lunedì 10 giugno 2013
TOTEM - Alberi Parlanti
Situati su spiagge deserte o nelle radure delle foreste della loro terra d'origine, i totem della Columbia Britannica (provincia canadese sulla costa del Pacifico; hanno un aspetto magico e misterioso;
sono forse le opere d'arte primitiva piú sensazionali che si conoscano.
Anche nei musei di New York, Londra e Parigi, dove richiamano l'attenzione piú di qualsiasi altro oggetto di esotica provenienza, i visitatori ne guardano a bocca aperta le facce grottesche e le mitiche figure: la Donna Cannibale il Grande Corvo,l'Uccello del Tuono, scolpiti da antichi maestri
con strani nomi quali
Haésemhliyawn o Oyai.
Il totem della dinastia dell'Uccello del Tuono, nello Stanley Park di Vancouver. Scolpito nel 1936 da Matthias Capilano, capo della tribú Squamish dei Salish, narra la storia della creazione ad opera dell'Uccello del Tuono.
Oggi, soprattutto per merito di un artista del secolo scorso, Mungo Martin, i pali totemici hanno ripreso a fiorire lungo la costa del Pacifico.
Collezioni di antichi totem classici richiamano migliaia di turisti a Vancouver, Victoria e Prince Rupert, e recentemente ne sono sorti di nuovi anche in altri paesi. I totem sono in realtà alberi genealogici.
Poiché il rango sociale aveva grande importanza agli occhi di popolazioni quali gli Haida, i Tsimshian e i Kwakiutl, i capi tribú usavano le raffigurazioni del Lupo, dell'Aquila, dell'Orso e dell'Orca per sfoggiare i loro legami di parentela con la mitologia degli indiani. Allora, come oggi, il genio degli scultori piú dotati si riconosceva nella stilizzazione realistica. Nelle loro mani, semplici tronchi di cedro si trasformano in figurazioni simboliche tratte dalla vita e dalla leggenda. «Quando venivano unite le une alle altre» scrisse una volta la pittrice Emily Carr, parlando dell'opera di un ignoto scultore Kwakiutl «costituivano la storia di un gruppo umano.»
I totem avevano soprattutto la funzione di ricordo. Cominciando dalla sommità, dominata di solito da un corvo o un'aquila, un indiano poteva scoprire tutti gli ascendenti e le gesta del proprietario del palo.
Poi, identificando altri personaggi mitici scolpiti nel legno, poteva rievocare spaventosi racconti su Tsonoqua, la selvaggia donna dei boschi..., Tseakami, il grande cedro divenuto uomo..., Yehl il corvo, che scoprì l'uomo in una conchiglia.
Particolare di un totem Tsimshian nel Thunderbird Park Copia di un totem rinvenuto lungo il corso superiore del fiume SkeenaVictoria Columbia Britannica
Eppure questi “alberi parlanti” restano stranamente silenziosi sulle loro origini. Sebbene i totem siano simili a sculture presenti nel Pacifico meridionale e molto diversi dalle opere d'arte di altre tribù nordamericane, gli etnologi sono quasi concordi nel pensare che i primi 'indiani' del Nord-Ovest giunsero dall'Asia attraverso lo stretto di Bering circa 10.000 anni fa.
Insediatisi su una costa resa prospera dalle immense ricchezze che offrivano la foresta e il mare, quegli indiani diedero origine a una cultura quanto mai raffinata. Intorno al 3000 a.C, i cosiddetti “mangiatori di salmone” vivevano in case comunitarie costruite con assi di cedro ed erano diventati abilissimi nella lavorazione del legno.
L'età d'oro per gli scultori di totem fu il XIX secolo, quando gli indiani sostituirono gli strumenti di pietra e di osso con utensili di ferro provenienti dall'Europa.
Alti anche 25 metri, i totem piú belli raggiungevano un così elevato contenuto simbolico da meritare il nome di “parabole di legno”. Oltre a commemorare figure leggendarie, i totem servivano talvolta a dileggiare persone viventi.
Nella Columbia Britannica settentrionale una donna eresse un palo per irridere l'ex marito, di nome Denti Aguzzi, mentre un capo tribú dell'Alaska mise in ridicolo un pope russo che invano aveva cercato di convertirlo.
Quale che fosse il suo scopo, un bravo scultore poteva impiegare un anno intero nella lavorazione di un tronco di cedro, abbellendo la sua opera con colori ricavati da minerale di ferro, argilla azzurra, carbone di legna o conchiglie bruciate.
