mercoledì 19 marzo 2014
La laguna di Venezia si (ri)tinge di rosa
A Venezia l'inquinamento si riduce. E i fenicotteri rosa ritornano.
È l'idilliaca notizia che arriva oggi dalla laguna più famosa al mondo, già balzata agli onori delle cronache grazie al progetto Certosa Urban Park 2015.
La città sull'acqua ha il grande merito di aver ricostruito gli habitat e di aver ridotto ogni forma di contaminazione.
È per questo motivo che ora Venezia ritorna a essere anche quel magnifico agglomerato di isole minori e barene (aree spugnose che affiorano o scompaiono a seconda della marea) ripopolate di fenicotteri e altri uccelli migratori.
L'epico ritorno in rosa si deve ai lavori per la salvaguardia della città dall'acqua alta e dall'inquinamento fluviale che hanno perseguito l'obiettivo di garantire la tutela dell'ambiente paesistico, storico, archeologico e artistico della città di Venezia e della laguna, l'equilibrio idraulico, la difesa dall'inquinamento atmosferico e delle acque.
Lavori che hanno portato non solo alla ripopolazione in laguna e nel Mar Adriatico di molte specie di pesci, ma anche al ritorno degli uccelli con intere colonie proprio di fenicotteri rosa o dei più classici "tuffettini".
E non solo: lo sforzo ha raggiunto l'obiettivo di una più generale protezione e ricostruzione di habitat naturale come le "velme", che sono delle terre che emergono solo in occasione delle basse maree, importanti habitat per l'alimentazione di particolari specie di uccelli.
Si tratta del sistema Mo.S.E. che prevede anche la costruzione di barriere mobili alle bocche di porto per le acque alte eccezionali.
In questo modo si sta raggiungendo uno degli obiettivi del "Piano generale di interventi" realizzato dal Magistrato alle Acque di Venezia attraverso il Consorzio Venezia Nuova (concessionario unico dei lavori di difesa e salvaguardia) che è quello di dare vita nuova alla laguna.
Le barene sono terre quasi sempre emerse ma soggette spesso ad allagamenti. Hanno la capacità di frenare il moto ondoso e creare percorsi obbligati alle correnti d'acqua, direzionando la propagazione della marea in laguna e amplificando l'azione dei canali. Inoltre, hanno un effetto depurante sull'acqua grazie alla vegetazione alofila e assicurano la biodiversità dell'ecosistema e della fauna avicola.
Negli anni sono state ricostruite oltre 100 barene artificiali per un'estensione totale di circa 1.600 ettari, acquisendo le stesse funzioni ecologiche di quelle naturali.
Un vera e propria vittoria, insomma, se si considera che finora si sono osservate almeno una volta circa 120 specie di uccelli.
Un successo da premiare a pieni voti?
Certo, se non fosse adombrato dall'ultima decisione del Tar riguardo al passaggio delle navi da crociera in laguna. Il Tar sospende fino all'udienza prevista per il 12 giugno i limiti già fissati dalla Capitaneria di porto che imponevano una riduzione del 12,5% del traffico delle navi per l'anno 2014.
Tutto congelato e nessun limite alle grandi navi da crociera, che potranno – per ora – continuare a passare lungo il canale della Giudecca e soprattutto dinanzi a Piazza San Marco.
Germana Carillo
L'incredibile nascita della bibita FANTA
Scorrendo lungo le corsie di un supermercato ben fornito, è possibile trovare un concentrato di fantasia pronto da bere?
La risposta è tempestiva quanto la domanda: ovviamente sì, proprio accanto all’acqua dell’eterna gioventù, subito prima della bottiglia di felicità.
Fuor di metafora, esiste veramente una bibita che è strettamente connessa alla fantasia, non tanto perché bevendola si riesca a recuperarne un po’ nelle teste ormai aride degli adulti, ma a eterna memoria di quanta fantasia ci volle per crearla e per superare le difficoltà imposte dalla storia.
Ovviamente la bibita in questione è la Fanta
La storia della Fanta è veramente singolare, e merita di essere raccontata.
Germania.
All’alba della Seconda Guerra Mondiale il programma economico nazionalsocialista, aspirando all’autarchia, intende «realizzare l’autosufficienza economica della nazione, eliminando il ricorso alle importazioni dall’estero e favorendo perciò lo sviluppo del lavoro e della produzione nazionale interna».
