domenica 20 ottobre 2013
Breve storia dell'isola di Lampedusa
L’arcipelago delle Pelagie deve il suo nome al greco “ Pelaghiè “, che significa Isole dell’alto mare. Trovandosi al centro del Mediterraneo e quindi rifugio e punto di rifornimento delle navi dei Fenici, dei Saraceni, dei Romani e dei Greci che navigavano in questo mare, sono state probabilmente oggetto di contese, scorrerie e battaglie, delle quali non si hanno notizie certe.
Anche il suo nome ha origine incerta. La versione più accreditata è che derivi dai lampi che – forse in passato – illuminavano frequentemente le notti dell’isola spaventando i naviganti.
Monete ritrovate durante recenti scavi, fanno pensare che i Romani avessero insediamento stabile nell’isola, come nei secoli successivi lo hanno avuto gli Arabi. Il mare intorno all’isola, disseminato di relitti di navi romane e greche, con migliaia di anfore in buona parte intatte, è stato per anni saccheggiato ed i reperti dispersi, ma ancora oggi capita che i pescherecci a strascico, si ritrovino nelle reti frammenti di anfore o di ancore.
Notizie più certe si hanno a partire dal 1430, quando Alfonso V° d’Aragona, Re di Napoli, concede i diritti sull’Isola al suo cameriere personale, Giovanni De Caro dei Borboni di Montechiaro.
Nel 1551, una flotta ai comandi dell’ammiraglio Andrea Doria, su ordine di Carlo V°, distrugge la roccaforte di Mekdia,in Tunisia, covo del pirata turco Dragret.
Durante il viaggio di ritorno, sorpreso da una forte tempesta e dopo avere perso buona parte del suo equipaggio, la flotta ripara a Lampedusa, probabilmente a Cala Pisana.
Gli uomini dell’equipaggio si stabiliscono sull’Isola, ma la vendetta del turco Draget si compie due anni dopo e durante una scorreria vengono deportati in schiavitù più di mille abitanti dell’isola.
Nel 1630 si ha notizia che Carlo II° di Spagna concede alla famiglia Tomasi – gli avi del celebre autore del Gattopardo – la proprietà dell’Isola stessa ed il titolo di Principi di Lampedusa.
Si sa poi che una terribile pestilenza colpisce l’isola intorno all’anno 1780 ed una lapide in marmo rinvenuta in una grotta, la conferma appunto con la sepoltura nel 1784 di un morto per peste.
Nel 1800 i principi di Lampedusa concedono in enfiteusi una parte dell’isola ad un gruppo di contadini della famiglia maltese Gatt, che a sua volta ne cede buona parte , pochi anni dopo, all’ inglese Alessandro Fernandez.
I buoni rapporti non durano a lungo , tanto che i principi Tomasi chiedono a Ferdinando II° - re delle due Sicilie, l’autorizzazione a vendere l’isola agli inglesi. L’autorizzazione viene negata ed anzi per un prezzo di 12.000 ducati, nel 1839 l’isola viene riacquistata dal Re, intenzionato a trasformarla in colonia agricola.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Nel 1843, alla guida di un gruppo di 120 coloni reclutati con editto reale, il cavaliere Bernardo Maria Sanvisente, con titolo di governatore, sbarca sull’isola, con l’incarico di portare a coltivazione tutto il terreno disponibile.
Inizia un periodo di grandi opere : i tuttora esistenti sette palazzi, dimore per i nuovi abitanti, frantoi, magazzini per i raccolti, piccoli stabilimenti per la salatura del pesce, cimitero. Ma i Borboni, a corto di denaro, incuranti delle proteste del loro Governatore Sanvisente, iniziano a concedere a chiunque ne facesse domanda, autorizzazioni a produrre carbone vegetale, utilizzando gli alberi dell’Isola. Cosicché, in breve, l’Isola viene privata della sua vegetazione e le coltivazioni, sempre più esposte ai forti venti, più difficili e meno redditizie.
Il Governatore Sanvisente rassegna le proprie dimissioni e mentre i redditi agricoli vanno praticamente scomparendo, l’attenzione degli abitanti si concentra prevalentemente sulla pesca.