Il totem veniva infine eretto durante un potlatch (una festa con banchetti, danze e discorsi) e il suo proprietario doveva dar prova della sua ricchezza e posizione sociale distribuendo ricchi doni a tutti gli ospiti.
Quando le tribú indiane cominciarono a conoscere l'alcol e le malattie dei bianchi, il loro numero scese da 60.00o nel 1850 a 25.000 nel 1900. Nel 1862, il solo vaiolo causò la morte di 15.000 indiani della costa.
Intanto le loro antiche arti e tradizioni venivano condannate sia dalla chiesa che dallo stato. Prima i missionari cristiani, assimilando i totem alle immagini pagane, ne fecero distruggere molti. Poi, nel 1884, il governo di Ottawa proibì i potlatch - la vera ragione per cui si erigeva la quasi totalità dei pali totemici - sostenendo che l'ingente distribuzione di doni riduceva in miseria molti indiani.
Massiccio totem funerario conservato all' Università della Columbia Britannica.
Quando moriva una persona d'alto rango, la salma era posta dietro la trabeazione che recava l'immagine del totem legato al defunto, in questo caso lo squalo.
Da ultimo vennero i collezionisti. Antropologi e cacciatori di curiosità si misero a rastrellare la costa e centinaia di magnifici totem antichi furono rubati nei villaggi abbandonati o comprati a poco prezzo per andare ad arricchire collezioni private e gallerie pubbliche di tutto il mondo.
Intorno al 1900 ci fu chi pagò tre dollari al metro pali totemici Haida oggi valutati circa un milione di dollari.
Ma non tutti gli indiani erano disposti a separarsi dai loro tesori. «Io ti darò i totem dei miei prozii» dichiarò senza esitazioni un orgoglioso capo Tsimshian «quando tu mi cederai la pietra tombale del governatore Douglas.»
Ben presto rimase solo un nutrito gruppo di totem Gitksan in otto villaggi lungo il corso superiore del fiume Skeena.
Quando nel 1925 i totem furono posti sotto la protezione del governo federale, pochi indiani del luogo conoscevano ancora il significato di quegli strani simboli o ne sapevano scolpire di nuovi.
Nell'isola di Vancouver, invece, alcuni artigiani Kwakiutl mantennero in vita la loro arte. Uno era il capo tribú Mungo Martin, o Naka' penkim. Dedicatosi formalmente all'arte fin dalla fanciullezza, eresse il suo primo grande totem durante un potlatch tenuto illegalmente ad Alert Bay nel 1897. Per 50 anni costruí magnifiche facciate di case, maschere, scatole ornamentali e alcuni dei piú bei totem mai visti.
Ma anche se i visitatori arrivavano a pagare 300 dollari le sue 'miniature' di un metro e mezzo, Mungo Martin doveva guadagnarsi da vivere facendo il pescatore.
Nel 1947, a 68 anni, fu chiamato dall'Università della Columbia Britannica per sistemare nel campus la nuova collezione di totem Haida e Kwakiutl acquistati dall'ateneo. In seguito, assunto come primo scultore dal Museo provinciale della Columbia Britannica a Victoria, vi rimase dieci anni scolpendo totem, istruendo nuovi scultori
e restaurando le opere dei maestri del passato.
Wawadit'la, noto anche come Mungo Martin House, una "grande casa" Kwakwaka'wakw. Costruito da Mungo Martin nel 1953. Situato a Thunderbird Park a Victoria, British Columbia
Quando Martin venne inaspettatamente licenziato, l'editore del Times di Victoria, Stuart Keate, lo aiutò finanziariamente ordinandogli la costruzione del totem piú alto del mondo. Mentre Keate raccoglieva 8500 dollari da vari donatori, tra cui Winston Churchill e Bing Crosby, Martin passò sei mesi a scolpire un totem di circa 40 metri.
Collocandovi alla base l'immagine del Corvo (il proprio antenato), lo coronò con un'aquila dal grande becco che somigliava molto a Keate, dotato di un grosso naso aquilino. Martin continuò a scolpire fino alla sua morte, avvenuta nel 1962, a 83 anni. Frattanto aveva istruito due generazioni della propria famiglia (il genero Henry Hunt e il nipote Tony) oltre allo stilista Kwakiutl Doug Cranmer. «Noi tre abbiamo insegnato quest'arte a circa 300 scultori» dice Tony «perciò il 90 per cento dell'arte indiana contemporanea nella Columbia Britannica
si deve a Mungo Martin.»
