martedì 25 giugno 2013
Forasacco, un rischio per ogni cane
Fra le tante insidie estive a cui sono esposti i nostri amici a quattro zampe c’è quella dei forasacchi, che rappresentano un vero e proprio incubo per chi ha voglia di fare una passeggiata nel verde con il proprio cane, ma anche per chi ha semplicemente a disposizione un’aiuola sotto casa.
I forasacchi, infatti, penetrano in tutte le parti del corpo dell’animale, ma se sul pelo sono visibili e intervenire tempestivamente è relativamente più semplice, quando si infilano nelle orecchie, nel naso o negli occhi, i cani corrono dei seri pericoli. Tanto che, dalla constatazione della grave incidenza patologica che la specie canina è costretta a subire ogni anno si può affermare che i forasacchi siano, per loro, una vera calamità.
Ma che cosa sono di preciso i forasacchi? Si tratta di entità vegetali secche che si staccano dalle spighe delle graminacee selvatiche che solitamente sono costituite da diverse decine di forasacchi ed al loro interno racchiudono il seme.
Sono di dimensioni molto piccole, da uno a tre centimetri e di colore giallo paglierino, con le ariste più scure che vanno dal marrone al nero.
Hanno la caratteristica forma a lancia e sono rivestiti su tutta la superficie da una fitta ed ispida zigrinatura che, anche se quasi invisibile ad occhio nudo, è molto percettibile al tatto. Questa proprietà costituisce la loro vera essenza deleteria: la loro prima azione patogena è, infatti, quella di riuscire a penetrare nella pelle del cane provocando spesso profondi tragitti fistolosi. Questo è dovuto proprio a queste ispide particelle, a quella sua superficie dentellata che, a seguito dei movimenti corporei del cane, vengono attivate per inerzia.
Il forasacco penetra, così, lento ma inesorabile, sempre in avanti, senza quasi mai poter fuoriuscire in maniera naturale, causando spesso seri e gravissimi danni.
Il loro periodo di picco va, a seconda delle regioni, da aprile a ottobre, da quando, cioè, si seccano le erbacce per la stagione secca, fino a quando queste non scompaiono definitivamente per i primi freddi.
E’ dunque consigliabile tenere lontani i cani da prati o campi in questo periodo dell’anno, o quanto meno da aree verdi in cui siano visibili grandi quantità di erbacce, ed è fondamentale per la salute dell’animale controllarlo minuziosamente dopo ogni passeggiata (o, laddove questa sia particolarmente lunga, anche a metà del percorso).
Se doveste vedere un forasacco sul pelo, rimuovetelo all’istante, anche se il vostro è un cane a pelo lungo e vi sembra lontano dalla pelle: in men che non si dica, arriverà a ferirgliela.
Le zone del cane da tenere particolarmente sotto controllo sono, appunto, orecchie, naso e bocca, insieme alle zampe (controllate minuziosamente gli spazi tra le dita e tra queste e il cuscinetto), le logge ascellari, la regione inguinale e quella perianale (sotto la coda), l’interno del prepuzio per i maschi e la vulva per le femmine. Ma attenzione! Se dopo una corsa al parco il vostro amico peloso mostra segni evidenti di fastidio senza che voi vediate nessun corpo estraneo, il forasacco è probabilmente penetrato in qualcuna di queste zone. In questo caso correte dal veterinario, e se fosse già sera, non aspettate il giorno dopo, ma cercate un pronto soccorso. Il forasacco, infatti, continua a “camminare” anche all’interno dell’organismo: dal naso, ad esempio, penetra per le vie respiratorie fino a causare affezioni gravissime anche al torace; dall’orecchio, può arrivare a bucare il timpano e a causare sordità. I sintomi a cui dovrete fare attenzione sono gli eventuali starnuti (soprattutto se ripetuti, in serie di dieci o quindici, fino allo sbattere a terra il naso), lo scuotere della tesata o lo strusciare della stessa contro pareti e pavimenti all’altezza dell’orecchio, una lacrimazione anomala dell’occhio o il tenerlo chiuso o semichiuso; il leccarsi senza sosta l’interno di una zampa o il grattarsi continuamente nello stesso punto.
In questi casi il veterinario valuterà il grado di penetrazione del forasacco, e solo nel caso in cui non sia troppo profondo (se, cioè, ci si è resi conto in tempo del problema), si potrà procedere all’estrazione senza ricorrere all’anestesia.
