mercoledì 21 gennaio 2015
Come leggere i rotoli della Villa dei papiri di Ercolano
Il contenuto dei papiri sopravvissuti all'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. , ancora arrotolati e carbonizzati, potrà essere letto grazie alla tecnica messa a punto da Vito Mocella del CNR-IMM di Napoli in collaborazione con Emmanuel Brun e Claudio Ferrero dell'ESRF (il sincrotrone europeo di Grenoble) e con Daniel Delattre del CNRS-IRHT di Parigi.
Come riferiscono su “Nature Communications”, i quattro sono infatti a riusciti a visualizzare lettere e parole vergate su una superficie nascosta all'interno di uno di questi rotoli.
Nel 1754, una campagna di scavi archeologici a Ercolano voluta da Carlo di Borbone re di Napoli portò alla scoperta di una grande villa, oggi nota come Villa dei papiri, forse appartenuta a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Cesare, e ai suoi discendenti.
All'interno della villa vi era una biblioteca contenente centinaia di papiri manoscritti, ormai carbonizzati, ma accuratamente conservati in scaffali.
Questa ricca collezione – sottolineano gli autori - è un tesoro culturale unico in quanto è l'unica biblioteca antica giunta a noi con i suoi libri.
Per esaminare i papiri furono escogitati diversi metodi di apertura - da quello ideato dall'abate Antonio Piaggio subito dopo la loro scoperta, fino al “metodo di Oslo” degli anni ottanta del secolo scorso – ma tutti vennero presto abbandonati dopo pochi tentativi. Anche applicandoli ai papiri carbonizzati più robusti e meglio conservati, provocano infatti la perdita irrimediabile di un numero eccessivo di testi; per questo si preferì preservare l'integrità fisica dei reperti, nella speranza di poterli leggere un giorno nella loro interezza grazie ai progressi tecnici.
Le tecniche radiografiche convenzionali, nelle quali il contrasto dell'immagine è legato ai diversi modelli di assorbimento dei raggi X da parte dei vari materiali, non avevano finora dato alcun frutto perché i papiri erano scritti con un inchiostro a base di nerofumo, la cui densità è quasi identica a quella del papiro carbonizzato.
E nemmeno la fluorescenza a raggi X, applicata con successo per la mappatura chimica (e quindi alla lettura) di antichi manoscritti e palinsesti coperti da altri scritti più recenti, e la tomografia computerizzata a raggi X avevano dato risultati soddisfacenti.
Ora, Vito Mocella e colleghi hanno adattato a questa applicazione archeologica la tomografia a raggi X in contrasto di fase, che permette non solo di distinguere i differenti livelli di avvolgimento del rotolo, ma anche di ottenere un discreto contrasto fra l'inchiostro e il papiro carbonizzati.
I ricercatori hanno così esaminato due dei sei rotoli di Ercolano conservati all'Institut de France a Parigi, dove giunsero nel 1802 come omaggio a Napoleone (gli altri sono conservati nell'Officina dei Papiri della Biblioteca Nazionale di Napoli).
Uno dei due rotoli era stato aperto in epoca passata ed è servito come campione di riferimento per l'identificazione delle lettere, mentre l'altro era ancora strettamente arrotolato.
I ricercatori sono riusciti a leggere numerose lettere e parole scritte su superfici nascoste di questo secondo papiro, scoprendo, fra l'altro, che lo stile di scrittura è simile a quello di un altro papiro di Ercolano scritto dal filosofo epicureo Filodemo.
Forse, ipotizzano gli autori, anche questo testo è di pugno dello stesso Filodemo.
Fonte: http://www.lescienze.it/
Shani Shingnapur: il villaggio completamente senza porte in India
In India esiste un villaggio completamente senza porte.
Si tratta di Shani Shingnapur.
Nessuna casa e nessun edificio pubblico è dotato di porte, nemmeno le banche.
Una caratteristica inusuale che riguarda le oltre 300 abitazioni e istituzioni presenti all'interno dei suoi confini.
