venerdì 13 febbraio 2015
Il nonno piu' vecchio d'Australia lavora a maglia per coprire i pinguini feriti
Ha 109 anni ma è un grande 'sferruzzatore'.
L'uomo più anziano dell'Australia, Alfred Date, detto 'Alfie' ha risposto con entusiasmo all'appello della Phillip Island Penguin Foundation, che a marzo dello scorso anno ha chiesto ai 'knitters' di tutto il mondo di realizzare maglioni di lana per i piccoli pinguini da indossare in caso di fuoriuscita di petrolio.
Così nonno Alfie ha passato molti giorni a lavorare a maglia per i piccoli uccelli in difficoltà e ha prodotto per loro tanti vestiti in miniatura, grazie ai suoi 80 anni di esperienza e competenza nel settore della maglieria.
È partito come autodidatta dopo aver iniziato a 'sferruzzare' per suo nipote nel 1930.
Oggi ha sette figli e 20 nipoti, e "circa la stessa quantità" di pronipoti.
Il suo segreto per una lunga vita? Semplicemente "svegliarsi ogni mattina".
Così l'ultracentenario ci dimostra che non è mai troppo tardi per aiutare altri esseri viventi in difficoltà.
Alfie tiene le mani attive anche realizzando sciarpe per amici e cappelli per bambini prematuri.
Le sue donazioni dei maglioncini per i pinguini si sono aggiunte a tante altre arrivate da tutto il mondo. E sono state importantissime, perché impediscono loro di tentare di eliminare il petrolio dal corpo con il becco, mantenendoli caldi e al sicuro dall'ingerimento della sostanza.
Fonte: greenme.it
Furono i Conquistadores i primi inquinatori del Sud America
Polvere di piombo, derivata dalla lavorazione dei minerali d'argento estratti dalle miniere di Potosí, nell'atuale Bolivia, e sparsa sulle Ande: è questa la prima forma d'inquinamento atmosferico del Sud America, scoperta grazie a uno studio apparso sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” a firma di Lonnie Thompson e colleghi della Ohio State University: risale infatti al XVI secolo.
Gli autori hanno studiato, mediante la spettrometria di massa, la tipologia e l'abbondanza dei composti chimici presenti negli strati di ghiaccio risalenti fino al nono secolo del ghiacciaio di Quelccaya, in Perù. I dati raccolti mostrano la presenza di arsenico, bismuto, molibdeno e specialmente piombo.
La spettrometria di massa ha rivelato alcuni picchi nelle concentrazioni di piombo negli strati di ghiaccio.
Alcuni di essi sono precedenti la dominazione spagnola e sono dovuti alla contaminazione da fonti naturali, come le eruzioni vulcaniche.
Le tracce più consistenti sono relative invece agli ultimi decenni del 1500 e rimangono fino ai primi anni del 1800, quando è finita la dominazione spagnola dell'America del Sud.
Per chiarire l'origine di questo inquinamento, Thomson e colleghi hanno confrontato i dati raccolti a Quelccaya con quelli delle torbiere della Tierra del Fuego, in Cile, e dei depositi sedimentari di diverse regioni tra cui quella di Potosí e di altre miniere in Bolivia e in Perù, che portano i segni inequivocabili dell'inquinamento seguito alle pratiche di estrazione dell'argento, secondo la tecnica introdotta dalla dominazione spagnola in Sud America.
Tale tecnica prevede la molatura del minerale, contenente più piombo che argento, e la miscelatura della polvere così prodotta col mercurio, in un processo chiamato amalgamazione.
Il confronto delle diverse firme isotopiche ha portato a trovare una corrispondenza evidente con l'inquinamento di Potosí, dove i Conquistadores producevano la maggior parte dell'argento. “Questi dati sperimentali supportano l'idea che l'impatto umano sull'ambiente era diffuso anche prima della rivoluzione industriale”, ha commentato Paolo Gabrielli, ricercatore della Ohio State e coautore dello studio.
Fonte: http://www.lescienze.it
Termiti contro la desertificazione
Nelle zone aride del pianeta, le colonie di termiti possono ostacolare la desertificazione (l'espansione di zone desertiche) grazie alla capacità dei termitai di immagazzinare umidità.
È questo il risultato di uno studio dell'Università di Princeton appena pubblicato su Science.
Il team di ricercatori ha osservato che nelle praterie, nelle savane e negli ecosistemi più vulnerabili ed esposti a fenomeni di desertificazione in Africa, Sud America e Asia, le piante si concentrano in prossimità dei termitai.
Per costruire i loro nidi, che in alcuni casi raggiungono diversi metri di altezza, le termiti devono spostare decine (a volte centinaia) di chili di terreno.
Il risultato è una fitta trama di gallerie sotterranee che trattengono umidità e creano il terreno adatto all'insediamento delle piante.
Corina Tarnita, biologa e autrice dello studio, ha spiegato che «la vegetazione in corrispondenza dei termitai resiste più a lungo e muore più lentamente».
Il ruolo delle termiti in queste zone è benefico anche in assenza di piante perché «anche nelle condizioni più ostili, dove la vegetazione scompare dai termitai, il reinsediamento delle piante è più semplice. Finché sono presenti i termitai, l'ecosistema ha più possibilità di ritrovare un equilibrio».
Il risultato di questo studio, secondo gli autori, è rilevante anche perché permette agli scienziati di avere uno sguardo nuovo su come la natura può reagire ai cambiamenti climatici: molto spesso i modelli che ci permettono di fare previsioni non tengono conto di fattori naturali che potrebbero modificare significativamente i risultati.
Fonte: focus.it
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