Oscar Rooney Mara) e Martin Taylor (Channing Tatum) sono belli, ricchi e amanti dei piaceri della vita. Posseggono una villa, una barca a vela e ogni lusso possibile e immaginabile.
Fino a quando Martin non viene incarcerato con l'accusa di "insider trading." Emily lo aspetta per quattro lunghi anni in un angusto appartamento nel nord di Manhattan, ma il rilascio del marito si rivela tanto devastante quanto la sua incarcerazione, ed Emily sprofonda nella più cupa depressione.
Dopo un tentativo di suicidio fallito della donna, lo psichiatra Jonathan Banks (il candidato all'Oscar Jude Law) è chiamato ad occuparsi del caso.
Per evitare il ricovero in ospedale, Emily acconsente a un regime di terapia e antidepressivi.
Ma i suoi sintomi non accennano a migliorare, fino a quando il dottor Banks, su suggerimento della precedente psichiatra della donna la dottoressa Victoria Siebert (il premio Oscar Catherine Zeta-Jones), non le prescrive un nuovo psicofarmaco che inizialmente sembra funzionare.
Ma gli effetti collaterali dello stesso hanno presto conseguenze agghiaccianti: matrimoni distrutti, la rovina della carriera di Banks e un omicidio.
Ma chi o cosa ne è il responsabile?
Devastato dallo sconvolgimento della sua reputazione professionale, lo psichiatra cerca ossessivamente di trovare una risposta.
Ciò che scopre minaccia però di distruggere anche quel che rimane della sua carriera e della sua vita privata.

Karlstejn – Gioielli della Corona e reliquie



L’imperatore Carlo IV venerava reliquie dei martiri cristiani e i gioielli della Corona dei re tedeschi e boemi. 
Non c’è da stupirsi se, nel 1348, pose la prima pietra di una grande rocca, progettata per custodirli, cui diede il suo nome: Karlstein, “rocca di Carlo”.

Carlo IV era, inizialmente, re di Boemia, con il nome di Venceslao. Nel 1346 i principi elettori di Germania lo elessero come loro nuovo sovrano, in contrapposizione al regnante precedente, Ludovico di Baviera, ancora in vita. Da quel momento Venceslao si fece chiamare Carlo e si prefisse il ristabilimento dell’antico impero di Carlo Magno come scopo della propria azione di governo, facendo perno sui suoi domini boemi.
 Sembrò realizzare le sue aspirazioni quando, nel 1355, divenne sacro impero romano imperatore e, dieci anni più tardi, ottenne il titolo di re di Borgogna. 
Tra i suoi meriti, l’aver dato, con la Bolla d’Oro del 1356, una solida struttura al Sacro Romano Impero e, sul piano culturale, la fondazione dell’università di Praga, nel 1340.

Per costruire il castello di Karlstejn ci vollero nove anni. Finalmente nel 1357 venne consacrata, nella Torre grande, la “cappella della Santa Croce”, in cui erano custoditi, oltre a varie reliquie, i gioielli imperiali (oggi esposti nella camera del Tesoro della Hofburg a Vienna) e le insegne della incoronazione (conservate attualmente nel castello di Praga).
 Poiché alla sorveglianza del tesoro erano addetti alcuni monaci, nessuna donna poteva pernottare tra le mura del castello, fatta l’eccezione per l’imperatrice, cui erano conservati gli appartamenti del terzo piano del Palazzo imperiale. Karlstejn imponeva soggezione, e nel corso della sua esistenza fu assalito solo due volte: nel 1422 dai protestanti di fede ussita, che dopo sette mesi di assedio dovettero rinunciare al tentativo di conquista, e nel 1648, durante la guerra dei Trent’Anni, dagli svedesi, che causarono al complesso gravi danni. 
Dal 1887 al 1889 il castello venne ristrutturato e ripristinato nell’originale stile gotico, alterato dalle modifiche del 1587 – 1597.

Il complesso, che occupa tutto il pendio di un’alta collina, è notevolmente articolato. 
Il suo centro è il “Palazzo imperiale”, in cui si trovavano le stanze di lavoro e del sovrano e dove l’imperatore si era fatto costruire anche una piccola cappella privata, in cui andava a pregare il mattino e la sera. Tramite un ponte di legno si raggiunge la “Torre di Santa Maria”. Alla Madonna è consacrata anche la chiesa del castello, con affreschi alle pareti che illustrano fra l’altro l’Apocalisse (la lettura preferita dell’imperatore era infatti l’Apocalisse di San Giovanni) nonché una scena in cui Carlo IV riceve dall’erede francese al trono alcune spine della corona di Cristo. L’imperatore passava anche molte notti in meditazione nella “cappella di Santa Caterina”, dove nessuno lo poteva disturbare, se non per passargli alcune bevande attraverso una piccola apertura nel pavimento.

Nell’Europa medievale era assai diffuso il culto delle reliquie: ossa dei santi, presunti chiodi dell’Arca di Noe, spine della Vera Croce e altre simili testimonianze erano venerate e ritenute miracolose, tanto che comunità, sovrani e nobili ne facevano incetta.
 Carlo IV, per esempio, possedeva un pezzo del bastone con cui Mosè avrebbe diviso le acque del Mar Rosso, il frammento di un chiodo con cui sarebbe stato crocifisso Gesù Cristo, l’osso di un dito attribuito a San Giovanni Battista. Ma l’imperatore andava soprattutto orgoglioso di un regalo ricevuto dall’erede al trono di Francia, il futuro re Carlo V il Saggio: due spine della corona portata dal Salvatore.
 Una volta all’anno le reliquie venivano mostrate al popolo e pubblicamente venerate davanti al castello di Karlstejn. Per il resto del tempo erano custodite nella cappella della Santa Croce all’interno della Torre grande, dietro mura spesse 6 m, una cancellata d’oro e altre porte con 19 serrature.
 La cappella era decorata con dipinti del maestro Theoderich di Praga, nelle cui cornici si trovavano incastonate altre reliquie. I quadri raffiguravano le schiere celesti degli apostoli, dei santi e dei Padri della Chiesa, che in un certo senso facevano da “guardie” del tesoro. L’imperatore passava ore in preghiera davanti all’immagine della Crocifissione.

