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venerdì 11 aprile 2014

La storia della ‘Saint Helena’, l’ultima nave al mondo per un viaggio ai confini del mare…


La nave RMS Saint Helena ha qualcosa di speciale: insieme alla Queen Mary, è l’ultima nave della Marina Britannica ad effettuare il trasporto sia di passeggeri, di posta e merci dalla Gran Bretagna fino alla remota isola di Sant’Elena. 
RMS, infatti, vuol dire ‘Royal Mail Ship’, ovvero nave della corona inglese per il trasporto della posta. 
L’acronimo è stato adottato nel 1840, ed è lo stesso che aveva anche il famoso e sfortunato Titanic.
 Il transatlantico può quindi ospitare passeggeri poiché dotato di 132 cabine, ma anche merci, e nonostante la popolazione di Sant’Elena sia di soli 4.000 abitanti, le spedizioni non mancano.
La traversata più interessante è nel periodo di Natale quando a bordo si festeggia la natività di Gesù con piatti tipici della tradizione anglosassone e dell’isola di Sant’Elena.

 La nave salpa due volte l’anno da Portland, Dorset (UK), fa sosta a Tenerife, all’isola di Ascensione, e infine raggiunge Sant’Elena. Talvolta la RMS St Helena fa tappa anche in Namibia e a Cape Town. 
 La durata del viaggio è compresa tra i 14 e i 30 giorni in base al numero di fermate, e il costo è di circa 2.400 sterline inglesi a persona. 
Nel 2007 la nave ha festeggiato la sua 100 esima traversata. 

Questa nave è tutt’ora l’unico modo per raggiungere l’isola di Sant’Elena, piccolo fazzoletto di terra reso celebre per aver ospitato l’esule Napoleone Bonaparte tra il 1815 e il 1821.


Il governo inglese ha annunciato la creazione di un aeroporto sull’isola che dovrebbe essere completato nel 2016, ma per il momento la RMS Saint Helena continua la sua attività come ha fatto dal 1989. Anche nell’era della globalizzazione, esistono piccoli paradisi incontaminati, e l’isola di Sant’Elena è uno di questi paradisi terrestri.


Sant’Elena è un’isola di origine vulcanica, situata nell’Oceano Atlantico centro meridionale, a circa 1.900 km dalla costa dell’Angola.
 Fa parte di un territorio britannico d’oltremare e deve questo nome a Sant’Elena di Costantinopoli. 

Venne scoperta dai portoghesi nel 1502.
 A quel tempo l’isola era disabitata, e per quasi un secolo la posizione dell’isola venne mantenuta segreta, cosicché i primi residenti furono tutti di origine portoghese. 
Certamente, con il passare del tempo, qualcuno parlò di questo posto con una flora ed una fauna unica, fino ad arrivare all’orecchio degli Inglesi.


Il primo inglese di cui si sa con certezza che sia arrivato a Sant’Elena resta Thomas Cavendish nel 1588, che vi sostò 12 giorni durante il suo primo tentativo di circumnavigare il mondo.
 L’isola fu spesso utilizzata come base d’approdo dei navigatori e dei mercanti europei nelle loro rotte africane, quindi passarono da lì sia portoghesi, che spagnoli, ma anche olandesi e inglesi. 
L’Olanda reclamò formalmente il possesso di Sant’Elena nel 1633, anche se non vi è prova che mai sia stata da loro occupata, colonizzata o fortificata.
 Dopo essere stata per breve tempo scalo della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, nel 1659 l’isola fu occupata dalla Compagnia Inglese delle Indie Orientali, che vi inviò alcuni abitanti bianchi, con gli schiavi.
 E quindi, furono gli Inglesi ad impossessarsene utilizzandola come luogo di esilio.

 L’isola si estende per 16 km di lunghezza e 12 km di larghezza massima.
 La cima più alta è il Diana’s Peak, alto 824 m, da cui scendono ripide verso il mare, strette e profonde vallate.


L’isola di Sant’Elena è un punto caldo posto sulla linea che divide la placca africana dalla placca americana. 
Lungo questa linea il magma arriva in superficie e spinge le due placche che si allontanano. 
Tutt’oggi Sant’Elena costituisce un territorio d’oltremare britannico, da cui dipendono anche le isole di Ascensione, Tristan da Cunha e Gough. 
Non esistendo un porto vero e proprio i passeggeri sono trasbordati da barche che li portano fino a terra, mentre le navi restano all’ancora.

l mare di notte popolato da creature mai viste. Le foto realizzate da Joshua Lambus.


