lunedì 1 settembre 2014
Il fennec, la piccola volpe del deserto
Il fennec, chiamato anche volpe del deserto, appartiene alla famiglia dei canidi.
Vive nei deserti del Nord Africa, è un animale notturno e durante il giorno si ripara dal caldo in tane sotterranee.
Questo piccolo mammifero non passa di certo inosservato: ha due grosse orecchie appuntite, lunghe fino a 15 cm, che lo aiutano a disperdere il calore, così da poter sopravvivere anche nell'ostile ambiente desertico.
Sono proprio le orecchie ha dargli un'aria simpatica e curiosa
.
Il fennec è un animale sociale e vive in piccoli branchi di circa una decina di individui.
Per quanto riguarda l'alimentazione, questi animaletti mangiano di tutto: si possono nutrire di piante, insetti e piccoli mammiferi; inoltre, come tutti gli animali desertici, possono resistere a lungo senza bere! Il loro manto è molto particolare, e così come le buffe orecchie, serve a proteggerli dalle temperature del deserto. Si tratta di una pelliccia folta e setosa, dal colore particolare: tale caratteristica li ha resi preda ambita da parte delle popolazioni locali, che risultano essere la principale causa di morte del fennec.
Un'altra particolarità del fennec, ancora una volta correlata all'habitat, è il fatto che anche i piedi siano coperti da una fitta pelliccia: questo consente loro di muoversi agilmente sulla sabbia rovente senza ustionarsi.
Il fennec dal punto di vista caratteriale è un animale estremamente curioso e intelligente.
Non appena si sente osservato o minacciato, fugge in modo incredibilmente rapido, tanto che viene soprannominato anche "folletto del deserto."
Per quanto riguarda la riproduzione, non si tratta di un animale particolarmente prolifico. Le femmine, infatti, partoriscono solo dai tre ai cinque cuccioli una volta all'anno.
Isole Eolie. Stromboli, tra storia, miti e leggende
L‘arcipelago delle Eolie, composto da sette isole vulcaniche disposte a semicerchio, si sviluppa per una lunghezza complessiva di 75 km nella porzione meridionale del Mar Tirreno, di fronte alle coste siciliane.
Secondo la mitologia classica, le Isole Eolie erano la dimora di Eolo, dio dei venti, che li teneva racchiusi in una grotta.
La leggenda vuole che Eolo riuscisse a prevedere le variazioni del tempo, osservando la nube di vapori che fuoriusciva da un vulcano attivo, probabilmente lo Stromboli.
L’isola di Stromboli, con una superficie di 12 kmq, conta tre centri abitati: San Bartolo e San Vincenzo (villaggio Stromboli) sulla costa orientale, e il piccolo centro abitato di Ginostra, situato a sud-ovest e raggiungibile prevalentemente dal mare.
Chiamata dai dai Greci “Strongyle” (rotonda), si contraddistingue per il suo vulcano, lo Stromboli, che è uno dei più attivi d’Europa ed è chiamato dagli stromboliani “Struognoli” , ma quando è più attivo e spaventa, può capitare di sentirlo chiamare “Iddu”, “lui”, come se riaffiorasse la memoria della natura divina che un tempo era riconosciuta ai fenomeni naturali incontrollabili.
Lo Stromboli alle cui pendici è stato girato nel 1949 “Stromboli terra di Dio” del grande Roberto Rossellini, uno dei più grandi capolavori del neorealismo italiano, ha la forma di un cono con fianchi simmetrici.
E’ un vulcano-strato, la cui vetta più alta (Vancori) raggiunge i 924 metri di quota; tuttavia quello che noi possiamo vedere è solo la parte emersa di un imponente edificio vulcanico, la cui base si trova a circa 2000 metri di profondità.
Viene definito ancora oggi il “Faro del Mediterraneo” appellativo che la dice lunga sulla tipologia eruttiva che, pur non essendo particolarmente violenta, presenza una sequenza continua che dura da alcuni millenni, consentendo all’isola l’ingresso nella top ten dei vulcani più eruttivi del mondo.