Totem - Tlingit Native American Heritage Centre
Un altro grande patrono è Walter Koerner, un magnate d'origine cecoslovacca, che cominciò a collezionare sculture indiane nel 1941.
In seguito, Koerner inviò spedizioni per trarre in salvo totem che stavano marcendo in regioni desertiche, fece tornare in patria pregevoli opere custodite in gallerie straniere e ne commissionò di nuove a scultori di talento come Bob Davidson, pronipote di un maestro scultore Haida.
Davidson aveva solo 22 anni nel 1969, quando eresse un grande totem a Masset, nelle isole della Regina Carlotta, il primo collocato in quel luogo in 80 anni.
'Ksan - Hazelton - Columbia Britannica
Da allora, con altri artisti indigeni, Davidson insegnò nello storico villaggio indiano 'Ksan, a Hazelton, nella Columbia Britannica, un gruppo di sei edifici in legno di cedro, fronteggiati da totem, che ospitano la prima scuola di arte indiana nord-occidentale.
Qui uomini e donne Gitksan delle tribú Tsimshian costruiscono ancora opere che non hanno nulla da invidiare ai grandi totem scolpiti 200 anni fa dai loro antenati.
sono forse le opere d'arte primitiva piú sensazionali che si conoscano.
Anche nei musei di New York, Londra e Parigi, dove richiamano l'attenzione piú di qualsiasi altro oggetto di esotica provenienza, i visitatori ne guardano a bocca aperta le facce grottesche e le mitiche figure: la Donna Cannibale il Grande Corvo,l'Uccello del Tuono, scolpiti da antichi maestri
con strani nomi quali
Haésemhliyawn o Oyai.
Il totem della dinastia dell'Uccello del Tuono, nello Stanley Park di Vancouver. Scolpito nel 1936 da Matthias Capilano, capo della tribú Squamish dei Salish, narra la storia della creazione ad opera dell'Uccello del Tuono.
Oggi, soprattutto per merito di un artista del secolo scorso, Mungo Martin, i pali totemici hanno ripreso a fiorire lungo la costa del Pacifico.
Collezioni di antichi totem classici richiamano migliaia di turisti a Vancouver, Victoria e Prince Rupert, e recentemente ne sono sorti di nuovi anche in altri paesi. I totem sono in realtà alberi genealogici.
Poiché il rango sociale aveva grande importanza agli occhi di popolazioni quali gli Haida, i Tsimshian e i Kwakiutl, i capi tribú usavano le raffigurazioni del Lupo, dell'Aquila, dell'Orso e dell'Orca per sfoggiare i loro legami di parentela con la mitologia degli indiani. Allora, come oggi, il genio degli scultori piú dotati si riconosceva nella stilizzazione realistica. Nelle loro mani, semplici tronchi di cedro si trasformano in figurazioni simboliche tratte dalla vita e dalla leggenda. «Quando venivano unite le une alle altre» scrisse una volta la pittrice Emily Carr, parlando dell'opera di un ignoto scultore Kwakiutl «costituivano la storia di un gruppo umano.»
I totem avevano soprattutto la funzione di ricordo. Cominciando dalla sommità, dominata di solito da un corvo o un'aquila, un indiano poteva scoprire tutti gli ascendenti e le gesta del proprietario del palo.
Poi, identificando altri personaggi mitici scolpiti nel legno, poteva rievocare spaventosi racconti su Tsonoqua, la selvaggia donna dei boschi..., Tseakami, il grande cedro divenuto uomo..., Yehl il corvo, che scoprì l'uomo in una conchiglia.
Particolare di un totem Tsimshian nel Thunderbird Park Copia di un totem rinvenuto lungo il corso superiore del fiume SkeenaVictoria Columbia Britannica
Eppure questi “alberi parlanti” restano stranamente silenziosi sulle loro origini. Sebbene i totem siano simili a sculture presenti nel Pacifico meridionale e molto diversi dalle opere d'arte di altre tribù nordamericane, gli etnologi sono quasi concordi nel pensare che i primi 'indiani' del Nord-Ovest giunsero dall'Asia attraverso lo stretto di Bering circa 10.000 anni fa.