Nemmeno i bagni pubblici del centro del villaggio hanno delle porte, ma semplicemente delle tende piuttosto sottili, per non andare contro le regole del luogo, come sottolinea Permeshwar Mane, un negoziante del villaggio, che evidentemente non teme furti, nonostante l'assenza di porte.
Alcuni abitanti durante la notte riparano le porte con qualche asse o con dei tendaggi, ma si tratta più che altro di uno stratagemma per tenere lontani gli animali selvatici.
Nessuno ha paura dei ladri. Qui si vive in un clima di fiducia
.
L'assenza delle porte crea un piccolo problema: non si può bussare per annunciare il proprio arrivo. Allora non si fa altro che chiamare ad alta voce i padroni di casa, sperando che qualcuno risponda e arrivi presto ad accogliere gli ospiti.
Il villaggio si trova nello stato del Maharashtra.
Qui gli abitanti non sentono la necessità di porte e misure di sicurezza, poiché ripongono tutta la loro fiducia in una divinità protettrice locale chiamata Shani.
Secondo una leggenda, secoli fa una lastra di ferro e pietra era stata trasportata sulla riva di un fiume delle vicinanze dopo un'alluvione. Quando i curiosi si avvicinarono alla lastra, l'oggetto iniziò a grondare sangue.
Più tardi quella notte il dio Shani apparve in sogno ad uno dei capi del villaggio e rivelò che quella lastra era un suo simbolo che li avrebbe aiutati a proteggerli da ogni pericolo.
Secondo il messaggio della divinità, gli abitanti non avrebbero mai più avuto bisogno di porte.
Gli abitanti credono che chiunque rubi o commetta cattive azioni nel villaggio sarà condannato a vivere sette anni e mezzo di sfortuna.
Nessun oggetto di valore viene tenuto sotto chiave o in cassaforte al villaggio, che comprende circa 5000 residenti.
Negli anni Novanta l'esistenza del villaggio è diventata nota in tutto il mondo poiché è stata descritta in un film devozionale.
Shani Shingnapur è meta di pellegrinaggio da parte di induisti e turisti nazionali e internazionali.
La sua economia ruota intorno al tempio, dedicato al dio Shani, che è considerato il vero guardiano di questo luogo, i cui abitanti sperano che la tradizione di vivere senza porte – senza temere furti – continui ancora per molto tempo, anche se i giovani stanno iniziando a trasgredire le regole.
Marta Albè
L’insolita piramide del centro cerimoniale maya di Uxmal
Uxmal è stato il più grande centro metropolitano e religioso sorto sulle colline dello Yucatan tra il 7° e il 10° secolo d.C.
Nelle antiche cronache del Chilam Balam, Uxmal viene descritta come una città ricca, fiorente e meravigliosa. Le rovine delle strutture cerimoniali di Uxmal, infatti, rappresentano l’apice dell’arte maya, un esempio di architettura eguagliato in bellezza solo dal sito di Palenque.
Lo stile Puuc è predominante e colpisce soprattutto la ricchezza e la eleganza delle decorazioni.
Tutta l’architettura di Uxmal denota l’altissimo grado di perfezione raggiunto dagli intagliatori maya nell’arte della lavorazione della pietra. Ma il sito si distingue non solo per la sua bellezza artistica. Per lunghi secoli Uxmal è stata una delle città maya più popolose dello Yucatan, grazie anche a un prodigioso sistema di approvvigionamento d’acqua attraverso numerosi chultunes, grandi cisterne che assicuravano una duratura riserva idrica in un luogo privo di pozzi naturali, mostrando così anche l’elevato grado ingegneristico raggiunto dai Maya.
La città raggiunse il suo massimo sviluppo nel Periodo Classico della civiltà maya, raggiungendo una popolazione di 20 mila unità e divenendo il principale centro cerimoniale della civiltà Puuc.
Il nome “Uxmal” è traducibile con l’espressione “tre volte ricostruita” e, qualunque sia stato il numero effettivo, le numerose fasi di costruzione si riflettono in una ricca varietà di stili architettonici.
