mercoledì 17 aprile 2013
Djara Cave Egitto
Una volta il Sahara era una savana rigogliosa, ricca di piante, vita, e tantissima acqua, un luogo nel deserto egiziano ricorda che un tempo non troppo lontano,piogge e falde acquifere più superficiali erano piuttosto copiose e costanti nel tempo, anche in pieno deserto.
Parliamo della Djara Cave, un luogo unico al mondo, un esempio di paleo carsismo, un ambiente ipogeo che si apre all'improvviso su di un altopiano calcareo a sud- est delle oasi di Bahariya e Farafra, non distante dal lunghissimo e magnifico cordone di dune longitudinali, chiamato Abu Muharrik.
Questo campo di dune, il cui nome è traducibile letteralmente come il “padre di tutte le dune”, si estende per quasi 600 km, da nord a sud, parallelo alla valle del Nilo, una lunghezza da record, luogo ideale per ammirare albe e tramonti.
Nella cornice magica del Sahara.
Il contesto sahariano di questa grotta,colpisce i viaggiatori, fino a pochi anni fa nessuno conosceva la Djara Cave.
A scoprirla fu l'esploratore tedesco Gerhard Rohlfs nel 1873,“Una cava di calcari, aperta sul terreno, la cui bellezza e dimensioni sono incomparabili stalattiti di 3-4 metri di lunghezza appesi al tetto, in drappeggi eleganti, più pure e più trasparenti di qualsiasi altre,queste stalattiti sono davvero misteriose.
Formate da gocce d'acqua fresca in un deserto che ne è completamente privo".
Da allora però la grotta non era stata più ritrovata, e nessuno sapeva della sua reale ubicazione. Furono alcune spedizioni di gruppi di tedeschi,ad individuare l'ingresso della Djara Cave nel 1989. La sua notorietà però rischia di “uccidere” la grotta. Trovandosi incustodita nel cuore del deserto occidentale, è soggetta ad atti di vandalismo, come la rottura delle stalattiti, prelevate come souvenir, che alla lunga ne potrebbero minare la sua bellezza. Sarebbe auspicabile quindi che questo luogo straordinario venisse protetto, ed inserito nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO. e soprattutto venisse visitato da gente con un minimo di giudizio, consapevole che le concrezioni non potranno ricrearsi in un ambiente desertico, e se danneggiate o perse per sempre.
Si scendono circa 7-8 metri fino ad arrivare sul fondo della Sala Centrale, dove una grande stalattite affonda in modo deciso sul pavimento sabbioso.
In alto, man mano i vostri occhi si abituano all'oscurità, vi accorgete che il soffitto è trapuntato da piccole stalattiti, ma che tutta la sala è uno spettacolo di speleotemi, con colonne, cortine e pilastri: una vera cattedrale naturale.
Parliamo della Djara Cave, un luogo unico al mondo, un esempio di paleo carsismo, un ambiente ipogeo che si apre all'improvviso su di un altopiano calcareo a sud- est delle oasi di Bahariya e Farafra, non distante dal lunghissimo e magnifico cordone di dune longitudinali, chiamato Abu Muharrik.
Questo campo di dune, il cui nome è traducibile letteralmente come il “padre di tutte le dune”, si estende per quasi 600 km, da nord a sud, parallelo alla valle del Nilo, una lunghezza da record, luogo ideale per ammirare albe e tramonti.
Nella cornice magica del Sahara.
Il contesto sahariano di questa grotta,colpisce i viaggiatori, fino a pochi anni fa nessuno conosceva la Djara Cave.
A scoprirla fu l'esploratore tedesco Gerhard Rohlfs nel 1873,“Una cava di calcari, aperta sul terreno, la cui bellezza e dimensioni sono incomparabili stalattiti di 3-4 metri di lunghezza appesi al tetto, in drappeggi eleganti, più pure e più trasparenti di qualsiasi altre,queste stalattiti sono davvero misteriose.
Formate da gocce d'acqua fresca in un deserto che ne è completamente privo".