Il tarsio
Piccolo, curioso e dall’aria simpatica e dolce, il tarsio è un genere di primate che vive nelle giungle delle Filippine, nel Sud-Est asiatico, nel Borneo e a Sumatra. Lungo 8-15 cm, è dotato di 20-25 cm di coda. I suoi grandi occhi, sproporzionati rispetto alle sue dimensioni, denotano la sua indole di creatura della notte ed hanno la particolarità di essere fissi, non roteano cioè nell’orbita oculare.Il tarsio
Per guardarsi attorno però, il tarsio è dotato della possibilità di ruotare il capo fino a 180°. Di giorno lo troviamo dormire nascosto tra gli alberi, avvinghiato sui tronchi, mentre vive di notte nutrendosi di insetti e piccoli vertebrati. Le zampe, affusolate ed anche loro grandi rispetto al corpo, sono dotate di cuscinetti adesivi, che gli permettono di aderire a qualsiasi tipo di superficie, permettendogli inoltre di compiere salti di 2 metri da un albero all’altro.
La caratteristica notevole di questo primate è il suo sistema di comunicazione: oltre ad emettere un suono simile al cinguettio degli uccelli, riesce ad emettere ultrasuoni impossibili da percepire per l’essere umano, che può udire suoni di frequenza inferiore ai 20 kHz. Il suono emesso dal tarsio può raggiungere una frequenza di 70kHz; il tarsio può udire suoni fino a 90 kHz.
La natura si manifesta in forme incredibili!
Il fiore nella foto appartiene alla famiglia Rubiacea, il suo nome scientifico è Psychotria elata ed è stata opportunamente rinominata “La Pianta del Bacio”.
Cresce nelle zone boschive della Colombia, Ecuador, Costa Rica e Panama.
La deforestazione minaccia l’habitat nativo di questa pianta che sta andando via via scomparendo anche se non è stata ancora dichiarata come specie a rischio di estinzione.
Paul Gauguin : Mata Mua
Dipinto nel 1892, Mata Mua è un’opera dell’artista francese Paul Gauguin. Si tratta di un olio su tela che misura 91 x 69 cm ed attualmente è esposto al museo Thyssen-Bornemisza.
Nelle sue lettere Gauguin racconta di aver trovato una valle all’interno della quale viveva un popolo primitivo che aveva sviluppato un equilibrio straordinario con la natura. Questo popolo svolgeva dei riti pagani. Nel ritratto infatti viene rappresentata la celebrazione della dea Hina, divinità della luna.
Alla fine dell’800 la civiltà occidentale iniziava a confrontarsi con cambiamenti epocali. Il novecento si apriva verso grandi scoperte e terribili tragedie. Gli artisti avrebbero ricoperto un ruolo importante ma molti di loro sentivano stretta e soffocante la realtà da cui provenivano e guardavano con interesse alle nuove esplorazioni e alla scoperta di terre lontane da cui trarre nuove ispirazioni.
Lo scopo per molti di loro era quello di trovare dei contesti primitivi, in cui fosse possibile riprodurre immagini, colori e soggetti che esprimessero un mondo innocente e incontaminato.
Fra questi artisti c’era anche Paul Gauguin, che aveva deciso di lasciare Parigi alla volta della Polinesia, proprio per trovare qualcosa che gli avrebbe permesso di scoprire e approfondire immagini e contesti di un mondo primigenio.
Nel 1891 approdò in Polinesia ma rimase deluso della capitale Papeete e quindi decise di proseguire per Tahiti. Lì sperava di trovare un equilibri fra natura ed esseri umani, senza alcuna mediazione del progresso. Trovò quello che cercava e lo riprodusse in diverse opere. Mata Mua è una di queste.
L’ambientazione del dipinto si sviluppa in un’atmosfera idilliaca, in cui la sacralità della cerimonia viene tratteggiata in modo semplice, affinché lo spettatore possa cogliere tutta lo splendore del rito. Osservando il dipinto si può notare una donna che suona il flauto, mentre altre donne, poco distanti, ballano muovendosi attorno alla statua della dea.
Attorno ammiriamo la natura con il suo splendore di colori caraibici. In Mata Mua c’è una ricostruzione molto accurata, ricca di dettagli e che restituisce allo spettatore una sorta di fotografia di un rito destinato a scomparire. Vi è una similitudine fra le stampe cinesi e questo quadro, non solo nell’uso dei colori ma anche per alcuni disegni, come quello dell’albero posto al centro dell’opera.
