domenica 24 novembre 2013
La leggenda del lago di Misurina
Misurina era figlia del re Sorapiss, che governava nelle zone del lago. Aveva un temperamento vivace, forse dovuto alla perdita della mamma, e il padre cercava quindi di ignorarla. Fu per questo che il re acconsentì ad accompagnare Misurina sul monte di Cristallo, dove la bambina – che aveva ancora 8 anni – aveva sentito parlare di una fata e di uno specchio magico capace di leggere i pensieri di chiunque riflettesse.
La fata non intendeva separarsi dal suo specchio, ma di fronte alle continue insistenze di Misurina stabilì che potesse averlo a una terribile condizione: che il padre fosse trasformato in montagna, affinché proteggesse con la sua ombra i fiori del giardino della fata, sempre sottoposti alla luce del sole. Credeva in questo modo di far desistere Misurina.
Ma l’egoismo della bambina era infinito e accettò di buon grado il compromesso.
Ma l’egoismo della bambina era infinito e accettò di buon grado il compromesso.
Misurina contemplò il suo riflesso nello specchio e, nel frattempo, il re Sorapiss iniziò a mutare di aspetto. I suoi capelli si trasformarono in alberi, le sue rughe in crepacci e il suo corpo aumentò a dismisura.
Misurina si accorse di trovarsi sull’apice della montagna, che un tempo fu suo padre. Colta dalle vertigini per l’altezza, precipitò nel vuoto.
Misurina si accorse di trovarsi sull’apice della montagna, che un tempo fu suo padre. Colta dalle vertigini per l’altezza, precipitò nel vuoto.
Per Sorapiss fu un duro colpo assistere alla morte della figlia senza poter intervenire. Dai suoi occhi sgorgarono lacrime copiose che andarono a formare due ruscelli. Nel tempo, i due ruscelli si riunirono a valle formando quello che è, oggi, il lago di Misurina.
Che fine fece lo specchio magico?
Anch’esso si infranse in migliaia di pezzi nella caduta e fu trascinato a valle dalle lacrime del re. Sono i suoi frammenti a donare i riflessi alla superficie, simboli dei pensieri di chi riflette la propria immagine sul lago di Misurina.
Un video che spiega come ci hanno deindustrializzato
Claudio Messora intervista Nino Galloni, economista ed ex direttore del Ministero del Lavoro.
Un'altra imperdibile intervista in crowdfunding.
Un viaggio nella storia d'Italia che passa per Enrico Mattei e Aldo Moro, lungo un progetto di deindustrializzazione che ha portato il nostro Paese da settima potenza mondiale a membro dei Pigs.
Ipazia, un frammento di cometa che diventa gioiello
Un'approfondita analisi chimico-fisica suggerisce che un frammento roccioso ritrovato nel deserto libico-nubiano, nella parte più orientale del deserto del Sahara, provenga dal nucleo di una cometa che, cadendo verso la Terra 28,5 milioni di anni fa, è esplosa al contatto con l'atmosfera, dando probabilmente origine a un particolare tipo di vetro usato dagli antichi egizi in gioielleria.
Lo dimostra l'insolito contenuto di carbonio del campione, che porta a escludere che si tratti del frammento di un meteorite
A prima vista sembra un sassolino scuro di forma appuntita, pesante appena 30 grammi. Ma secondo una serie di analisi chimico-fisiche, condotte da Jan Kramers, dell' Università di Johannesburg, in Sudafrica, e colleghi, sarebbe il frammento del nucleo di cometa.
Come si legge su “Earth and Planetary Science Letters”, il campione, che i ricercatori hanno battezzato Ipazia in onore della matematica Ipazia di Alessandria, è ciò che resta di una cometa entrata nell'atmosfera terrestre 28,5 milioni di fa ed esplosa in migliaia di frammenti che sono poi ricaduti nel deserto libico-nubiano, il lembo più orientale del deserto del Sahara.
L'impatto con il terreno ha generato temperature fino a 2000 gradi centigradi, fondendo la sabbia e dando origine a un vetro di silice tipico di questo deserto, noto fin dall'antichità, e detto appunto "vetro del deserto libico".
Un esemplare di questo vetro, sapientemente lavorato a forma di scarabeo, è incastonato in un pendente ritrovato nella tomba del faraone egizio Tutankamon.
Un aspetto peculiare del sassolino è che al suo interno sono stati trovati microscopici diamanti.
Il diamante ha origine da una particolare struttura cristallina degli atomi di carbonio solo in particolari condizioni di pressione, come quelle degli strati geologici più profondi della Terra. Ma si può formare anche per effetto di intense onde di pressione, come l'onda d'urto prodotta da un impatto.
Grazie a una serie di analisi, tra cui la diffrazione a raggi X e la microscopia elettronica a scansione e a trasmissione, gli autori hanno stabilito che Ipazia non può essere un meteorite perché ha un contenuto di carbonio insolitamente alto, maggiore di quello tipico delle condriti carbonacee, cioè delle meteoriti che contengono materiale organico.
La concentrazione è tale da escludere anche l'ipotesi che il carbonio provenga da materiali terrestri presenti nel terreno. Le concentrazioni di carbonio trovate sono invece compatibili con quelle delle particelle di polvere interplanetaria e anche delle polveri della cometa 81P/Wild2 raccolte nel 2004 dalla missione Stardust della NASA. L'ipotesi degli autori è che si tratti di un campione di un nucleo cometario, cioè della parte solida centrale di una cometa, che secondo gli attuali modelli sarebbe costituito di roccia polveri e gas congelati.