Da allora però la grotta non era stata più ritrovata, e nessuno sapeva della sua reale ubicazione. Furono alcune spedizioni di gruppi di tedeschi,ad individuare l'ingresso della Djara Cave nel 1989. La sua notorietà però rischia di “uccidere” la grotta. Trovandosi incustodita nel cuore del deserto occidentale, è soggetta ad atti di vandalismo, come la rottura delle stalattiti, prelevate come souvenir, che alla lunga ne potrebbero minare la sua bellezza. Sarebbe auspicabile quindi che questo luogo straordinario venisse protetto, ed inserito nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO. e soprattutto venisse visitato da gente con un minimo di giudizio, consapevole che le concrezioni non potranno ricrearsi in un ambiente desertico, e se danneggiate o perse per sempre.
Si scendono circa 7-8 metri fino ad arrivare sul fondo della Sala Centrale, dove una grande stalattite affonda in modo deciso sul pavimento sabbioso.
In alto, man mano i vostri occhi si abituano all'oscurità, vi accorgete che il soffitto è trapuntato da piccole stalattiti, ma che tutta la sala è uno spettacolo di speleotemi, con colonne, cortine e pilastri: una vera cattedrale naturale.
Trovati i resti della sorella di Cleopatra?
Una archeologa viennese che insegna in North Carolina sostiene di aver individuato le ossa della sorella (o sorellastra), di Cleopatra, che fu assassinata.
Ma non tutti ne sono convinti; infatti le prove che collegano le ossa, scoperte in una antica città greca, alla sorella di Cleopatra, Arsinoe IV, sono in gran parte circostanziali. Hilke Thur, archeologa dell’Accademia Austriaca delle Scienze ed ex direttrice degli scavi nel sito presso il quale le ossa sono state trovate, ha spiegato che è stato tentato anche un test del DNA; tuttavia le ossa, antiche di 2000 anni, erano state spostate e maneggiate troppe volte per ottenere risultati affidabili:
“non abbiamo ottenuto i risultati sperati”,
ha spiegato la studiosa.
Arsinoe IV era sorella o sorellastra di Cleopatra, più giovane di lei; il padre di entrambe era Tolomeo XII Aulete, mentre non è chiaro se avessero anche la stessa madre. La politica familiare tolemaica era rigida: quando Tolomeo XII morì, Cleopatra e suo fratello Tolomeo XIII diventarono sovrani insieme, ma Tolomeo estromise presto Cleopatra. Giulio Cesare si schierò dalla parte di Cleopatra nella lotta per il potere, mentre Arsinoe si unì all’esercito egiziano che si opponeva a Cesare e all’esercito romano. Alla fine Roma vinse, e Arsinoe fu fatta prigioniera; le fu permesso vivere in esilio a Efeso, antica città greca nell’odierna Turchia. Tuttavia, Cleopatra considerava la sorella come una minaccia, e la fece uccidere nel 41 a.C. Nel 1904 gli archeologi iniziarono a scavare a Efeso le rovine di una struttura che, per la sua forma, era nota come l’Ottagono. Nel 1926 vi fu scoperta una camera sepolcrale che conteneva le ossa di una giovane donna. La Thur sostiene che la datazione della tomba (seconda metà del I secolo a.C.) e la sua prestigiosa posizione all’interno della città indicano che appartenesse a Arsinoe IV; l’archeologa ritiene anche che la forma ottagonale richiamasse quella del grande faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo antico; la tomba sarebbe quindi stata un omaggio ad Alessandria, città natale di Arsinoe e capitale dell’antico Egitto.
Il teschio della principessa scomparve in Germania durante la seconda guerra mondiale, ma la Thur ne trovò alcuni resti all’interno di due nicchie della camera sepolcrale nel 1985. La scoperta hanno provocato molti dibattiti: l’analisi forense ha rivelato che appartenevano a una ragazza di 15 o 16 anni, e questo renderebbe Arsinoe sorprendentemente giovane per qualcuno che avrebbe dovuto svolgere un ruolo importante di comando in una guerra contro Roma. La Thur respinge queste critiche: “Questa discussione accademica è normale. È una forma di gelosia”. Nel 2009, un documentario della BBC, “Cleopatra: Ritratto di un assassino”, affermò che le ossa erano di Arsinoe. Al tempo, la controversia si incentrava sul cranio perduto. Negli archivi storici sono presenti le misurazioni e le fotografie del teschio incompleto, che furono utilizzati per ricostruire il volto della donna morta. Da questa ricostruzione, la Thur e i suoi colleghi sono arrivati alla conclusione che Arsinoe avesse una madre africana (mentre i Tolomei erano di etnia greca). Questa scoperta ha portato alla conclusione che anche Cleopatra fosse africana. Ma i classicisti affermano che queste conclusioni sono traballanti: “Abbiamo dedotto l’etnia di Arsinoe basandoci su un cranio ricostruito in base a misurazioni prese negli anni 20?” ha scritto David Meadows, un classicista e insegnante canadese, sul suo blog rogueclassicism. Inoltre, Cleopatra e Arsinoe potrebbero non aver avuto la stessa madre: “In questo caso, l’argomento etnico deve essere scartato”, ha scritto nel 2009 sulla rivista Times Literary Supplement Mary Beard, docente di materie classiche a Cambridge. Senza ulteriori esami, l’identificazione delle ossa rimane incerta: “Uno dei colleghi che ha collaborato con me al progetto mi ha detto due anni fa che non esiste attualmente nessun altro metodo per capirne di più”, ha detto la Thur. “Ritiene però che nuove metodologie possano essere sviluppate in futuro, quindi c’è speranza”.