Prima dello scoppio del conflitto, l’azienda statunitense The Coca-Cola Company sta avendo un successo internazionale assoluto: in Germania, anno dopo anno, viene migliorato il record di vendite e in Germania, nel 1939, la Coca-Cola ha 43 impianti di imbottigliamento e più di 600 distributori locali.
Con lo scoppio della guerra, la politica economica del regime da un lato e la difficoltà di reperire le materie prime per la produzione dall’altro, rendono sempre più difficile sostenere i ritmi di produzione degli anni precedenti. Allora, il responsabile delle operazioni della Coca-Cola in Germania, Max Keith, tenta di mantenere in vita l’impresa: senza alcun mezzo per ottenere gli ingredienti, per non perdere il mercato nazionale, decide di smettere di produrre Coca-Cola e inizia a commercializzare una nuova bibita, una bevanda di colore chiaro che assomiglia al ginger ale, usando solo ingredienti reperibili sul territorio.
Il primo compito da assolvere per Keith e compagni è dare un nome a questa nuova bibita.
In una riunione con i suoi collaboratori, Keith li esorta a utilizzare la loro immaginazione (Fantasie in tedesco): folgorato da questa frase, il responsabile delle vendite, Joe Knipp, immediatamente esclama: “Fanta!”.
È subito un successo.
Può sembrare strano, ma nel corso del tempo, la lista degli ingredienti che compongono la Fanta è mutata notevolmente. Come già accennato, non potendo importare materie prime, gli ingredienti costituenti la nuova bevanda dovevano essere requisiti in loco. All’inizio vennero utilizzati gli avanzi di altre industrie alimentari: siero di latte, sottoprodotti delle lavorazioni della frutta, sidro di mele; la bevanda è addolcita con saccarina: pochi anni dopo, nel 1941, viene permesso l’utilizzo della barbabietola da zucchero.
La fantasia richiesta per la scelta del nome è la stessa necessaria per bere la bevanda.
Infatti, dell’ammontare complessivo di bottiglie venduta, una buona parte era utilizzata dalle casalinghe tedesche per insaporire zuppe e stufati: lo zucchero, essendo razionalizzato in tempo di guerra, si andava a reperire dove si poteva.
In ogni caso, l’obbiettivo è raggiunto: Fanta vende bene, riesce a mantenere in funzionamento gli impianti e occupati i lavoratori degli ex- stabilimenti della Coca-Cola.
Gli ingredienti di cui è composta oggi la Fanta, suonano invece più familiari:
acqua, succo di arancia (12%), zucchero, anidride carbonica, acidificante acido citrico, aromi naturali, stabilizzante gomma d’acacia, antiossidante acido ascorbico
CURIOSITA'
- Fino alla fine della guerra, i dirigenti della Coca-Cola ad Atlanta non sapevano se Keith stesse lavorando ancora per l’azienda o per i nazisti, perché le comunicazioni con lui erano impossibili. Keith, contrariamente a quanto pensassero i suoi capi oltreoceano, ha salvaguardato gli interessi della Coca-Cola e gli operai in tutto quel periodo. Soprattutto grazie ai suoi sforzi, la Coca-Cola è stata subito in grado di ristabilire la produzione in Germania.
Secondo un rapporto preparato da un investigatore commissionata dalla Coca-Cola per esaminare le azioni di Max Keith durante quel periodo non supervisionato, Keith non era mai diventato un nazista, anche se era stato più volte messo sotto pressione per diventarlo, e a causa di tale rifiuto subì disagi e sabotaggi.
Alla fine del conflitto, Keith accolse con favore il ritorno della Coca-Cola alle sue attività in Germania e consegnò sia i profitti degli anni di guerra che il nuovo soft drink.
- La Fanta è uno dei cavalli di razza della scuderia della The Coca Cola Company: è diffusa in più di 100 paesi nel mondo e ne sono state create più di 90 varianti, molte delle quali disponibili solo in alcuni paesi.
In genere, in tutta l’Africa, l’Europa e l’America Latina, la Fanta è vendutissima e piace molto: soltanto negli USA non ha lo stesso successo.
