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giovedì 23 maggio 2019

Il complesso prenuragico di Monte d’Accoddi somiglia alle Ziggurat Mesopotamiche


Caratteristica peculiare dell’archeologia sarda sono senza dubbio le mastodontiche testimonianze lasciateci dalla civiltà nuragica, ma alcune costruzioni megalitiche risalgono a ben prima del più conosciuto periodo della storia dell’isola; il complesso prenuragico di Monte d’Accoddi ne è un emblematico esempio.


Il IV millennio a.C., in un clima di fermento culturale e crescita demografica, vede lo svilupparsi di vari insediamenti nella parte settentrionale dell’isola, principalmente sugli altopiani.
 La competizione territoriale e per l’accaparramento delle risorse non doveva essere forte, data l’apparente assenza di strutture difensive, la locazione non strategica e la vicinanza, tra loro, dei villaggi. 
 Agricoltura e allevamento si fanno strada sostituendo progressivamente caccia, pesca e raccolta, che vennero relegate ad attività di integrazione di risorse alimentari. 
La qualità della produzione artigianale, soprattutto delle ceramiche, verrà meno per via del minor tempo a disposizione della popolazione impegnata nella neo-arrivata lavorazione dei metalli e della produzione di cibo. 
Nonostante ciò il lavoro artigianale continuerà ad avere un posto di primo piano nella vita del villaggio, così come attestato dai ritrovamenti delle case, divise in diversi spazi adibiti anche alla lavorazione del prodotto agricolo e alla tessitura. 

L’incremento della popolazione nel millennio successivo farà affiorare la competitività umana, resa evidente dalla scelta di luoghi insediativi sopraelevati e favorevoli al controllo del territorio, possibilmente facili da difendere.


In questo contesto si colloca la costruzione del complesso di Monte d’Accoddi, un edificio a terrazze circondato da un villaggio, alcuni menhir e posto nelle vicinanze di una necropoli.

 Il santuario, denominato “Tempio Rosso” poiché in passato doveva essere intonacato col rosso ocra, venne costruito in più fasi. Sostanzialmente se ne possono distinguere due: una collocabile nella prima metà del IV millennio b.c.e. che vide l’edificazione del corpo troncopiramidale centrale unito alla rampa, rivolta verso sud; e una seconda che interessò il terrazzamento costruito nella seconda metà del millennio a completare l’edificio preesistente.
 Un ambiente rettangolare era posto sulla cima, con l’ingresso posto in corrispondenza della rampa.


Stabilire la sua specifica funzione non è semplice, e necessiterebbe di uno studio molto approfondito in quanto la struttura venne utilizzata non solo nel IV millennio, ma anche nel III, persino dopo essere stata danneggiata da un rovinoso incendio.

 Innanzitutto si esclude la funzione funeraria, prediligendo sempre una funzione sacra, ma più nell’ambito delle cerimonie e delle processioni rituali verso un luogo sopraelevato. 

La presenza di un dolmen, a est della rampa, provvisto di una serie di fori (forse per far defluire il sangue) fa pensare alla pratica di sacrifici votivi; non è, poi, ancora stata accertata la funzione delle pietre sferiche (la più grande dal peso superiore alla tonnellata e dal diametro di quasi cinque metri) situate nei pressi dell’edificio.




La sua struttura così simile alle ziggurat mesopotamiche ha fatto subito pensare a collegamenti tra la Sardegna e le culture mediorientali, ma tale ipotesi è stata fermamente smentita dagli esperti. 
Il monumento pare sia unico nel proprio genere, infatti non sono mai state trovate in Europa strutture che ricordino così tanto i celebri edifici asiatici, i quali dovrebbero essere, per di più, successivi alla costruzione del monumento sardo. 

La scarsità di prove, tuttavia, limita ampiamente il lavoro degli studiosi.
 Molte domande, infatti, rimangono ancora senza risposta, e persino le poche fornite sino a ora sono lontane dall’essere provate con certezza.


 Fonte: vanillamagazine.it
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