Fonte : ArcheoStoria
Ma non tutti ne sono convinti; infatti le prove che collegano le ossa, scoperte in una antica città greca, alla sorella di Cleopatra, Arsinoe IV, sono in gran parte circostanziali. Hilke Thur, archeologa dell’Accademia Austriaca delle Scienze ed ex direttrice degli scavi nel sito presso il quale le ossa sono state trovate, ha spiegato che è stato tentato anche un test del DNA; tuttavia le ossa, antiche di 2000 anni, erano state spostate e maneggiate troppe volte per ottenere risultati affidabili:
“non abbiamo ottenuto i risultati sperati”,
ha spiegato la studiosa.
Arsinoe IV era sorella o sorellastra di Cleopatra, più giovane di lei; il padre di entrambe era Tolomeo XII Aulete, mentre non è chiaro se avessero anche la stessa madre. La politica familiare tolemaica era rigida: quando Tolomeo XII morì, Cleopatra e suo fratello Tolomeo XIII diventarono sovrani insieme, ma Tolomeo estromise presto Cleopatra. Giulio Cesare si schierò dalla parte di Cleopatra nella lotta per il potere, mentre Arsinoe si unì all’esercito egiziano che si opponeva a Cesare e all’esercito romano. Alla fine Roma vinse, e Arsinoe fu fatta prigioniera; le fu permesso vivere in esilio a Efeso, antica città greca nell’odierna Turchia. Tuttavia, Cleopatra considerava la sorella come una minaccia, e la fece uccidere nel 41 a.C. Nel 1904 gli archeologi iniziarono a scavare a Efeso le rovine di una struttura che, per la sua forma, era nota come l’Ottagono. Nel 1926 vi fu scoperta una camera sepolcrale che conteneva le ossa di una giovane donna. La Thur sostiene che la datazione della tomba (seconda metà del I secolo a.C.) e la sua prestigiosa posizione all’interno della città indicano che appartenesse a Arsinoe IV; l’archeologa ritiene anche che la forma ottagonale richiamasse quella del grande faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo antico; la tomba sarebbe quindi stata un omaggio ad Alessandria, città natale di Arsinoe e capitale dell’antico Egitto.
Il teschio della principessa scomparve in Germania durante la seconda guerra mondiale, ma la Thur ne trovò alcuni resti all’interno di due nicchie della camera sepolcrale nel 1985. La scoperta hanno provocato molti dibattiti: l’analisi forense ha rivelato che appartenevano a una ragazza di 15 o 16 anni, e questo renderebbe Arsinoe sorprendentemente giovane per qualcuno che avrebbe dovuto svolgere un ruolo importante di comando in una guerra contro Roma. La Thur respinge queste critiche: “Questa discussione accademica è normale. È una forma di gelosia”. Nel 2009, un documentario della BBC, “Cleopatra: Ritratto di un assassino”, affermò che le ossa erano di Arsinoe. Al tempo, la controversia si incentrava sul cranio perduto. Negli archivi storici sono presenti le misurazioni e le fotografie del teschio incompleto, che furono utilizzati per ricostruire il volto della donna morta. Da questa ricostruzione, la Thur e i suoi colleghi sono arrivati alla conclusione che Arsinoe avesse una madre africana (mentre i Tolomei erano di etnia greca). Questa scoperta ha portato alla conclusione che anche Cleopatra fosse africana. Ma i classicisti affermano che queste conclusioni sono traballanti: “Abbiamo dedotto l’etnia di Arsinoe basandoci su un cranio ricostruito in base a misurazioni prese negli anni 20?” ha scritto David Meadows, un classicista e insegnante canadese, sul suo blog rogueclassicism. Inoltre, Cleopatra e Arsinoe potrebbero non aver avuto la stessa madre: “In questo caso, l’argomento etnico deve essere scartato”, ha scritto nel 2009 sulla rivista Times Literary Supplement Mary Beard, docente di materie classiche a Cambridge. Senza ulteriori esami, l’identificazione delle ossa rimane incerta: “Uno dei colleghi che ha collaborato con me al progetto mi ha detto due anni fa che non esiste attualmente nessun altro metodo per capirne di più”, ha detto la Thur. “Ritiene però che nuove metodologie possano essere sviluppate in futuro, quindi c’è speranza”.