Il faro naturale praticamente è sempre acceso, fornendo un punto di riferimento ben preciso ai naviganti, che lo cercano dalle plance dei bastimenti nelle notti buie.
Il cono dello Stromboli è uno dei sette apparati che svettano fuori dall’acqua, nel Tirreno meridionale, seppure è d’obbligo annoverare alcuni “fratelli” vulcanici dell’arco eoliano, come il Palinuro e il possente Marsili che, pur dominando le profondità marine, non sono riusciti ad emergere.
L’attività ordinaria dello Stromboli, osservata fin dall’epoca romana, consiste in esplosioni stromboliane persistenti, che si susseguono con una frequenza eruttiva oraria che può variare significativamente anche nello stesso giorno, con una media di 5-10 esplosioni l’ora, in cui vengono emessi ceneri, lapilli e bombe .
I prodotti più grossolani possono raggiungere i 200 metri d’altezza e, ricadendo verso il basso, possono accumularsi sulla sommità e sui fianchi del vulcano, contribuendo alla sua graduale crescita. Durante l’attività ordinaria, si possono occasionalmente verificare emissioni di modeste colate laviche che restano confinate dentro la terrazza o, al massimo, fuoriescono per alcune decine di metri sull’orlo nord-occidentale del vulcano, riversandosi nella Sciara del Fuoco.
L’attività ordinaria può essere interrotta da eruzioni prevalentemente effusive, che producono colate laviche dalla sommità o dai fianchi del vulcano.
Le lave, ossia i prodotti dell’attività effusiva, sono più resistenti all’azione del mare e riescono a proteggere meglio i versanti vulcanici dall’offesa erosiva.
I vulcani costituiti da prodotti più incoerenti dell’attività esplosiva (ceneri, lapilli e bombe) invece, sono maggiormente soggetti all’azione dirompente del mare.
Tante le leggende circa le origini di Stromboli.
Si narra che abbia avuto origine da un calcio con cui Elia di Enna, il monaco ritiratosi sul monte Aulinas, a Palmi (comune in provincia di Reggio Calabria sospeso tra la Costa Viola, l’Aspromonte e le Isole del vento e del fuoco al largo del Mediterraneo), avrebbe allontanato le tentazioni personificate, buttandole giù dal monte che oggi porta il suo nome, vedendole trasformare nelle celebri Pietre Nere della Costa Viola.
Il Diavolo avrebbe reagito a questo rifiuto, rigurgitando fuoco nel mare e così sarebbe nata l’isola vulcanica di Stromboli.
Secondo un’altra leggenda, invece, il diavolo stesso sarebbe stato cacciato via da Elia, scagliato con forza verso un sole accecante e dopo questo volo il demonio sarebbe giunto sull’isola di Stromboli e, ingurgitato nelle viscere della roccia, avrebbe da quel momento generato fiamme.
Da allora Stromboli è l’isola costantemente “accesa” dell’arcipelago delle Eolie.
Dunque, il destino dell’isola, secondo la leggenda, è rimesso nel deciso gesto di Elia, acclamato secoli dopo Santo per aver allontanato chi insinuava dubbi sull’esistenza di Dio.
A testimonianza di questo episodio, la pietra del monte Sant’Elia di Palmi, su cui vi sarebbe ancora traccia delle ginocchia, delle zampe e della coda di Belzebù, sorpreso alle spalle dall’asceta Elia prima di essere scalciato via, ed un alone di bruciatura, rimasto intatto per ricordare la dipartita di Belzebù dalla Calabria ed il suo arrivo violento nelle viscere di Stromboli.
Monte Roraima: il leggendario tepuis che ispirò Doyle nel suo “The lost world”
Madre Natura ci regala luoghi talmente spettacolari da andare ben oltre la nostra immaginazione…luoghi che sembrano usciti da film di animazione, pieni zeppi di effetti speciali.
Uno di questi è il monte Roraima che, lungi dall’essere un sorprendente effetto in 3D, è un luogo magnifico che si staglia nella nebbia, al confine tra Brasile, Guyana e Venezuela, in un angolo sud orientale del Parco Nazionale di Canaima, un’area protetta ai piedi del monte, istituita tramite un decreto del 1989 emanato dal presidente Sarney.