Insediatisi su una costa resa prospera dalle immense ricchezze che offrivano la foresta e il mare, quegli indiani diedero origine a una cultura quanto mai raffinata. Intorno al 3000 a.C, i cosiddetti “mangiatori di salmone” vivevano in case comunitarie costruite con assi di cedro ed erano diventati abilissimi nella lavorazione del legno.
L'età d'oro per gli scultori di totem fu il XIX secolo, quando gli indiani sostituirono gli strumenti di pietra e di osso con utensili di ferro provenienti dall'Europa.
Alti anche 25 metri, i totem piú belli raggiungevano un così elevato contenuto simbolico da meritare il nome di “parabole di legno”. Oltre a commemorare figure leggendarie, i totem servivano talvolta a dileggiare persone viventi.
Nella Columbia Britannica settentrionale una donna eresse un palo per irridere l'ex marito, di nome Denti Aguzzi, mentre un capo tribú dell'Alaska mise in ridicolo un pope russo che invano aveva cercato di convertirlo.
Quale che fosse il suo scopo, un bravo scultore poteva impiegare un anno intero nella lavorazione di un tronco di cedro, abbellendo la sua opera con colori ricavati da minerale di ferro, argilla azzurra, carbone di legna o conchiglie bruciate.
Il totem veniva infine eretto durante un potlatch (una festa con banchetti, danze e discorsi) e il suo proprietario doveva dar prova della sua ricchezza e posizione sociale distribuendo ricchi doni a tutti gli ospiti.
Quando le tribú indiane cominciarono a conoscere l'alcol e le malattie dei bianchi, il loro numero scese da 60.00o nel 1850 a 25.000 nel 1900. Nel 1862, il solo vaiolo causò la morte di 15.000 indiani della costa.
Intanto le loro antiche arti e tradizioni venivano condannate sia dalla chiesa che dallo stato. Prima i missionari cristiani, assimilando i totem alle immagini pagane, ne fecero distruggere molti. Poi, nel 1884, il governo di Ottawa proibì i potlatch - la vera ragione per cui si erigeva la quasi totalità dei pali totemici - sostenendo che l'ingente distribuzione di doni riduceva in miseria molti indiani.
Massiccio totem funerario conservato all' Università della Columbia Britannica.
Quando moriva una persona d'alto rango, la salma era posta dietro la trabeazione che recava l'immagine del totem legato al defunto, in questo caso lo squalo.
Da ultimo vennero i collezionisti. Antropologi e cacciatori di curiosità si misero a rastrellare la costa e centinaia di magnifici totem antichi furono rubati nei villaggi abbandonati o comprati a poco prezzo per andare ad arricchire collezioni private e gallerie pubbliche di tutto il mondo.
Intorno al 1900 ci fu chi pagò tre dollari al metro pali totemici Haida oggi valutati circa un milione di dollari.
Ma non tutti gli indiani erano disposti a separarsi dai loro tesori. «Io ti darò i totem dei miei prozii» dichiarò senza esitazioni un orgoglioso capo Tsimshian «quando tu mi cederai la pietra tombale del governatore Douglas.»
Ben presto rimase solo un nutrito gruppo di totem Gitksan in otto villaggi lungo il corso superiore del fiume Skeena.
Quando nel 1925 i totem furono posti sotto la protezione del governo federale, pochi indiani del luogo conoscevano ancora il significato di quegli strani simboli o ne sapevano scolpire di nuovi.
Nell'isola di Vancouver, invece, alcuni artigiani Kwakiutl mantennero in vita la loro arte. Uno era il capo tribú Mungo Martin, o Naka' penkim. Dedicatosi formalmente all'arte fin dalla fanciullezza, eresse il suo primo grande totem durante un potlatch tenuto illegalmente ad Alert Bay nel 1897. Per 50 anni costruí magnifiche facciate di case, maschere, scatole ornamentali e alcuni dei piú bei totem mai visti.
Ma anche se i visitatori arrivavano a pagare 300 dollari le sue 'miniature' di un metro e mezzo, Mungo Martin doveva guadagnarsi da vivere facendo il pescatore.
Nel 1947, a 68 anni, fu chiamato dall'Università della Columbia Britannica per sistemare nel campus la nuova collezione di totem Haida e Kwakiutl acquistati dall'ateneo. In seguito, assunto come primo scultore dal Museo provinciale della Columbia Britannica a Victoria, vi rimase dieci anni scolpendo totem, istruendo nuovi scultori
e restaurando le opere dei maestri del passato.