Fonte : ArcheoStoria
Risolto il mistero di come fanno i gufi a girare la testa di 270 gradi senza morire
Gufi, civette, allocchi ed altri rapaci notturni possono ruotare la testa di 270 gradi in entrambe le direzioni, ma questa loro caratteristica era rimasta fino ad ora uno dei misteri della natura, visto che una simile torsione della testa, impossibile in altri animali, dovrebbe provocare ictus o embolia, dato che una simile rotazione dovrebbe avere come risultato la rottura di vasi sanguigni e l’insorgenza di coaguli fatali.
Nessuno riusciva a capire come i gufi e gli altri rapaci notturni riuscissero a farcela con così tanta facilità, ma il mistero è stato rivelato grazie alla collaborazione tra illustratori medici ed esperti di imaging neurologico che hanno scoperto che è possibile grazie alla notevole struttura ossea dei gufi e ad una altrettanto eccezionale rete vascolare.
Il collo non dovrebbe essere in grado di subire spostamenti di 270 gradi, come hanno dimostrato molti studi sugli esseri umani e su altri animali. Test su persone che hanno sofferto per interventi chiropratici e del collo dimostrano che può essere estremamente dannosa e perfino fatale. Queste rotazioni estreme sono in grado letteralmente di tagliare il rifornimento del sangue e di danneggiare i fragili vasi sanguigni.
Ma un team multidisciplinare della Johns.Hopkins university oggi pubblica su Science una ricerca (Adaptions of the Owl’s Cervical & Cephalic Arteries in Relation to Extreme Neck Rotation) che illustra la scoperta nei gufi di alcuni adattamenti biologici che rendono possibile l’estrema torsione della testa, e tutti hanno a che fare con la struttura ossea e la rete vascolare che sostengono la testa del gufo.
Per condurre lo studio, i ricercatori hanno utilizzato l’angiografia e la Tac per le teste e il collo di gufi delle nevi, gufi comuni e di grandi gufi cornuti, tutti morti per cause naturali.
Per capire quel che succede nella testa dei gufi hanno iniettato un colorante rintracciabile con le scansioni dei vasi sanguigni. Poi, imitando il flusso del sangue, gli scienziati hanno potuto vedere che i vasi sanguigni alla base della testa (appena sotto la mascella) diventavano sempre più grandi e formavano “serbatoi” per il fluido. Non esiste un equivalente nell’anatomia umana, infatti, le arterie umane tendono a ridursi e certamente non si gonfiano come un palloncino.
I ricercatori suppongono che questi serbatoi di sangue espandibili siano quel che permette ai gufi di “salvare” il loro sangue ed esserne riforniti mentre girano la testa, un adattamento che permette loro rotazioni estreme, il tutto senza interrompere il loro approvvigionamento di energia. A sua volta, il sostegno dato dalla complessa rete vascolare minimizza l’interruzione del flusso sanguigno. Tra le variazioni anatomiche scoperte ci sono anche buchi nelle ossa delle vertebre, cavità vuote nel collo, dove una delle arterie principali nutre il cervello. Queste aperture sono di un diametro circa 10 volte maggiore dell’arteria vertebrale che le attraversa. Questo spazio nei forami trasversali (i fori che circondano le arterie vertebrali) fornisce ai gufi una serie di sacche d’aria ammortizzanti che permettono all’arteria di muoversi quando è stressata. E infatti, 12 delle 14 vertebre cervicali della civetta hanno questa caratteristica.