Il suo territorio è interamente compreso nella Terra Indigena Raposa-Serra do Sol, abitata da diverse tribù di Indios, per cui, oltre agli splendidi scorci paesaggistici da ammirare, è possibile documentarsi sullo stile di vita e sulle tradizioni di queste affascinanti popolazioni.
Siamo nella terra delle savane tropicali, delle foreste pluviali, dei fiumi e delle cascate e Roraima, uno dei posti più suggestivi del Sud America, è il più noto tepuis della zona.
Il tepui è una montagna a cima piatta, che nella lingua dei Pemon, gli indigeni che abitano la Grande Sabana, significa “casa degli Dei”. Generalmente si tratta di montagne isolate e non collegate in catene montuose, composte da blocchi di arenaria e quarzite del periodo Precambriano.
E’ da qui, a 2810 metri di altitudine, che nascono i fiumi dell’intera regione e chiunque si avventura in queste terre rimane pervaso da uno spirito unico, quasi mistico.
L’origine del nome deriva dalla parola “roro-imã”, che nella lingua Pemon significa “monte verde”, essendo avvolto, alla base, da una fitta vegetazione tropicale, mentre man mano che si sale verso la vetta, il territorio si fa più aspro e vi si trovano molti tipi di piante rare, fra cui specie carnivore come le pinguicole e le sarracenie.
I più fortunati possono anche riuscire ad avvistare le famose rane nere che, a differenza delle loro cugine, non saltano.
Il fascino di questo monte, è racchiuso nelle sue nuvole avvolgenti e nella potenza delle sue acque che si insinuano in ogni pietra, in ogni fessura, sgorgando in un unico flusso continuo.
Per gli Indios del posto, sono le “lacrime di Dio”.
Secondo una leggenda, infatti, nell’antichità il monte Roraima non era così alto, ma si trattava di un’enorme pianura con grandi distese di acqua, ricoperta da una rigogliosa foresta, ricca di flora e fauna… un paradiso terrestre.
Un giorno qui nacque un banano ricco di frutti di rara bellezza e Paaba, Dio in persona, proibì agli abitanti di mangiarli e di toccare l’albero sacro.
Gli abitanti della regione un giorno si accorsero che l’albero era stato spezzato e che un casco di banane era stato rubato.
La natura, in pochi istanti, si ribellò e, mentre la popolazione fuggiva spaventata, anche gli uccelli, volando, emisero un triste canto.
Mentre la pioggia si abbattè a dirotto sulla regione, al centro si innalzò lo spettacolare monte Roraima, avvolto da una cintura di nuvole.
Il monte Roraima, scoperto solo nel 1884 da una spedizione britannica guidata da Everard Ferdinand Im Thurn, resta ancora da esplorare, dato che flora, fauna e geologia rimangono in gran parte sconosciute.
La storia di queste incursioni ha ispirato Sir Arthur Conan Doyle a scrivere il suo romanzo The lost world (Il mondo perduto) , nel 1912
Fonte : meteoweb.
L'oca Geraldina e il cane Rex, quando una strana amicizia salva la vita
Lui, uno tutto d'un pezzo. Arcigno, duro, scontroso e pronto a mostrare i denti ad ogni occasione. Un passato burrascoso, che ha visto Rex attaccare chiunque si trovasse a tiro, umani e animali.
Lei, docile e socievole.
Un incontro fortuito quello tra il pastore tedesco Rex e l'oca Geraldina, ma che ha segnato le vite di entrambi, rendendole inseparabili.
Se ancora si crede che i cani siano aggressivi gratuitamente o per natura, basta guardare queste immagini per cambiare idea.
I due non fanno un passo senza l'altro, condividono tutto, dalla ciotola alla coperta senza mai litigare ma scambiandosi coccole senza fine.
Una storia che sembra incredibile e che ha per testimoni i lavoratori del Puriton Horse and Animal Rescue, nel Regno Unito.
Prima di conoscere Geraldina, Rex era vicino al “braccio della morte”.
Raccolto da un cantiere, dov'era stato abbandonato legato ad una catena, il pastore tedesco è stato portato al ricovero dove ha trascorso gli ultimi 8 anni.