Karlstejn è uno splendido esempio di complesso fortificato in pendio, un tipo di fortificazione abbastanza diffuso anche in Italia. Tali sono per esempio i castelli di Soave e di Marostica, in Veneto, e quello di San Pio delle Camere, in Abruzzo.
 L’alto della collina è presidiato da un poderoso mastio (la Torre grande), da cui scendono due “briglie”, cioè due cortine merlate, che raggiungono il complesso imperiale a metà collina e proseguono poi verso le fortificazioni più a valle, destinate a sopportare l’urto del nemico. È una struttura non solo valida militarmente, ma anche molto scenografica.

Il divieto per le donne di pernottare nel castello ispirò al drammaturgo ceco Jaroslaw Vrchlicky ((1853 – 1912) la commedia “Una notte a Karlstejn”, in cui l’imperatrice si traveste da un uomo per entrare di soppiatto nella fortezza e controllare così la fedeltà coniugale del marito. Ancora oggi, nei mesi estivi, la vicenda viene messa in scena nel piazzale antistante al castello.
 Gli accessi al castello, secondo l’usanza medievale, sono attentamente compartimentali. Una prima porta munita di ponte levatoio consente l’accesso alla rocca inferiore, una seconda immette nella residenza dei governatori del castello, e così di seguito fino all’estremità occidentale, dove si innalza la massiccia torre che proteggeva il pozzo, profondo 90 m. Nel Palazzo imperiale merita una visita soprattutto il terzo piano, riservato all’imperatrice, dove si può vedere la sala di rappresentanza, con elegante soffitto a cassettoni e una “Madonna con Bambino” di Tommaso da Modena (1370).

Le regole di una nazione devono valere per tutti i cittadini



IL FANTASTICO DISCORSO ALLA NAZIONE DA PARTE DEL MINISTRO AUSTRALIANO PETER COSTELLO !
Non sono contrario all'immigrazione e non ho niente contro coloro che cercano una vita migliore venendo in Australia.
Tuttavia ci sono questioni che coloro che recentemente sono arrivati nel nostro Paese e, a quanto sembra, anche qualcuno dei nostri concittadini nati qui, devono capire.
L’idea che l'Australia deve essere una comunità multiculturale è servita soltanto a dissolvere la nostra sovranità ed il sentimento di identità nazionale.
Come australiani, abbiamo la nostra cultura, la nostra società, la nostra lingua ed il nostro modo di vivere.
Questa cultura è nata e cresciuta durante più di due secoli di lotte, processi e vittorie da parte dei milioni di uomini e donne che hanno cercato la libertà di questo Paese.
Noi parliamo l'inglese, non il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese, il russo o qualsiasi altra lingua.
Perciò, se desiderate far parte della nostra società, imparate la lingua!
La maggioranza degli australiani crede in Dio.
Non si tratta soltanto di un affare privato di qualche cristiano fondamentalista di destra, ma vi è un dato di fatto certo ed incontrovertibile: uomini e donne cristiani hanno fondato questa nazione su principi cristiani, ed è chiaramente documentato nella nostra storia e dovrebbe essere scritto sui muri delle nostre scuole. Se il nostro Dio vi offende, allora vi consiglio di prendere in considerazione la decisione di scegliere un'altra parte del mondo per mettere su casa, perché Dio è parte della nostra cultura. Accetteremo le vostre opinioni religiose, e non vi faremo domande, però daremo per scontato che anche voi accettiate le nostre e cercherete di vivere in pace ed armonia con noi.
Se la Croce vi offende, o vi molesta, o non vi piace, allora dovrete pensare seriamente di andarvene da qualche altra parte.
Siamo orgogliosi della nostra cultura e non pensiamo minimamente di cambiarla, ed i problemi del vostro paese di origine non devono essere trasferiti sul nostro.
Cercate di capire che potete praticare la vostra cultura, ma non dovete assolutamente obbligare gli altri a farlo.
Questo è il nostro Paese, la nostra terra, il nostro modo di vivere vi offriamo la possibilità di viverci al meglio.
Ma se voi cominciate a lamentarvi, a piagnucolare, e non accettate la nostra bandiera, il nostro giuramento, i nostri impegni, le nostre credenze cristiane, o il nostro modo di vivere, vi dico con la massima franchezza che potete far uso di questa nostra grande libertà di cui godiamo in Australia: il diritto di andarvene.
Se non siete felici qui, allora andatevene.
Nessuno vi ha obbligato a venire nel nostro Paese.
Voi avete chiesto di vivere qui: ed allora accettate il Paese che avete scelto.
Se non lo fate, andatevene!
Vi abbiamo accolto aprendo le porte del nostro paese; se non volete essere cittadini come tutti in questo paese, allora tornate al Paese da cui siete partiti!
Questo è il dovere di ogni nazione.
Questo è il dovere di ogni immigrato.
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