Nel 1860, con la caduta del Regno delle Due Sicilie, le Pelagie vengono unite al regno d’Italia.Nel 1872 il governo italiano, deciso a fare dell’Isola una colonia penale, nomina un Commissario che revoca tutte le concessioni di terre ai coloni, provocando un ulteriore regressione delle coltivazioni ed un ovvio risentimento della popolazione.
Fra alti e bassi dell’economia locale e lenti miglioramenti delle comunicazioni con la Sicilia, si arriva alla seconda guerra mondiale, durante la quale, per la sua importante posizione strategica sulla rotta fra la Sicilia, Malta, Libia e Tunisia, l’Isola viene fortificata ed ancora oggi si possono notare fortini, camminamenti, caserme.
Finita la guerra, a lento rimorchio della rinascente economia italiana, Lampedusa può avere la centrale elettrica, il collegamento telefonico, un dissalatore ed infine, nel 1968, l’aeroporto.
Il reddito degli abitanti è ancora totalmente assicurato dalla pescosità del mare e dai banchi di spugne delle acque limitrofe, ma iniziano ad arrivare i primi pochi turisti, tutti amanti della pesca subacquea.
Nel 1986 finalmente arriva la notorietà. Gheddafi – le radio di tutto il mondo lo annunciano – lancia due missili contro Lampedusa, che sbagliando inspiegabilmente e clamorosamente il bersaglio, scoppiano in mare.
Tutti imparano in quei giorni che l’Italia ha queste tre isolette, molto più vicine all’Africa che alla Sicilia, sperdute in un mare meraviglioso.
Le televisioni ne parlano per giorni, Lampedusa fa il giro del mondo.
Arrivano turisti a centinaia, a migliaia. Lampedusa, ora conosciuta, inizia una nuova vita.
I pescatori si trasformano in operatori turistici, si aprono alberghi, ristoranti, negozi. L’economia dell’Isola si trasforma velocemente. La maggior parte del reddito degli abitanti viene dal turismo, non più dalla pesca.
Per amore di cronaca, pochi anni fa, viene pubblicata la notizia che in realtà Gheddafi non sparò alcun missile. Pare che gli americani, molto preoccupati del progressivo avvicinamento dei politici italiani alla Libia - una banca libica aveva anche acquisito in quei giorni una rilevante partecipazione nella Fiat – avessero dato ordine a due caccia di superare il muro del suono. Gli americani della base Loran dell’Isola, subito dopo il bang, lanciano la notizia dello scoppio di due missili, notizia che fa il giro del mondo, portando ad un notevole raffreddamento dei rapporti fra i due stati, ma soprattutto al lancio turistico dell’Isola.
Anche il suo nome ha origine incerta. La versione più accreditata è che derivi dai lampi che – forse in passato – illuminavano frequentemente le notti dell’isola spaventando i naviganti.
Monete ritrovate durante recenti scavi, fanno pensare che i Romani avessero insediamento stabile nell’isola, come nei secoli successivi lo hanno avuto gli Arabi. Il mare intorno all’isola, disseminato di relitti di navi romane e greche, con migliaia di anfore in buona parte intatte, è stato per anni saccheggiato ed i reperti dispersi, ma ancora oggi capita che i pescherecci a strascico, si ritrovino nelle reti frammenti di anfore o di ancore.
Notizie più certe si hanno a partire dal 1430, quando Alfonso V° d’Aragona, Re di Napoli, concede i diritti sull’Isola al suo cameriere personale, Giovanni De Caro dei Borboni di Montechiaro.
Nel 1551, una flotta ai comandi dell’ammiraglio Andrea Doria, su ordine di Carlo V°, distrugge la roccaforte di Mekdia,in Tunisia, covo del pirata turco Dragret.
Durante il viaggio di ritorno, sorpreso da una forte tempesta e dopo avere perso buona parte del suo equipaggio, la flotta ripara a Lampedusa, probabilmente a Cala Pisana.
Gli uomini dell’equipaggio si stabiliscono sull’Isola, ma la vendetta del turco Draget si compie due anni dopo e durante una scorreria vengono deportati in schiavitù più di mille abitanti dell’isola.
Nel 1630 si ha notizia che Carlo II° di Spagna concede alla famiglia Tomasi – gli avi del celebre autore del Gattopardo – la proprietà dell’Isola stessa ed il titolo di Principi di Lampedusa.