Mata Mua non è il dipinto più famoso e importante di Gauguin ma è significativo di un periodo della sua produzione artistica che avrebbe portato ad una svolta nel percorso estetico del pittore.
Nelle sue lettere Gauguin racconta di aver trovato una valle all’interno della quale viveva un popolo primitivo che aveva sviluppato un equilibrio straordinario con la natura. Questo popolo svolgeva dei riti pagani. Nel ritratto infatti viene rappresentata la celebrazione della dea Hina, divinità della luna.
Alla fine dell’800 la civiltà occidentale iniziava a confrontarsi con cambiamenti epocali. Il novecento si apriva verso grandi scoperte e terribili tragedie. Gli artisti avrebbero ricoperto un ruolo importante ma molti di loro sentivano stretta e soffocante la realtà da cui provenivano e guardavano con interesse alle nuove esplorazioni e alla scoperta di terre lontane da cui trarre nuove ispirazioni.
Lo scopo per molti di loro era quello di trovare dei contesti primitivi, in cui fosse possibile riprodurre immagini, colori e soggetti che esprimessero un mondo innocente e incontaminato.
Fra questi artisti c’era anche Paul Gauguin, che aveva deciso di lasciare Parigi alla volta della Polinesia, proprio per trovare qualcosa che gli avrebbe permesso di scoprire e approfondire immagini e contesti di un mondo primigenio.
Nel 1891 approdò in Polinesia ma rimase deluso della capitale Papeete e quindi decise di proseguire per Tahiti. Lì sperava di trovare un equilibri fra natura ed esseri umani, senza alcuna mediazione del progresso. Trovò quello che cercava e lo riprodusse in diverse opere. Mata Mua è una di queste.
L’ambientazione del dipinto si sviluppa in un’atmosfera idilliaca, in cui la sacralità della cerimonia viene tratteggiata in modo semplice, affinché lo spettatore possa cogliere tutta lo splendore del rito. Osservando il dipinto si può notare una donna che suona il flauto, mentre altre donne, poco distanti, ballano muovendosi attorno alla statua della dea.
Attorno ammiriamo la natura con il suo splendore di colori caraibici. In Mata Mua c’è una ricostruzione molto accurata, ricca di dettagli e che restituisce allo spettatore una sorta di fotografia di un rito destinato a scomparire. Vi è una similitudine fra le stampe cinesi e questo quadro, non solo nell’uso dei colori ma anche per alcuni disegni, come quello dell’albero posto al centro dell’opera.
Mata Mua non è il dipinto più famoso e importante di Gauguin ma è significativo di un periodo della sua produzione artistica che avrebbe portato ad una svolta nel percorso estetico del pittore.
Come respirare bene, la respirazione diaframmatica
Bastano pochi minuti al giorno per migliorare il benessere del vostro corpo e possiamo farlo attraverso una buona respirazione.
La respirazione è il nostro principale motore per poter vivere e per chi non lo sapesse anche la nostra più efficace cura di bellezza. Fondamentale in questa azione vitale è il diaframma, il suo corretto uso migliora le nostre prestazioni fisiche e di conseguenza anche il nostro aspetto esteriore.
Il diaframma è un muscolo situato tra la 2° e la 4° vertebra lombare, le ultime sei costole, lo sterno e il muscolo traverso dell’addome. Quando si abbassa, espande la cavità toracica permettendo ai polmoni un pieno completo di ossigeno; risalendo, aiuta i polmoni nello svuotamento dell’anidride carbonica.
Come respirare bene, i benefici
La respirazione stimola il metabolismo,rafforza il sistema immunitario e tonifica i muscoli, contribuisce in sostanza alla trasformazione dell’ossigeno in un “carburante” in grado di metabolizzare grassi, proteine e carboidrati.ò
Quando la respirazione è disfunzionale si introduce meno ossigeno del necessario, con un consequenziale rallentamento del metabolismo che espone al rischio di aumento di peso, in particolare nella zona addominale, ha inoltre inserzioni lombari e con la sua azione, se non è libera e corretta può essere causa di dolori cervicali.
Troppo spesso sottovalutiamo l’importanza di una corretta respirazione: esiste infatti una profonda sinergia tra l’attività cardiaca e quella respiratoria.