I Viaggi alla scoperta delle meravigliose creature che popolano gli abissi del mare si rivelano essere i più amati e preferiti da tutti. 
E se si prova ad unire tecnologia e i misteri delle creature che popolano le profondità marine, vengono fuori degli spettacoli oltre natura.
 È proprio questa l’obiettivo raggiunto con delle foto realizzate al largo delle coste di Kailua-Kona, nelle Hawaii, durante la notte, con l’ausilio di uno strumento fotografico a raggi X.

 Le immagini hanno dato vita a degli esemplari mitologici: di calamari rari, meduse, gamberetti e altri esemplari marini davvero fantastici ma allo stesso tempo reali. La brillante idea di realizzare questi scatti davvero sensazionali è venuta al fotografo Joshua Lambus.
 Grazie all’assenza di luce solare è stato molto più facile riuscire a creare quest’effetto pseudo naturale. 
Il ragazzo venticinquenne ha sempre nutrito una passione per gli animali in generale e facendo delle escursioni sottomarine per portare i turisti a vedere i delfini, le balene e le tartarughe ha deciso di realizzare il suo sogno di immortalare le creature marine sotto una luce diversa dal solito. 
Il fotografo venticinquenne è diventato una celebrità riuscendo a fotografare per la prima volta un raro esemplare di polipo raro, Termoctopus, che precedentemente era stato registrato su un video una sola volta. 
“Fotografare e realizzare queste immagini mi permette di mostrare al pubblico le meraviglie che popolano le profondità marine – ha commentato il giovane fotografo. Le normali macchine fotografiche non riescono a catturare al buio delle immagini cosi perfette e brillanti, cosi realizzando un flash particolare che illumina le creature in una fazione di secondo, sono state realizzate delle immagini perfettamente naturale su uno sfondo degli abissi.
 I colori riprodotti, nonostante possano sembrare surreali, non sono altro che il naturale riflesso della pigmentazione delle creature marine.
"Quando mi immergo vengo letteralmente inondato da storie di lotte e trionfi." - spiega Lambus - così, guardando da vicino questo fragile ecosistema, facile preda della distruzione, ho sentito il bisogno di raccontarlo, non tanto per la valenza artistica, quanto per il bisogno di difenderlo"























Nepal i raccoglitori di miele

In Nepal,i discendenti dei cacciatori-guerrieri dell'Himalaya praticano ancora la raccolta del miele delle api selvatiche lungo le alte pareti rocciose dove si trovano gli alveari.
L'Apis Laboriosa è la più grande ape mielifera del mondo e vive soltanto nei propri alveari,costruiti negli incavi delle pareti rocciose,ad altezze vertiginose.
Il miele ,raccolto due volte all'anno (primavera ed autunno),ha un alto valore di mercato ed è utilizzato per la produzione di numerosi farmaci e come alimento giornaliero,da mangiare con il pane.



Viene acceso un fuoco per far salire il fumo in alto e allontanare le api dai loro favi.
L'aria si riempie di insetti inferociti che volano ovunque mentre gli uomini si proteggono con teloni,o si coprono la testa con sacchi di plastica e sciarpe.
In alto sul dirupo due uomini calano una scala di bambù intrecciato.
Cento metri sotto altri due cacciatori si sospendono sulla scala e si dirigono verso il primo alveare



Il cacciatore di miele, all'altezza dell'alveare,con una lama legata all'estremità di una canna, ritaglia delle fette di favo che si staccano e cadono dentro ad un cesto sospeso per aria,legato ad una fune. Per quattro ore il cacciatore,sospeso per aria,si sposta da un alveare all'altro maneggiando le canne di bambù per ritagliare i favi e recuperare cosi il miele dorato.
Le api nel frattempo a poco a poco,stremate,cadono al suolo che si copre di insetti incapaci di volare. 



Qui il tempo non esiste.
Questo balletto aereo fra l'uomo e le api giganti dell'Himalaya esiste da 30.000 anni,cioè da quando i primi cacciatori di miele affrontavano i terribili sciami alla ricerca del prezioso nettare.
Oggi la deforestazione del paese sta portando alla scomparsa lenta ma inesorabile di queste api.
Essendo il principale impollinatore della regione, l'alterarsi dell'eco-sistema potrebbe causare conseguenze devastanti per la popolazione del Nepal.