A differenza di molti altri siti precolombiani, Uxmal non si sviluppa geometricamente: il suo spazio è organizzato in relazione ad alcuni fenomeni astronomici, come il sorgere di Venere.
Lo dimostra il Palazzo del Governatore, un edificio lungo quasi 100 metri che sorge sopra una vasta piattaforma a gradinate e che fungeva probabilmente da residenza delle massime autorità.
Il palazzo è orientato verso il sorgere del pianeta Venere e presenta una parte inferiore semplice e lineare, mentre il cornicione superiore è fittamente decorato con i simboli cari alla cultura maya: sul fregio si possono contare 260 maschere del dio Chaac, tante quanti sono i giorni del calendario dell’anno sacro.
La parte posteriore del palazzo è caratterizzata da una serie di strette porte a forma di punta di freccia che immettono in un piccolissimo vano, il cui uso è rimasto sconosciuto.
Il declino della città cominciò intorno al 900 d.C., forse a causa della crescente influenza tolteca.
L’esistenza di una cinta muraria riflette una situazione di conflitto conseguente al rafforzamento di altri centri urbani che contendevano a Uxmal il controllo della regione.
Il sito è rimasto sepolto sotto una fitta vegetazione fino alla sua riscoperta nel 19° secolo.
La prima descrizione dettagliata delle rovine si deve a Jean Frederic Waldeck nel 1938. John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood compirono due approfondite spedizioni nei primi anni ’40, documentando le loro scoperte con dettagliate ricostruzioni iconografiche.
Alcuni degli edifici più importanti del sito sono la Piramide dell’Indovino, il Quadrilatero delle Monache, il Palazzo del Governatore, la Casa delle Tartarughe, Campo del gioco della pelota e la Colombaia, tutti nomi attribuiti all’indomani della conquista spagnola.
Il sito è stato proclamato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
La Piramide dell’Indovino (Piramide del Adivino) è decisamente la struttura più interessante e maestosa di tutto il sito, probabilmente anche la più antica.
Dal punto di vista geometrico, si tratta di un insolito tempio piramidale a base ellittica alto circa 35 metri, frutto di cinque diverse fasi di edificazione.
L’intera struttura è orientata verso ovest, in modo tale che la scalinata principale risulti allineata al tramonto del Sole nel solstizio d’estate.
Si ritiene che il primo livello del tempio sia stato edificato intorno al 569 d.C. e che l’ultimo piano, la cosiddetta Casa dell’Indovino, sia stato completato nel X secolo.
Una ripida scalinata a tre rampe, appartenente all’ultima fase di edificazione, conduce all’ingresso del tempio, situato al 4° livello di edificazione, rappresentato da una riproduzione della maschera di Chaac, il dio della pioggia.
Nella struttura inferiore della piramide venne scoperta la cosiddetta Regina di Uxmal, una scultura che raffigura il volto tatuato di un sacerdote che emerge dalla bocca di un serpente.
Il nome della struttura deriva dalle leggende che circondano il sito e che ancora si tramandano tra i discendenti dei Maya.
Secondo il resoconto più noto, il dio Itzamnà, governatore degli dèi, dio del sole, del mais, della scrittura e delle arti, eresse la piramide da solo in una sola notte, grazie alla sua forza e alla sua magia.
Secondo la mitologia Maya, Itzamnà è il più antico della prima generazione degli dèi del pantheon maya. Non è chiara l’etimologia del suo nome, forse riferibile ad una grossa lucertola o caimano (itzam).
Un’altra versione della leggenda narra di un misterioso individuo “non nato da donna”, un nano nato da un uovo (come i rettili, probabile associazione a Itzamnà) covato da una vecchia donna senza figli.
Cresciuto, la creatura fu condannata a morte per la paura che suscitava. La vecchia chiese la grazia per il figlio covato e il sovrano di Uxmal promise che gli avrebbe risparmiato la vita solo se il nano avesse costruito una piramide enorme, la più alta della città, in una sola notte.
Il nano riuscì nell’impresa e fu salutato come il nuovo sovrano di Uxmal, dedicandogli la struttura.
Fonte: ilnavigatorecurioso.it
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