Sfaccettature del pensiero
Immagine choc arriva appunto da Aleppo: Bimbo soldato di appena 7 anni guarda dritto nell’obiettivo mentre fuma una sigaretta. A tracolla porta un mitra Ak47.
“Questa foto denuncia lo squallore, il degrado, il fallimento educativo e la sconfitta dell’essere e del “restare umani”, il trionfo del male sul bene…
E’ questo che l’uomo è stato capace di costruire con le sue azioni scellerate, l’attaccamento al potere terreno, il voler dare ostinatamente importanza a ciò che è materiale, effimero, sostituendo al “noi” il proprio “io”….
Con questi presupposti dove si andrà a finire? Una civiltà è destinata a perire, a sprofondare nel degrado, perché ha male costruito.
Ha innalzato i suoi castelli di sabbia su fondamenta non solide, una casa che prima o poi crollerà e si sfalderà in un cumulo di macerie e di degrado senza fine…come denuncia questa foto!
Il male non colpisce mai un solo popolo ma riguarda l’ intera umanità, perché siamo tutti parte di questo grande corpo, e se un membro di questo nostro corpo si ammala tutto il corpo finirà per risentire di quel male.
Se non si interviene in tempo per curarlo, il male degenererà e andrà in metastasi conducendo il corpo (l’umanità ” noi”) alla morte
Riflettiamoci..”
(Commento tratto dalla pagina di Fb della testimonial della Pace Agnese Ginocchio )
Gabriele D'Annunzio e il Vittoriale degli Italiani
"Ardisco offrire al popolo italiano tutto quel che mi rimane - e tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro - non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito. Già vano celebratore di palagi insigni e di ville sontuose, io son venuto a chiudere la mia tristezza e il mio silenzio in questa vecchia casa colonica, non tanto per umiliarmi quanto per porre a più difficile prova la mia virtù di creazione e trasfigurazione. Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della Patria futura si manifestano qui in ogni ricerca di linea, in ogni accordo o disaccordo di colori. Non qui risanguinano le reliquie della nostra guerra? E non qui parlano o cantano le pietre superstiti delle città gloriose? Ogni rottame rude è qui incastonato come una gemma rara. La grande prova tragica della nave "Puglia" è posta in onore e in luce sul poggio, come nell’oratorio il brandello insanguinato del compagno eroico ucciso. E qui non a impolverarsi ma a vivere sono collocati i miei libri di studio, in così gran numero e di tanto pregio che superano forse ogni altra biblioteca di solitario studioso. Tutto qui è dunque una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore. Come la morte darà la mia salma all’Italia amata, così mi sia concesso preservare il meglio della mia vita in questa offerta all’Italia amata."
G.D'annunzio
Il Vittoriale degli Italiani, così definì il poeta la Casa - Museo che l'avrebbe ospitato negli ultimi anni della sua esistenza.
Il Vittoriale non è semplicemente una dimora come può essere la Capponcina ,ma un vero e proprio museo in cui sono contenute reliquie, ricordi, cimeli e tracce del suo vivere inimitabile. D'Annunzio che fino al '20 era perseguitato dai creditori riesce a costruire attorno a se una città museo dove poter esaltare le proprie imprese valorose ed ardite e vivere nell'agiatezza del lusso più sfrenato senza alcun ritegno a nessuna prodigalità ne economica ( ne tanto meno della carne ).
Per capire come il Vate sia arrivato fino a questo bisogna fare una piccola digressione ed analizzare il contesto storico dell'Italia negli anni '20
Il 4 Settembre 1917 il poeta ardito vola sul Garda stillando brevi versi dedicati al lago " Tutto è azzurro, come un'ebbrezza improvvisa, come un capo che si rovescia per ricevere un bacio profondo. Il lago è di una bellezza indicibile ".
Nello stesso 1917, prima del raid su Pola, nasce l'esclamazione di sfida D'Annunziana " Eia, eia, eia. Alalalà " destinata a risuonare per più di un ventennio.
Successivamente all'impresa fiumana " O Italia o morte ! " lo stesso Mussolini "seguace" del suo ispiratore D'Annunzio pronucia questa frase : << Gabriele D'Annunzio è come un dente marcio o lo si estirpa o lo s ricopre d'oro...io preferisco ricoprirlo d'oro >>
Questa frase rappresentò la fortuna del Vate, il quale avendo dimostrato in parte adesione al pensiero Fascista si ritrovò a poter costruire il Vittoriale a spese del regine, in cambio però di dover donare allo stato tutto il Vittoriale dopo la propria morte.