Si sa poi che una terribile pestilenza colpisce l’isola intorno all’anno 1780 ed una lapide in marmo rinvenuta in una grotta, la conferma appunto con la sepoltura nel 1784 di un morto per peste.
Nel 1800 i principi di Lampedusa concedono in enfiteusi una parte dell’isola ad un gruppo di contadini della famiglia maltese Gatt, che a sua volta ne cede buona parte , pochi anni dopo, all’ inglese Alessandro Fernandez.
I buoni rapporti non durano a lungo , tanto che i principi Tomasi chiedono a Ferdinando II° - re delle due Sicilie, l’autorizzazione a vendere l’isola agli inglesi. L’autorizzazione viene negata ed anzi per un prezzo di 12.000 ducati, nel 1839 l’isola viene riacquistata dal Re, intenzionato a trasformarla in colonia agricola.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Nel 1843, alla guida di un gruppo di 120 coloni reclutati con editto reale, il cavaliere Bernardo Maria Sanvisente, con titolo di governatore, sbarca sull’isola, con l’incarico di portare a coltivazione tutto il terreno disponibile.
Inizia un periodo di grandi opere : i tuttora esistenti sette palazzi, dimore per i nuovi abitanti, frantoi, magazzini per i raccolti, piccoli stabilimenti per la salatura del pesce, cimitero. Ma i Borboni, a corto di denaro, incuranti delle proteste del loro Governatore Sanvisente, iniziano a concedere a chiunque ne facesse domanda, autorizzazioni a produrre carbone vegetale, utilizzando gli alberi dell’Isola. Cosicché, in breve, l’Isola viene privata della sua vegetazione e le coltivazioni, sempre più esposte ai forti venti, più difficili e meno redditizie.
Il Governatore Sanvisente rassegna le proprie dimissioni e mentre i redditi agricoli vanno praticamente scomparendo, l’attenzione degli abitanti si concentra prevalentemente sulla pesca.
Nel 1860, con la caduta del Regno delle Due Sicilie, le Pelagie vengono unite al regno d’Italia.Nel 1872 il governo italiano, deciso a fare dell’Isola una colonia penale, nomina un Commissario che revoca tutte le concessioni di terre ai coloni, provocando un ulteriore regressione delle coltivazioni ed un ovvio risentimento della popolazione.
Fra alti e bassi dell’economia locale e lenti miglioramenti delle comunicazioni con la Sicilia, si arriva alla seconda guerra mondiale, durante la quale, per la sua importante posizione strategica sulla rotta fra la Sicilia, Malta, Libia e Tunisia, l’Isola viene fortificata ed ancora oggi si possono notare fortini, camminamenti, caserme.
Finita la guerra, a lento rimorchio della rinascente economia italiana, Lampedusa può avere la centrale elettrica, il collegamento telefonico, un dissalatore ed infine, nel 1968, l’aeroporto.
Il reddito degli abitanti è ancora totalmente assicurato dalla pescosità del mare e dai banchi di spugne delle acque limitrofe, ma iniziano ad arrivare i primi pochi turisti, tutti amanti della pesca subacquea.
Nel 1986 finalmente arriva la notorietà. Gheddafi – le radio di tutto il mondo lo annunciano – lancia due missili contro Lampedusa, che sbagliando inspiegabilmente e clamorosamente il bersaglio, scoppiano in mare.
Tutti imparano in quei giorni che l’Italia ha queste tre isolette, molto più vicine all’Africa che alla Sicilia, sperdute in un mare meraviglioso.
Le televisioni ne parlano per giorni, Lampedusa fa il giro del mondo.
Arrivano turisti a centinaia, a migliaia. Lampedusa, ora conosciuta, inizia una nuova vita.
I pescatori si trasformano in operatori turistici, si aprono alberghi, ristoranti, negozi. L’economia dell’Isola si trasforma velocemente. La maggior parte del reddito degli abitanti viene dal turismo, non più dalla pesca.
Per amore di cronaca, pochi anni fa, viene pubblicata la notizia che in realtà Gheddafi non sparò alcun missile. Pare che gli americani, molto preoccupati del progressivo avvicinamento dei politici italiani alla Libia - una banca libica aveva anche acquisito in quei giorni una rilevante partecipazione nella Fiat – avessero dato ordine a due caccia di superare il muro del suono. Gli americani della base Loran dell’Isola, subito dopo il bang, lanciano la notizia dello scoppio di due missili, notizia che fa il giro del mondo, portando ad un notevole raffreddamento dei rapporti fra i due stati, ma soprattutto al lancio turistico dell’Isola.