Wawadit'la, noto anche come Mungo Martin House, una "grande casa" Kwakwaka'wakw. Costruito da Mungo Martin nel 1953. Situato a Thunderbird Park a Victoria, British Columbia
Quando Martin venne inaspettatamente licenziato, l'editore del Times di Victoria, Stuart Keate, lo aiutò finanziariamente ordinandogli la costruzione del totem piú alto del mondo. Mentre Keate raccoglieva 8500 dollari da vari donatori, tra cui Winston Churchill e Bing Crosby, Martin passò sei mesi a scolpire un totem di circa 40 metri.
Collocandovi alla base l'immagine del Corvo (il proprio antenato), lo coronò con un'aquila dal grande becco che somigliava molto a Keate, dotato di un grosso naso aquilino. Martin continuò a scolpire fino alla sua morte, avvenuta nel 1962, a 83 anni. Frattanto aveva istruito due generazioni della propria famiglia (il genero Henry Hunt e il nipote Tony) oltre allo stilista Kwakiutl Doug Cranmer. «Noi tre abbiamo insegnato quest'arte a circa 300 scultori» dice Tony «perciò il 90 per cento dell'arte indiana contemporanea nella Columbia Britannica
si deve a Mungo Martin.»
Totem - Tlingit Native American Heritage Centre
Un altro grande patrono è Walter Koerner, un magnate d'origine cecoslovacca, che cominciò a collezionare sculture indiane nel 1941.
In seguito, Koerner inviò spedizioni per trarre in salvo totem che stavano marcendo in regioni desertiche, fece tornare in patria pregevoli opere custodite in gallerie straniere e ne commissionò di nuove a scultori di talento come Bob Davidson, pronipote di un maestro scultore Haida.
Davidson aveva solo 22 anni nel 1969, quando eresse un grande totem a Masset, nelle isole della Regina Carlotta, il primo collocato in quel luogo in 80 anni.
'Ksan - Hazelton - Columbia Britannica
Da allora, con altri artisti indigeni, Davidson insegnò nello storico villaggio indiano 'Ksan, a Hazelton, nella Columbia Britannica, un gruppo di sei edifici in legno di cedro, fronteggiati da totem, che ospitano la prima scuola di arte indiana nord-occidentale.
Qui uomini e donne Gitksan delle tribú Tsimshian costruiscono ancora opere che non hanno nulla da invidiare ai grandi totem scolpiti 200 anni fa dai loro antenati.
LA MISTERIOSA QUINTA DE GALEIRA
La Quinta da Regaleira – chiamata comunemente anche Palácio da Regaleira (dal nome dell’edificio principale), a sua volta detto anche Palácio do Monteiro dos Milhões (dal nome del proprietario; letteralmente: “Palazzo del/di Monteiro dei milioni”) – è una tenuta (in portoghese: quinta) di 4 ha. con palazzo, giardini e grotte, situata nel centro storico della città portoghese di Sintra (a nord-ovest di Lisbona) e costruita – nella veste attuale – tra il 1904 ed il 1910 su progetto dell’architetto italiano Luigi Manini (1848-1936) e su commissione di António Augusto Carvalho Monteiro (1848-1920), che aveva acquistato la proprietà nel 1892. La tenuta prende il nome dalla figlia di uno dei proprietari precedenti, divenuta in seguito baronessa di Regaleira. Il palazzo e i giardini della Quinta da Regaleira, oggi proprietà del comune di Sintra e sede della Fondazione Cultursintra (Fundação Cultursintra),
sono annoverati – come tutto il centro storico di Sintra – nel Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
Nella tenuta si trovano statue, laghetti, grotte, labirinti, tempietti, ecc., il tutto circondato da una vegetazione e da giardini esotici. Nella bizzarra e fantasiosa costruzione, si può osservare il connubio di vari stili architettonici: prevale il gotico-manuelino, ma vi sono anche tracce dello stile rinascimentale e di quello romanico. Numerosi – come e più che nel Palácio Nacional da Pena – sono i riferimenti all’esoterismo, alla massoneria, all’alchimia e alla mitologia classica, tutto frutto delle concezioni di Carvalho Monteiro
Tra i primi proprietari del terreno su cui ora sorgono il palazzo e i giardini, vi fu un certo José Leite che lo acquistò nel 1697 e quindi un certo Francisco Albertino Guimarães de Castro che lo ottenne nel 1715 (prendendo così il nome di “Quinta do Castro”, oltre che di “Quinta da Torre”) in un’asta pubblica e vi alimentò una fontana preesistente, facendo canalizzare l’acqua della Serra de Sintra.