Forse a causa dei pesanti abusi per mano degli esseri umani subiti da cucciolo, il pastore tedesco aveva perso la capacità di fidarsi degli altri e aveva assunto un atteggiamento aggressivo nei confronti di chiunque si avvicinasse a lui. Nessuno escluso: da chi doveva portargli il cibo a chi invece era di passaggio. E la possibilità di sopprimerlo sembrava ormai vicina.
Geraldine invece è arrivata da poco al Puriton, tre mesi fa, dopo essere stata portata dalla famiglia che non poteva più occuparsi di lei.
Inizialmente ha trascorso del tempo con l'anatra Donald e altri suoi simili, ma poi ha incontrato Rex.
E anche lui da allora è cambiato sensibilmente tanto da scongiurare qualsiasi ipotesi di soppressione.
“È così comico vederli mentre si coccolano”, ha detto Sheila Brislin, che gestisce il Puriton Horse, raccontando che non appena Rex si appresta a fare due passi, Guendalina lo segue, e viceversa. “Sono molto affettuosi e lui sta sempre a leccarle la testa e a baciarla.
Stanno stretti stretti e dormono insieme ogni sera.
Normalmente ogni uccello che avesse attraversato il suo cammino sarebbe stato mangiato da Rex ma non Geraldine”.
Incontri che cambiano, anzi salvano letteralmente la vita.
Francesca Mancuso
Per riflettere un po'!
Un vecchio camminava per una strada con il suo cane.
Si godeva il paesaggio, quando ad un tratto si rese conto di essere morto. Si ricordò quando stava morendo e che il cane che gli camminava al fianco era morto da anni.
Si chiese dove li portava quella strada.
Dopo un poco giunsero a un alto muro bianco che costeggiava la strada e che sembrava di marmo.
In cima a una collina s'interrompeva in un alto arco che brillava alla luce del sole.
Quando vi fu davanti, vide che l'arco era chiuso da un cancello che sembrava di madreperla e che la strada che portava al cancello sembrava di oro puro.
Con il cane s'incamminò verso il cancello, dove a un lato c'era un uomo seduto a una scrivania.
Arrivato davanti a lui, gli chiese: - Scusi, dove siamo? - Questo è Il Paradiso, signore, "rispose l'uomo"
- Wow! E non si potrebbe avere un po' d'acqua?
- Certo, signore. Entri pure, dentro ho dell'acqua ghiacciata! L'uomo fece un gesto e il cancello si aprì
- Non può entrare anche il mio amico? "disse il viaggiatore indicando il suo cane".
- Mi spiace, signore, ma gli animali non li accettiamo.
- L'uomo pensò un istante, poi fece dietro front e tornò in strada con il suo cane.
Dopo un'altra lunga camminata, giunse in cima a un'altra collina in una strada sporca che portava all'ingresso di una fattoria, un cancello che sembrava non essere mai stato chiuso.
Non c'erano recinzioni di sorta.
Avvicinandosi all'ingresso, vide un uomo che leggeva un libro seduto contro un albero.
- Mi scusi, "chiese" non avrebbe un po' d'acqua?
- Sì, certo. Laggiù c'è una pompa, entri pure!
- E il mio amico qui? "disse lui, indicando il cane".
- Vicino alla pompa dovrebbe esserci una ciotola.
Attraversarono l'ingresso ed effettivamente poco più in là; c'era un'antiquata pompa a mano, con a fianco una ciotola. Il viaggiatore riempì la ciotola e diede una lunga sorsata, poi la offrì al cane. Continuarono così finché non furono sazi, poi tornarono dall'uomo seduto all'albero.
- Come si chiama questo posto? "chiese il viaggiatore".
- Questo è il Paradiso! - Beh, non è chiaro. Laggiù in fondo alla strada uno mi ha detto che era quello, il Paradiso!
- Ah, vuol dire quel posto con la strada d'oro e la cancellata di madreperla? No, quello è l'Inferno.
- E non vi secca che usino il vostro nome?
- No, ci fa comodo che selezionino quelli che per convenienza lasciano perdere i loro migliori amici.
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