Da qui il nome " Vittoriale degli Italiani " poiché più che di D'Annunzio era di tutti gli Italiani e da qui la massima che si trova alle soglie del Vittoriale
" IO HO QUEL CHE HO DONATO "
Gran parte dei disegni e progetti relativi all'architettura e ristrutturazione del futuro Vittoriale è assegnata all'architetto locale Gian Carlo Maroni che aveva combattuto con valore ed al quale D'Annunzio aveva già commissionato il Mausoleo dei Maritiri di Fiume ( anche se il progetto va a monte all'indomani della disfatta ). Henrich Thode, il precedente proprietario tedesco, espropriato della propria dimora in base al decreto del 1918 abbandona nella sua villa circa 6000 volumi, fra i quali ( ironia della sorte ) il dannunziano Fuoco, in un'edizione apocrifa del 1913.
D'Annunzio ancora non è consapevole di essere "condannato all'acqua dolce del lago" poiché fino a quel momento il Vate era un'anima itinerante, avvezza ai traslochi, che non aveva mai posseduto una casa propria dove poter " riporvi i resti dei miei naufragi "
D'Annunzio depone le vestigia dell'eclettico, ardito, esteta dal vivere inimitabile in quell'area delimitata da vaste mura del paese di Gardone sulle rive Bresciane costruendo attorno al suo mito una piccola città museo.
Trascorre le sue giornate in compagnia dell'ultima amante " ufficiale " Luisa Baccara, rinomata pianista alla quale dedica un'intera stanza al Vittoriale. Secondo fonti non del tutto certe, Luisa dovrebbe essere responsabile del famoso " volo dell'arcangelo " che impedì a D'Anunzio di incontrare Mussolini e Nitti nel 1922.
Si narra che la causa sia stata una spinta di Luisa gelosa per le troppe attenzioni che il Vate rivolgeva alla sorella Jolanda Baccara.
Il Vittoriale è la cittadella di un poeta - soldato, entro queste mura D'Annunzio visse gli ultimi 16 anni della propria esistenza, scrisse, meditò, si interrogò sulla propria vita, pianse il vigore dei propri vent'anni e la discesa inesorabile del tempo.
Visse rinchiuso nella penombra della sua villa, poiché a causa di una ferita all'occhio era divenuto foto fobico o semplicemente da buon esteta non voleva accettare l'onta della decadenza sul suo volto. Sperava di ingannare con l'oscurità i sensi e vivere nuovamente quel vigore che ancora lo accompagnava.
Di tutte le questioni relative a medicinali, ipocondria, polveri e suicidio non voglio pronunciar parola poiché il Vate fu per anni una guida spirituale per il paese, con i suoi mistici sogni, con i suoi ideali raffinati, il suo buon gusto in opere d'inchiostro e la sua eccessiva mondanità.
La vecchiezza mise di fronte il piccolo nume alla irrimediabilità della morte, e lo costrinse a ricercare disperatamente ciò che non poteva essere più.
In una lettera alla sorella del 1938 D'Annunzio scrive : " IO RESTO CON IL NULLA CHE MI SONO CREATO ", segno che forse era il momento della riconciliazione fra superuomo e uomo di mondo, fra peccato e redenzione, fra mito e realtà.
Questo il sogno d’un uomo mosso dalla passione, corroso dalla tabe letteraria e malato di poesia. << La passione in tutto. Desidero le più lievi cose perdutamente, come le più grandi. Non ho mai tregua…>> Così scriveva negli ultimi giorni della sua vita, rinchiuso nella sua prigione dorata e nella penombra sepolcrale della sua Villa incantata.
Cosa rimane della vita d'un artista mosso dalla passione, travolto dalla fiumana della voluttà, sospinto dalla scintilla di genio battagliero ? Qualche pagina in un'antologia scolastica, dei siti internet sparsi per la rete, un film dal titolo D'Annunzio e tanta poesia, tanta veemenza, fervore, entusiasmo, trasporto, tripudio per l'inclinazione smisurata di quel genio che :
FECE DELLA SUA VITA CIO' CHE SI FA D'UN OPERA D'ARTE
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