In seguito passò dapprima in possesso di un certo Manuel Bernardo (nel 1830), quindi, nel 1840 di un ricco mercante di Oporto, soprannominato Allen e la cui figlia si sarebbe fregiata in seguito del titolo di baronessa di Regaleira (da cui il nome della tenuta)
Quest’ultimi vendettero poi la proprietà nel 1892 ad António Augusto Carvalho Monteiro, un imprenditore che aveva fatto le proprie fortune in Brasile soprattutto grazie alle piantagioni di caffè e per questo soprannominato “Monteiro dos Milhões” (“Monteiro dei milioni”). Fu così che la tenuta acquistò la forma attuale: Monteiro incaricò infatti l’architetto italiano Luigi Manini di costruirgli un palazzo circondato da giardini, ispirandosi al Palazzo di Buçaco (progettato dalla stesso Manini) e al Palácio Nacional da Pena. I lavori di costruzione iniziarono nel 1904 e terminarono nel 1910.
Nel 1942, la tenuta fu venduta a Waldemar d'Orey, che iniziò delle opere di restauro. Nel 1987, la proprietà fu acquisita da un’impresa giapponese, la Aoki Corporation, e la tenuta rimase chiusa al pubblico, dovendo servire come abitazione privata.
Nel 1997 la Quinta da Regaleira venne infine acquistata dal comune di Sintra ed è ora aperta al pubblico.
Ospita inoltre la Fondazione Cultursintra, che si occupa della salvaguardia e conservazione dei beni culturali.
I segreti della camera della regina
Alcuni dei risultati entusiasmanti ottenuti da una esplorazione robotica innovativa della Grande Piramide di Giza, in Egitto.
Un robot, costruito all’Università di Leeds nel Regno Unito, chiamato Djedi, ha esplorato un tunnel misterioso che si pensa possa portare ad una camera segreta nella piramide.
Djedi ha fornito immagini spettacolari di geroglifici che attualmente sono in fase di analisi da parte di egittologi.
Potrebbero essere antichi graffiti le immagini inviate dalla telecamera, che hanno rivelato geroglifici in vernice rossa e linee di pietra che possono essere segni lasciati da muratori quando la camera era in lavorazione o simboli di significato religioso.
Sono rimaste nascoste per 4500 anni. Tra i risultati ottenuti, Djedi ha anche contribuito a risolvere la controversia circa l’unico metallo conosciuto nella piramide, e ha mostrato una porta che potrebbe condurre ad un’altra camera nascosta.
Quale sia la funzione dei tunnel e della porte ancora non è noto, alcuni studiosi ritengono che, in questo caso condurebbero ad una camera segreta. Zahi Hawass, Ministro delle Antichità egiziane, descrive le porte come uno degli ultimi misteri rimasti da svellare delle piramidi. La telecamera è riuscita a vedere gli angoli nascosti e ha osservato per la prima volta il retro della porta che conduce alla camera segreta.
Dassault Systèmes, un partner tecnologico della robotica Leeds, ha prodotto un video interessante fly-through per aiutare le persone a comprendere esattamente dove è posizionato il tunnel nella piramide e dove si trovano i geroglifici. Il software 3D usato, 3DVIA, sfrutta l’esperienza dell’azienda nella costruzione di sistemi computerizzati di progettazione e simulatori 3D.
Fonte: Archeomatica
KOPJE - Rocce in equilibrio
La Provincia del Mashonaland è una delle 10 province dello Zimbabwe.
Una delle caratteristiche più impressionanti del paesaggio di tutto lo Zimbabwe è costituita dalle “rocce in equilibrio”.
Queste si formarono milioni di anni fa in seguito a movimenti avvenuti nelle profondità della Terra, che spinsero antiche rocce granitiche attraverso rocce fuse o soluzioni caldissime di acqua mineralizzata.
Nel granito si svilupparono crepe di raffreddamento, che in questo caso crearono linee di debolezza dove l’acqua piovana poté introdursi, attivando un processo di erosione che scavò la roccia in profondità.