L'Inps chiede a un pensionato di restituire un cent e la famiglia chiede la rateizzazione
RIMINI - L'Inps chiede a un pensionato 84enne di Riccione la restituzione di un centesimo, percepito in eccesso nel periodo 1 gennaio 1996-31 dicembre 2000 poichè «l'ammontare dei redditi personali è superiore ai limiti della legge 335 del 1995». La vicenda è riportata dai media cittadini. Nella raccomandata spedita dalla sede di Roma a Emilio Casali si indica anche «la possibilità di rateizzare il rimborso». Il figlio, Claudio, critica le spese legate all'invio: «Non pago o chiedo la rateizzazione».
Amianto killer, chiesti 20 milioni a Fincantieri
Ben 12 cause civili per malattie professionali causate dall'amianto alla Fincantieri di Ancona.
Sono state avviate dall'avvocato Ludovico Berti, per conto di altrettante famiglie di lavoratori: undici deceduti per mesotelioma pleurico e uno vivo, ma affetto da asbestosi.
Nel complesso, la richiesta di risarcimento danni supera i venti milioni di euro.
Questo per le lavorazioni senza adeguate misure di sicurezza in porto fino al 1986.
Lo stesso studio Berti aveva ottenuto un risarcimento da 3,5 milioni per le famiglie di quattro saldatori stroncati da un mesotelioma a causa dell'amianto. Una sentenza apri-pista, a cui si aggiunge la condanna penale delle scorse ore nel processo per i morti di Monfalcone. Secondo la linea dell'avvocato Ludovico Berti, già accolta nel primo procedimento civile, Fincantieri non poteva non sapere che l'amianto, utilizzato per decenni nello stabilimento anconetano, e soprattutto le sue polveri, avrebbero decretato la morte dei lavoratori.
Secondo il legale, la fibra killer era ovunque e ovunque si diffondeva.
Nella fonderia, ma anche tra i saldatori, i falegnami, gli elettricisti e persino gli impiegati.
Fincantieri si era difesa affermando che, prima che entrasse in vigore il divieto d'utilizzo dell'amianto, nel'92, in commercio non esistevano mezzi di protezione idonei.
Ma l'avvocato Berti ha ribattuto come le maschere di protezione, di cui gli operai non erano dotati, rappresentavano un ottimo schermo contro la polvere pericolosa.
tratto da Il gazzettino .it
Guardare il mondo con gli occhi dei gatti
I gatti e gli esseri umani hanno prospettive molto diverse sul mondo, sia letteralmente che metaforicamente parlando.
Infatti, come ben illustrano queste immagini, i gatti usano i loro occhi altamente specializzati per osservare le cose in un modo molto diverso da quello ci è proprio.
Queste immagini sono state messe a confronto da un artista grafico, Nickolay Lamm, in collaborazione con un team di esperti nel settore dell'oculistica animale, tra cui Kerry L. Ketring e il dottor DJ Haeussler.
I gatti hanno un campo visivo di 200 gradi rispetto ai nostri 180. La vista periferica dell'uomo è di 20 gradi su ogni lato, come mostrato nelle immagini sfocate.
La visione periferica dei gatti, al contrario, è di 30 gradi per ogni lato. E anche qui osserviamo una certa sfocatura, insieme ad una estensione delle visualizzazioni.
I gatti, dunque, possono vedere da sei a otto volte meglio in penombra degli esseri umani a causa dell'elevato numero di bastoncelli (specializzati nella visione notturna e periferica) e per le loro pupille ellittiche e le grandi cornee. Insomma, se un essere umano dotato di una buona vista è in grado di vedere nitidamente fino a 100 o 200 metri, un gatto riesce a mettere a fuoco un oggetto ancor più distante.
In precedenza, si sosteneva che i gatti fossero dicromatici (ossia in grado di distinguere solo due colori), al contrario dei cani e degli uomini che in alcuni casi potrebbero essere affetti da protanopia, ovvero l'incapacità di percezione del colore rosso.