Fonte : http://www.lescienze.it
Muramasa e Masamune: la leggenda delle due spade perfette
La storia giapponese è densa di mitologia, di leggenda e di ambizione. Lo dimostra il nutrito pantheon della religione nipponica e le superstizioni che accompagnano, ancora oggi, le tradizioni giapponesi. Ma il Giappone è anche terra di racconti, di guerrieri onorevoli e di storia straordinaria.
Uno di questi racconti narra della competizione tra due fabbri leggendari di nome Muramasa e Masamune, differenti tanto nel carattere quanto nelle straordinarie spade che forgiavano.
Le qualità delle loro lame erano impeccabili, capaci di tagliare quello che non poteva essere tagliato da altro acciaio, ma i loro scopi erano del tutto opposti: distruzione e morte il primo, perfezione e rispetto il secondo.
L’eterna lotta tra lato oscuro e spiritualità.
Muramasa era un fabbro capace di costruire lame di altissima qualità.
Quando pregò affinché le sue spade portassero «grande distruzione», le divinità le imbevvero con uno spirito assetato di sangue che, se non soddisfatto in battaglia, avrebbe portato all’omicidio o al suicidio del portatore.
Da quel giorno furono innumerevoli le storia di guerrieri che, brandendo le sue spade, finirono per diventare pazzi o per essere uccisi. Al punto che le spade di Muramasa furono bandite attraverso un editto imperiale. L’editto fu promulgato dall’imperatore Tokugawa Ieyasu, che vide quasi la sua intera famiglia perire a causa delle lame maledette: sua moglie e i suoi figli adottivi furono giustiziati da quelle spade, il nonno fu ucciso dallo stesso Muramasa e Ieyasu stesso fu ferito da esse.
Era chiaro, quindi, che la forgia di Muramasa rappresentava un pericolo.
C’è qualche verità nella leggenda? Ci furono davvero quelle morti dovute alle spade maledette?
In questo caso, siamo sul confine tra il mito e la storia, e i racconti devono essere presi con le pinze.
Le morti ci furono, ma al tempo del giappone feudale era già troppo per un guerriero sopravvivere oltre i 30-40 anni (soprattutto se ronin, cioè un vagabondo non legato a un signore).
Comunque sia, quando si parla di “Muramasa” non ci si riferisce a un solo fabbro, ma all’intera scuola di fabbri da lui fondata; ed è innegabile, quindi, che le spade da lui derivate furono la causa di tante «morti e distruzioni»
.
A differenza di Muramasa, il fabbro giapponese Masamune non fece alcuna preghiera agli dei, perché non ne aveva bisogno: era, infatti, un prete. Masamune (chiamato anche Goro Nyudo Masamune, cioè “sacerdote Goro Masamune”) viene in genere considerato il fondatore del Soshu, una particolare tradizione di forgiatura che aveva lo scopo di rendere le lame simili alle “stelle nel cielo notturno”.
In questo caso non parliamo di mito, ma di storia. Sembra che una delle spade da lui costruite nel XIII secolo non sia mai stata ritrovata.
E’ stata chiamata Honjo Masamune ed è stata passata di generazione in generazione fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando se ne sono perse le tracce.
Ormai è diventata una vera e propria leggenda che in molti sperano di recuperare ed è considerata uno dei Tesori Nazionali del Giappone, dal valore inestimabile.
La Honjo Masamune
Che fine può aver fatto la Honjo Masamune?
Nel 1945 il generale MacArthur occupò il Giappone e una delle sue occupazioni fu distruggere le armi giapponesi, incluse le katane. La famiglia Tokugawa cedette 15 spade alla stazione di polizia di Tokyo, inclusa la “creatura” di Masamune, che entrarono a far parte della collezione del sergente americano Coldy Bimore (il cui nome non è confermato).
Dopodiché della Honjo Masamune non ci furono più notizie.
La leggenda vuole che Masamune e Muramasa si sfidassero in una competizione per stabilire quali tra le loro armi fossero superiori.
Si tratta di semplice folklore popolare, perché Muramasa nacque circa due secoli dopo, ma vale la pena di ricordarlo.
I due fabbri decisero di appendere una delle loro spade sopra un fiume, con le lame immerse nella corrente.
La spada di Muramasa, chiama Juuchi Fuyu («10mila inverni»), era indistruttibile ed era capace di fendere qualsiasi cosa incontrasse lungo il cammino. Tranciò infatti pesci, rami e persino pietre.
Il racconto spiega che tagliò una foglia in due semplicemente toccandola lungo il suo pigro vagare.
Masamune era di tutt’altro parere e decretò che la sua spada, la Yawaraka-Te («mano delicata»), non avrebbe mai tagliato niente di immeritevole, neppure il vento. Quando la sua spada passò vicino alle foglie disposte sul letto del fiume, la lama le evitò miracolosamente, lasciandole completamente intatte.
Virtualmente non ci furono veri vincitori, ma sembra che un monaco di passaggio apprezzò maggiormente la spada di Masumune, perché non tagliava impunemente qualsiasi cosa le passasse accanto, come invece faceva la lama dai Muramasa.
Fonte: diggita.it
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