Questa differenza ha origini storiche, di concorrenza (negli Usa c’è un ventaglio di possibile scelta di soft-drink che rende normale la frammentazione della domanda) e di marketing: negli Stati Uniti la commercializzazione fu ritardata rispetto all’Europa perché si temeva potesse intaccare le vendite della Coca-Cola.
A metà degli anni ’80 ne fu addirittura interrotta la produzione su scala nazionale, lasciandola in commercio soltanto nelle zone con una maggiore presenza di immigrati, abituati a berla nei Paesi d’origine.
Soltanto nel 2001 fu reintrodotta in tutti gli stati degli USA.
Festa papà: 'sindrome da Calimero' per 8 padri su 10, esclusi e ignorati
Molti papà italiani si sentono un po' come il 'brutto anatroccolo', vittime in otto casi su dieci di quella che gli esperti definiscono 'sindrome da Calimero': esclusi dal rapporto madre-figlio (26%) e talvolta persino ignorati (21%), molti hanno l'impressione di essere visti come dei veri e propri 'bancomat' (34%), e il 45% si lamenta del fatto che spesso vengono messe da parte le proprie esigenze, quando basterebbe una maggiore condivisione in famiglia per riscoprire la gioia che provava all'annuncio che sarebbero diventati padri (il momento piu' bello della vita per il 54%).
E' quanto emerge da uno studio del 'Found!' in occasione della Festa del papà, condotto su circa 600 uomini con figli in età adolescenziale.
Il tutto attraverso un monitoraggio sui principali social network, blog, forum e community dedicate, per capire quali sono i rapporti con la famiglia, con i figli, con le aspettative, le gioie e i dolori dell'essere padre.
Ebbene, per il 19 marzo stando alla ricerca i padri sognano di essere un po' coccolati e viziati (41%), e di ricevere un regalo che li faccia sentire veramente al centro dei pensieri dei propri familiari. Out regali seriali (64%) e oggetti utili (55%), meglio qualcosa legato a passioni e hobby, ma soprattutto da 'godere' insieme a tutta la famiglia (61%).
"Essere papà oggi e' difficile piu' che mai - commenta lo psichiatra Michele Cucchi, direttore sanitario del Centro medico Santagostino di Milano - soprattutto nel trovare il modo di conciliare il lavoro con la famiglia.
E' un'alchimia, e spesso ne risente il proprio equilibrio interiore. Per loro è possibile parlare di 'sindrome da Calimero' - sottolinea - Il papà vive fisiologicamente una genitorialità differente dalla mamma, non necessariamente vincolata alla quotidianità, ma non per questo meno intensa.
Forse per retaggio culturale il padre tiene una posizione più distaccata, magari trovandosi a dover supportare la moglie nel suo ruolo di mamma, più che confrontandosi direttamente con il suo vero ruolo".
"Troppo spesso - sottolinea - i papà lottano come in uno film muto, senza dare voce al proprio dissidio interiore, con la fatica di trovare un modo per gestire tutto e tutti.
La parità di ruoli potrebbe essere interpretata come la possibilità di schierarsi in prima linea, inserendosi nella routine dei bisogni e delle mansioni, libero di mostrarsi fragile, spaventato.
Genitori si diventa ad un certo punto, ma fare il papà e la mamma lo si impara con l'esperienza".
Quali sono, allora, le lamentele dei papà italiani? Il 26% si sente spesso escluso dal rapporto madre-figlio, né veramente coinvolto quando si tratta di prendere una decisione (21%).
Qualche problema anche in relazione al 'ruolo', che per 31% spesso non gli viene riconosciuto.
Una situazione che non sembra essere migliorata con il trascorrere degli anni, tanto che il 33% ammette di avere non pochi problemi di rapporti con i figli, cosa che accade soprattutto con i maschi (43%), con i quali sembra esserci veramente poco dialogo o complicità.
I papà odiano essere tenuti a distanza (37%) o essere presi in considerazione solo in determinati momenti, ad esempio quando servono soldi, tanto che il 34% dice di sentirsi poco piu’ che un bancomat.
E come se non bastasse, molti si lamentano di essere giudicati distratti, assenti o troppo presi dalle loro cose (26%). Ecco allora che il 41% vorrebbe essere coccolato e viziato almeno nel giorno della Festa del papà, con un regalo, ma anche con attenzioni speciali e personalizzate.
Fonte : http://www.focus.it/
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