Si sono riscontrati, infatti, alcuni picchi di percezione di altri colori, come il blu e il viola o il giallo e il verde. Questo indica che i felini siano trinocromatici, ma non nel senso umano: i coni (meno sensibili e stimolati solo dalla luce intensa, ma in grado di produrre una ricchezza di dettagli ad alta risoluzione) non sono così sparsi come i nostri, ma cadono tutti nella gamma del viola e giallo.
Le nostre retine hanno molti più coni dei gatti, soprattutto nella zona della fovea.
Ciò contribuisce a darci una visuale ricca di colori vivaci e con una risoluzione dettagliata.
I cani e i gatti invece sono in grado di vedere meglio in penombra e durante la notte. Non hanno la fovea (l'avvallamento circolare della retina), ma una "zona centralis" grazie alla quale riescono percepire i movimenti molto più veloci. Prerogativa molto utile quando si tratta di cacciare piccoli animali che cambiano direzione molto velocemente durante un inseguimento.
Queste differenze li contraddistinguono per la sofisticata vista notturna, un'ottima capacità di raccogliere e seguire i movimenti rapidi, ma al costo di percepire il colore in modo meno vivace, con una risoluzione meno dettagliata.
Alla luce di ciò, gli esseri umani hanno la capacità di cogliere i movimenti lievi, ad una velocità 10 volte più lenta dei gatti. Vale a dire che siamo in grado di vedere gli oggetti che si muovono molto lentamente e che, per i nostri amici felini, sembrano non muoversi affatto.
Federica vitale : nextme.it
La lunga disputa tra la Chiesa Cattolica e la Massoneria
A partire dal 1738 la Chiesa Cattolica ha emesso più di venti documenti solenni nei quali ha condannato l’appartenenza alla Massoneria e ha proibito ai Cattolici di farvene parte.
Perché?
Nel 1736 l’Inquisizione procedette a indagare sulle attività di una loggia massonica a Firenze, che fu poi chiusa nel 1737.
Nel 1738 il papa Clemente XII emise la bolla papale detta “In Eminenti Apostolatus Specula”, il primo documento ufficiale della Chiesa Cattolica contro la Massoneria.
Eccone un estratto:
Ma come la natura del crimine è tale che allerta e produce un clamore che lo tradisce, per questo motivo, le società menzionate hanno ispirato nei cuori dei fedeli una tal sfiducia così forte, che aderire a tali associazioni, da parte di persone prudenti e oneste, è come mettersi addosso una fama malefica e perversa.
Di fatto, se non stessero attuando male, non avrebbero un odio così grande per la luce.
Con questo primo documento del Vaticano contro la Massoneria, si proibì ai Cattolici di partecipare alle logge, e si suggerì ai vescovi di svolgere azione inquisitoria dell’eresia. Nel 1751, solamente 13 anni dopo, il papa Benedetto XIV emise una nuova bolla detta “Providas romanorum” contro la Massoneria.
Fu proibito ai cattolici di far parte delle logge, pena la scomunica immediata.
Nel corso del secolo XIX sono stati vari i papi che hanno emesso altre bolle contro la Massoneria, come per rimarcare che farne parte era considerato un peccato grave, che avrebbe portato alla scomunica.
Nel 1821 il papa Pio VII emise la bolla “Ecclesiam a Jesu Christo”. Nel 1826 Leone XII emise la bolla “Quo Graviora”. Nel 1829 Pio XVII emise un’altra bolla contro la Massoneria detta “Traditi Humiliati”.
E così fece Gregorio XVI con la bolla “Mirari Vos” nel 1832. Pio IX ne emise adirittura sei: rispettivamente nel 1846, 1849, 1864, 1865, 1869 e 1873. Anche papa Leone XVIII emise altre bolle e documenti in contrapposizione alla Massoneria, in totale ben otto, dal 1882 al 1902.
La più importante fu quella denominata “Humanum Genus”, del 1884.
Nel 1917 nel codice della legge canonica si rimarcò che aderire alla Massoneria avrebbe portato ad una scomunica immediata.
Nel 1980 la conferenza dei vescovi tedeschi ha redatto un documento contro la Massoneria indicando che i suoi membri negano la rivelazione, e mettono in dubbio la verità.