L’erosione lungo queste fenditure e sul suolo soprastante diede vita a strati rocciosi che, scrostandosi, lasciarono blocchi resistenti più o meno tondeggianti noti come kopje, o “rocce in equilibrio”.
Disseminate in gran parte dello Zimbabwe centrale, queste rocce rivelano una straordinaria varietà di forme e dimensioni
e spesso sembrano sfidare la legge di gravità.
Si possono ammirare magnifici esempi nel Parco di Gosho, un progetto di educazione ambientale portato avanti dal collegio anglicano di Peterhouse presso Marondera.
Formazioni rocciose di questo genere si trovano anche al Parco Nazionale di Mutirikwi, vicino a Masvingo.
Le rocce in equilibrio di Epworth, vicino a Harare, appaiono sul retro delle banconote usate nello Zimbabwe.
Una VERGOGNA sopratutto italiana
TURISMO SESSUALE, ITALIANI AL 1° POSTO: “NEL SUD DEL MONDO A CACCIA DI BAMBINE E BAMBINI”
Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori che se le vanno a comprare nei bordelli, e poi le stuprano, e prima trattano il prezzo parlando quasi sempre lingue occidentali, e 80.000 volte all’anno in media la lingua è l’italiano.
Sono così leggere che a prenderle in braccio pesano poco più di un bebè.
Sono così truccate che sembrano bimbe a Carnevale.
Sono così sottili che, se non fossero coperte di stracci succinti e colorati, indosserebbero le taglie più piccole degli abitini per bimbi occidentali.
Le stuprano, tra gli altri, certi italiani che a casa sembrano gente qualunque, gente a posto.
Che mai e poi mai potreste riconoscerli dal modo di fare, dalla morfologia.
VIAGGI NEL SUD DEL MONDO
Figli, mariti, padri, lavoratori. E poi un aereo. E poi in vacanza al Sud del mondo. E poi diventano il demonio. Italiani, tra quelli che ”consumano” di più a Santo Domingo, in Colombia, in Brasile. Italiani, i primi pedofili del Kenya.
Attivissimi, nell’olocausto che travolge 15.000 creature, il 30 per cento di tutte le bambine che vivono tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani.
Piccole schiave del sesso per turisti.
In vendita a orario continuato, per mano, talvolta, dai loro genitori. In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5.
Minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento. E poi torni da mamma, dai figli, dalla moglie, in ufficio. E poi bentornato, e quello che è successo chi lo sa?
L’allarme è dell’Ecpat, l’organizzazione che in 70 Paesi del mondo lotta da sempre contro lo sfruttamento sessuale dei bambini: sono sempre di più, i vacanzieri che vanno a caccia di cuccioli umani nei Paesi dove, per non morire di fame, si accetta ogni tortura.
Sono un terzo dei tre milioni di turisti sessuali in tutto il mondo. Sempre più giovani, tra i 20 e i 40 anni. Sempre più depravati per scelta, e non per malattia. Solo il 5 per cento di loro, infatti, è un caso patologico.
Gli altri, informa l’Ecpat, lo fanno per provare un’emozione nuova, in modo occasionale (60%), oppure abituale (35%).
I MONDIALI DI CALCIO E il demonio si sta mobilitando in Brasile, per rifornire il mercato, sebbene i bimbi sfruttati siano già 50.000. L’impennata arriverà coi Mondiali di calcio del 2014. «La settimana prossima ci incontreremo a Varsavia -racconta Marco Scarpati, direttore di Ecpat Italia- per pianificare, assieme alle Polizie di tutto il mondo, qualcosa che impedisca una replica, in Brasile, di quanto avvenne in Ucraina nel 2010 e in Sudafrica nel 2012: il racket trasportò bambini da tutti i territori circostanti, per accontentare la richiesta.
Purtroppo tutto questo accade sempre, in occasione di eventi sportivi. E i controlli sono spesso labili, insufficienti, inefficaci». Ecco perché domenica, al grido Un altro viaggio è possibile, una marcia ciclistica lungo le strade di 29 città, organizzata dall’Ecpat e dalla Fiab, porterà in giro l’indignazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini. Pedalando, si segnalerà che questa è un’emergenza.
Che un milione e duecentomila bimbi sono sfruttati nel sesso, nell’accattonaggio, nei lavori forzati.
Stime ufficiali, queste.
Quelle ufficiose propongono ben altri conti: solo i piccoli schiavi del sesso sarebbero almeno due milioni.