Gli scienziati hanno anche scoperto che l’arteria vertebrale del gufo entra nel collo più in alto rispetto ad altri uccelli. Di solito, si inserisce alla 12esima vertebra cervicale, ma per il gufo, è la 14esima, consentendo così un maggiore gioco della testa.
Un’altra funzionalità della quale noi esseri umani siamo privi sono le connessioni dei piccoli vasi tra le arterie carotidee e vertebrali, che permettono al sangue di essere scambiato tra i due vasi sanguigni. Questo permette al cervello di ricevere un flusso di sangue ininterrotto, anche nel caso che un percorso sia bloccato durante la rotazione estrema del collo. Ora i ricercatori pensano di estendere lo studio ai falchi per vedere se hanno caratteristiche simili.
Fonte:http://www.greenreport.it
Il cervo più piccolo del mondo
Il cervo foglia è il cervo più piccolo del mondo. Vive solitamente nelle foreste dense di vegetazione, ad un’altitudine di 1.500-2.000 metri e si nutre in genere di frutta. Questo piccolo animale venne scoperto per la prima volta nel 1997 dal biologo Alan Rabinowitz.
Un adulto può raggiungere i 50 cm di altezza e pesare poco meno di 11 kg. I maschi si distinguono dalle femmine per le loro corna ramificate che di solito non superano i 2,5 cm di altezza. Il loro manto è di colore marrone chiaro. A differenza degli altri loro simili, i cervi foglia vantano delle pronunciate zanne canine.
Eclissi di Luna
Il giorno 25 Aprile, (festa della Liberazione), sarà una data importante anche per molti astronomi o comunque appassionati del cielo, dal momento che si realizzerà un'eclissi parziale di luna, visibile in buona parte d'Europa, Africa quasi totalmente e in Australia occidentale e Asia centrale.
Il fenomeno avverrà in quanto la Luna entrerà nell’ombra della Terra alle 19:03 fino a quando ne uscirà, alle 23:11.
Il nostro satellite si andrà a posizionare proprio nel fascio di ombra generato dalla posizione della terra, come si può evincere dall'immagine riportata sotto, dunque creando una situazione di linea retta fra i tre corpi (sole, terra, luna).
Soltanto una piccola parte della Luna sarà quindi coperta dal cono d’ombra del nostro pianeta, che interesserà la parte settentrionale dell’emisfero del nostro "piccolo" satellite.
Il momento di massimo oscuramento sarà alle 21.07, quando si avrà la maggiore grandezza dell’ombra dell’eclissi.
La prossima eclissi di Luna accadrà il mese prossimo, precisamente il 25 maggio, e si tratterà di un’eclissi di penombra, fenomeno astronomico che avviene quando la Luna si trova nella zona di penombra del cono proiettato dalla Terra.
Un’area dove la luce del Sole è solo parzialmente occultata dal pianeta.
Pendolo di Foucault
Si tratta di un esperimento, effettuato nella metà dell’ottocento dal fisico francese Jean Foucault, che fornì una prova della rotazione terrestre.
L’esperimento consisteva in un pendolo, costituito da una sfera di ottone di di 28 Kg e un sottile filo metallico lungo 67 m, appeso alla cupola del Pantheon di Parigi e libero di oscillare in qualsiasi direzione.
Alla sfera era applicato un’asticella appuntita che sfiorava il terreno cosparso di sabbia, in modo da lasciarvi una traccia. Contrariamente a quanto si pensava, il pendolo non produceva sempre lo stesso solco nella sabbia, ma, con il passare del tempo lasciava tracce a raggiera. Poiché il piano di oscillazione del pendolo non varia nel tempo, si deduceva che era il pavimento, e quindi il nostro pianeta, a ruotare in senso antiorario! La rotazione non è costante, ma dipende dalla latitudine; ad esempio a Parigi occorrono 32 ore per avere una rotazione di 360°, mentre ai poli la rotazione completa avviene in un giorno sidereo esatto (in senso orario al polo Nord e antiorario al polo Sud).
Fonte sartre.ilcannocchiale.it
L’esperimento consisteva in un pendolo, costituito da una sfera di ottone di di 28 Kg e un sottile filo metallico lungo 67 m, appeso alla cupola del Pantheon di Parigi e libero di oscillare in qualsiasi direzione.