Fonte http://www.thehoneygatherers.com/html/phototheque14.html

Stradivari i violini dal suono magico

"Un violino muore se non lo si fa vibrare tutti i giorni"



Questa affermazione è del conservatore del Museo Stradivariano di Cremona e custode della collezione che raccoglie alcuni tra i migliori strumenti dell'antica arte liutaia, il famoso Andrea Mosconi. Da oltre trent'anni il professore cura una delle collezioni più importanti al mondo di strumenti musicali decisamente leggendari tra i quali anche il "Cremonese 1715"ed il"Clisbee" entrambi creati da Antonio Stradivari rispettivamente nel 1715 e nel 1669 oltre ad altri violini dei maestri liutai Giuseppe Guarneri del Gesù e Nicolò Amati.

Il professor Andrea Mosconi,conservatore del museo di Cremona. 

Ogni mattina il professor Mosconi,sempre alla stessa ora,controlla lo stato di salute di questi eccezionali strumenti musicali,suonandoli uno ad uno con infinita maestria,prima che il museo apra le sue porte,lasciando entrare centinaia di turisti e musicisti venuti dal mondo intero per ammirare questi pezzi unici.



"Il Cremonese" di Stradivari

Stradivari è un nome che evoca immediatamente l'eccellenza.
Da quasi trecento anni la leggenda alimenta la gioia dei collezionisti e le speculazioni dei mercanti d'arte.
Alcuni dei violini del maestro di Cremona raggiungono "svariati milioni di euro" secondo Andrea Mosconi,"specialmente quando risalgono all'epoca d'oro d'Antonio Stradivari,tra il 1700 e il 1720." Spesso il loro valore reale è tenuto segreto per via delle assicurazioni.
Da secoli si indaga sul motivo per cui gli strumenti di Stradivari producano un suono tanto armonioso.
Svariate le teorie e le ricerche sul legno, la vernice e le colle.
Secondo alcuni scienziati americani Stradivari avrebbe beneficiato di una "piccola era glaciale" che investì l'Europa continentale tra il 1645 ed il 1715.
A causa di questo fattore esterno,gli abeti rossi (Picea abies),di cui si serviva Stradivari per i suoi violini,avrebbero prodotto un legno di qualità inedita dalle sonorità straordinarie.
Per Andrea Mosconi solo il genio di Stradivari spiega l'eccezionale qualità di suono dei suoi strumenti. "Non esistono chiavi scientifiche.
Sarebbe come spiegare il talento di Rembrandt per i suoi pennelli o il genio di Michelangelo con la qualità del marmo!" 



Il primo violino con la firma esclusiva di Antonio Stradivari 

Stradivari ha creato tra i 700 e gli 800 strumenti musicali di cui solo 400 sono tutt'ora esistenti.

Per gli Stradivari si sa che la "f" di destra (l'apertura sui lati frontali del violino) è sempre più alta della "f" di sinistra perchè il maestro italiano aveva un problema di vista.



Come per tutte le leggende le notizie su Stradivari sono incerte.
Si pensa sia nato nel 1644 a Cremona dove vive e lavora fino alla sua morte nel 1737.
Oltre ai violini egli creò anche arpe (ad oggi ne esiste una sola),chitarre,viole,violoncelli,liuti,viole da gamba di varie taglie ed altro.
Quando morì venne sepolto nella basilica S.Domenico nella tomba di famiglia che era all'interno della cappella del rosario.
Nel 1868,la basilica venne venduta dal comune ad un privato per 42.000 lire ed è stata abbattuta dal nuovo proprietario per fare spazio a più moderne costruzioni.
Insieme alla chiesa andarono distrutte anche le tombe che essa conteneva.
Nell'area in cui sorgeva la basilica vi sono oggi i giardini pubblici di piazza Roma.
Una lastra tombale è ciò che rimane del passaggio terreno di Antonio Stradivari, oltre ai suoi straordinari strumenti
In Russia finirono molti esemplari posseduti da nobili francesi in fuga da Parigi in seguito alla rivoluzione francese.
Lenin emise un editto di confisca per tutti gli Stradivari presenti sul suolo russo che divennero di proprietà dello stato.
Il violino chiamato "Lady Blunt"del 1721, appartenuto alla nipote del celebre poeta inglese Lord Byron e di proprietà della Nippon Music Foundation di Tokyo è stato venduto ad un anonimo privato per la cifra record di 9.808.000 sterline (15.894.000 dollari) nel giugno del 2011 a Londra.
Il 100% del profitto della vendita è stato destinato al fondo per aiutare il Giappone attraverso il Northeastern Japan Earthquake and Tsunami Relief Fund della Nippon Foundation.
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