La Massoneria viene indicata come una corrente filosofica che abbraccerebbe il Deismo, e quindi in contrasto con il Cattolicesimo. Nell’anno successivo la congrega della dottrina della Fede, presieduta dal cardinale Seper, ha inviato una lettera ai cardinali americani nella quale sostanzialmente si ribadisce la proibizione per i Cattolici di far parte della Massoneria, pena la scomunica.
Nel 1983, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, il cardinale Joseph Ratzinger, ha emesso una “Dichiarazione sulle associazioni massoniche”, nella quale si ribadisce lo stato di grave peccato di chi vi aderisce e la conseguente impossibilità a ricevere la comunione.
Ecco il testo della dichiarazione, tratto dal sito web del Vaticano (1): CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE DICHIARAZIONE SULLA MASSONERIA È stato chiesto se sia mutato il giudizio della Chiesa nei confronti della massoneria per il fatto che nel nuovo Codice di Diritto Canonico essa non viene espressamente menzionata come nel Codice anteriore.
Questa Congregazione è in grado di rispondere che tale circostanza è dovuta a un criterio redazionale seguito anche per altre associazioni ugualmente non menzionate in quanto comprese in categorie più ampie.
Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione a esse rimane proibita.
I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione.
Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito, e ciò in linea con la Dichiarazione di questa S. Congregazione del 17 febbraio 1981 (Cf. AAS 73, 1981, p. 240-241). Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Dichiarazione, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 26 novembre 1983. Joseph Card. RATZINGER Prefetto Fr. Jérôme Hamer, O.P. Arcivescovo tit. di Lorium Segretario Come vediamo, a partire dal 1737, ovvero dopo soli 20 anni dalla nascita, nel 1717, della Massoneria moderna a Londra, la Chiesa Cattolica ha opposto ripetutamente il suo veto alla partecipazione di Cattolici all’interno delle Logge.
Da un punto di vista religioso la Massoneria è stata accusata dalla Chiesa Cattolica di avere una visione del Creatore differente rispetto a quella canonica Apostolica Romana. In particolare l’uso del nome “Grande Architetto dell’Universo”, per riferirsi al Creatore è contestato dalla Chiesa Cattolica perché richiama ad un’Entità Suprema che ha creato l’Universo, ma poi non è intervenuta nel mondo.
E’ l’accusa di “Deismo”, dove Gesù non sarebbe “Il Centro della Storia e del Cosmo”, “Il Salvatore del Mondo”, e “Il Cammino, la Verità e la Vita”, ma sarebbe stato “solo” un grande iniziato, allo stesso modo di Krishna, Budda, Zoroastro, ecc. Il Deismo era stato seguito, come corrente religiosa-filosofica, già a partire dal XVII secolo da grandi filosofi come Locke, Kant e Voltaire. In quest’ottica la religione cattolica era vista come uno strumento nelle mani del clero per mantenere il potere sulle masse degli adepti, ma non rappresentava la verità, da assimilare più con gli aspetti iniziali del Cristianesimo, ma anche con altri credi (Sufismo, Esseni, religioni panteiste). Per Locke, che anticipò il Deismo, lo Stato deve essere aconfessionale, laico, totalmente avulso da logiche riconducibili a idee religiose.
Anche l’Ateismo viene però visto come negativo da Locke, che accusò i suoi sostenitori d’amoralità.
La Massoneria venne pertanto incolpata fin dal secolo XVIII di mettere sullo stesso piano tutte le religioni, non riconoscendo quella Cattolica come portatrice della verità.
Da un punto di vista politico la Massoneria, che ha utilizzato il motto “libertà, uguaglianza, fratellanza”, è stata sempre in aperto contrasto con il “Diritto Divino” che stava alla base delle monarchie, ma anche in contrasto con l’idea che il “pontefice”, (costruttore di ponti), possa fungere da intermediario tra Dio e l’uomo.
In definitiva La Chiesa Cattolica e la Massoneria sono due mondi inconciliabili, anche se alcune persone pur facendo parte della Massoneria si professano Cattolici praticanti.
La Chiesa Cattolica ha una dottrina molto precisa, mentre per la Massoneria la morale non è legata a nessun credo religioso in particolare.
YURI LEVERATTO www.yurileveratto.com/it
Iscriviti a:
Post (Atom)