Alla sfera era applicato un’asticella appuntita che sfiorava il terreno cosparso di sabbia, in modo da lasciarvi una traccia. Contrariamente a quanto si pensava, il pendolo non produceva sempre lo stesso solco nella sabbia, ma, con il passare del tempo lasciava tracce a raggiera. Poiché il piano di oscillazione del pendolo non varia nel tempo, si deduceva che era il pavimento, e quindi il nostro pianeta, a ruotare in senso antiorario! La rotazione non è costante, ma dipende dalla latitudine; ad esempio a Parigi occorrono 32 ore per avere una rotazione di 360°, mentre ai poli la rotazione completa avviene in un giorno sidereo esatto (in senso orario al polo Nord e antiorario al polo Sud).
Fonte sartre.ilcannocchiale.it
La spiaggia rosa di Butelli
La Spiaggia Rosa, un mito intramontabile.
Esaltata per lo straordinario effetto cromatico da Michelangelo Antonioni nel film "Deserto Rosso" primo film a colori del maestro di Ferrara (1964), oggi, grazie alle norme di salvaguardia del Parco è completamente tutelata.
Presidiata dalle guide del Parco la si può ammirare come un'opera d'arte, come un autentico capolavoro della natura, senza però calpestarne l'arenile e senza fare il bagno. A distanza di dieci anni dal provvedimento di tutela integrale e dalle norme di salvaguardia, che, evitano gli ancoraggi nella prateria di Posidonia che alimenta la spiaggia di scheletri di briozoi e foraminiferi di colore rosa, la spiaggia più famosa del mondo ha ripreso la sua colorazione naturale, quella che stregò M. Antonioni e Monica Vitti nel lontano '64 quando, a frequentare quest'angolo di paradiso erano solo i maddalenini e i pochi turisti del Club Mediterranèe che organizzavano i bivacchi a Budelli per i vacanzieri in cerca di emozioni.
La Spiaggia Rosa di Budelli prende la denominazione dalla presenza di un elevata percentuale di bioclasti (derivanti per la maggior parte dalla frammentazione dello scheletro di briozoi, in particolare Miriapora truncata, e foraminiferi, in particolare Miniacina miniacea, di colore rosa) nella composizione sedimentaria delle sabbie. Questi bioclasti hanno origine soprattutto nella prateria a Posidonia oceanica e vanno ad alimentare, dopo il loro disfacimento, la spiaggia grazie alle correnti di deriva litorale e alle correnti di fondo.
La concentrazione di bioclasti nella Spiaggia Rosa di Budelli è dovuta ad una eccezionale concomitanza di motivi: morfologia dei fondali e della costa, presenza di una estesa prateria di Posidonia oceanica, andamento delle correnti a bassa energia che nel periodo estivo operano una separazione densimetrica dei materiali mineroclastici e bioclastici, favorendo la concentrazione di questi ultimi. L'attuale arretramento del limite superiore della prateria è causato dai numerosi ancoraggi, dall'agitazione irregolare delle acque, ad opera delle imbarcazioni, e dalla balneazione; questi fattori hanno profondamente modificato la composizione delle sabbie di spiaggia con la riduzione della percentuale dei bioclasti e la quasi scomparsa del caratteristico colore rosa.
Per evitare il saccheggio di sabbia rosa da parte dei bagnanti che rientravano a casa con bottiglie e secchielli stracolmi di sabbia rosa e, soprattutto, per impedire la scomparsa del caratteristico colore rosa dovuto alla riduzione della percentuale di bioclasti anche ad opera degli ancoraggi selvaggi nelle praterie di Posidonia antistanti la spiaggia (Cala Roto), il primo provvedimento effettuato dal Comitato di Gestione alla data del suo insediamento (Giugno 1998) è stata appunto quella di tutelare integralmente la Spiaggia Rosa chiudendola alla balneazione, al transito e all'ancoraggio delle imbarcazioni per ripristinare gli assetti naturali e per recuperare gli aspetti estetico - paesaggistici che ormai hanno assunto un valore di risonanza internazionale.
Per il mio cuore
Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino in cielo
ciò che stava sopito sulla tua anima.
E' in te l'illusione di ogni giorno.
Giungi come la rugiada sulle corolle.
Scavi l'orizzonte con la tua assenza.
Eternamente in fuga come l'onda.
Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.
Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima.
Pablo Neruda
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