Non sono i ponti più alti o più lunghi del mondo, ma una serie di umili attraversamenti fluviali formati dalle radici degli alberi.
Si tratta di veri e propri ponti viventi che si innalzano sopra fiumi e burroni di Meghalaya, nell’India nord-orientale, collegando i villaggi e permettendo agli agricoltori di raggiungere le terre coltivate.
Queste strutture, ancora poco studiate, sono formate dalle radici aeree del Ficus elastica, o l’albero della gomma, che possono estendersi fino a 50 metri e sopravvivere per centinaia di anni. Sono radici incredibilmente robuste e la loro forza aumenta nel tempo poiché man mano che gli alberi crescono si ancorano sempre più alla terra.
I ponti viventi rappresentano una meraviglia ingegneristica naturale, che potrebbero aiutare le nostre città ad adattarsi alle temperature in aumento associate alla crisi climatica.
Alcuni ricercatori hanno mappato 74 ponti viventi nella zona, chiarendo il meccanismo con cui si formano e il modo in cui si mantengono nel tempo; per farlo, hanno sfruttato le conoscenze dei residenti, scattato migliaia di fotografie e realizzato numerosi modelli tridimensionali.
A differenza dei ponti realizzati in legno o bambù, i ponti viventi non sono facilmente spazzati via da pioggia e venti e non marciscono, aspetto molto importante in una regione molto umida. I ponti viventi durano anche molto più a lungo delle strutture costruite in acciaio, che arrugginiscono e si rovinano in fretta a causa del clima umido.
Le caratteristiche dei ponti radicali viventi sono date da un processo di “architettura rigenerativa” fatto dell’alternanza di crescita, decadimento e ricrescita continui.
Non si tratta di un processo naturale: i ponti sono realizzati e mantenuti da individui, famiglie e comunità degli indigeni Khasi e Jaintia.
Il processo di costruzione è simile tra le varie comunità, anche se differisce leggermente in base alle tradizioni locali e al tipo di ponte che si vuole realizzare.
Si inizia piantando una piccola pianta su ogni sponda del fiume o lungo i bordi di un burrone.
Quando spuntano le radici aeree, queste vengono avvolte attorno a una struttura di bambù o a steli di palma e vengono dirette verso la riva opposta.
Quando raggiungono l’altro lato, vengono impiantati nel terreno. Dopodiché la pianta emette ulteriori radici aeree, che possono anche fondersi tra loro, e la struttura diventa sempre più complessa e solida, stabile e resistente al carico.
Perché un ponte sia completato possono volerci decenni: la maggior parte dei ponti raggiungono i 20 metri e sono così stabili da poter essere percorsi da 2000 persone al giorno, mentre altri possono arrivare a lunghezze maggiori diventando difficili da percorrere e spaventosi.
Le tecniche utilizzate per costruire i ponti radicali viventi potrebbero essere impiegate nelle città, ad esempio per creare pensiline che non creino ostacoli a livello del suolo e che contemporaneamente rendano più verdi e ombreggiate le aree urbane, strategie necessarie per far fronte all’aumento delle temperature.
Fonte: greenme.it