Ognuno di loro frutterebbe 67.200 dollari all’anno.
Per il racket, il budget complessivo supererebbe i trenta milioni di dollari all’anno. E a chi non ha i soldi per il viaggio, basta girare l’angolo: tra i 10 e i 12.000 di quei bambini si trovano in Italia. Migranti. Nomadi. Minori non accompagnati.
In vendita a casa nostra.
fonti: leggo.it
Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori che se le vanno a comprare nei bordelli, e poi le stuprano, e prima trattano il prezzo parlando quasi sempre lingue occidentali, e 80.000 volte all’anno in media la lingua è l’italiano.
Sono così leggere che a prenderle in braccio pesano poco più di un bebè.
Sono così truccate che sembrano bimbe a Carnevale.
Sono così sottili che, se non fossero coperte di stracci succinti e colorati, indosserebbero le taglie più piccole degli abitini per bimbi occidentali.
Le stuprano, tra gli altri, certi italiani che a casa sembrano gente qualunque, gente a posto.
Che mai e poi mai potreste riconoscerli dal modo di fare, dalla morfologia.
VIAGGI NEL SUD DEL MONDO
Figli, mariti, padri, lavoratori. E poi un aereo. E poi in vacanza al Sud del mondo. E poi diventano il demonio. Italiani, tra quelli che ”consumano” di più a Santo Domingo, in Colombia, in Brasile. Italiani, i primi pedofili del Kenya.
Attivissimi, nell’olocausto che travolge 15.000 creature, il 30 per cento di tutte le bambine che vivono tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani.
Piccole schiave del sesso per turisti.
In vendita a orario continuato, per mano, talvolta, dai loro genitori. In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5.
Minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento. E poi torni da mamma, dai figli, dalla moglie, in ufficio. E poi bentornato, e quello che è successo chi lo sa?
L’allarme è dell’Ecpat, l’organizzazione che in 70 Paesi del mondo lotta da sempre contro lo sfruttamento sessuale dei bambini: sono sempre di più, i vacanzieri che vanno a caccia di cuccioli umani nei Paesi dove, per non morire di fame, si accetta ogni tortura.
Sono un terzo dei tre milioni di turisti sessuali in tutto il mondo. Sempre più giovani, tra i 20 e i 40 anni. Sempre più depravati per scelta, e non per malattia. Solo il 5 per cento di loro, infatti, è un caso patologico.
Gli altri, informa l’Ecpat, lo fanno per provare un’emozione nuova, in modo occasionale (60%), oppure abituale (35%).
I MONDIALI DI CALCIO E il demonio si sta mobilitando in Brasile, per rifornire il mercato, sebbene i bimbi sfruttati siano già 50.000. L’impennata arriverà coi Mondiali di calcio del 2014. «La settimana prossima ci incontreremo a Varsavia -racconta Marco Scarpati, direttore di Ecpat Italia- per pianificare, assieme alle Polizie di tutto il mondo, qualcosa che impedisca una replica, in Brasile, di quanto avvenne in Ucraina nel 2010 e in Sudafrica nel 2012: il racket trasportò bambini da tutti i territori circostanti, per accontentare la richiesta.
Purtroppo tutto questo accade sempre, in occasione di eventi sportivi. E i controlli sono spesso labili, insufficienti, inefficaci». Ecco perché domenica, al grido Un altro viaggio è possibile, una marcia ciclistica lungo le strade di 29 città, organizzata dall’Ecpat e dalla Fiab, porterà in giro l’indignazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini. Pedalando, si segnalerà che questa è un’emergenza.
Che un milione e duecentomila bimbi sono sfruttati nel sesso, nell’accattonaggio, nei lavori forzati.
Stime ufficiali, queste.
Quelle ufficiose propongono ben altri conti: solo i piccoli schiavi del sesso sarebbero almeno due milioni.
Ognuno di loro frutterebbe 67.200 dollari all’anno.
Per il racket, il budget complessivo supererebbe i trenta milioni di dollari all’anno. E a chi non ha i soldi per il viaggio, basta girare l’angolo: tra i 10 e i 12.000 di quei bambini si trovano in Italia. Migranti. Nomadi. Minori non accompagnati.
In vendita a casa nostra.
fonti: leggo.it
Attimi da vivere
Ci illudono che esista una perfezione intrinseca nelle cose, che esista un corpo perfetto, un amore perfetto, un compagno perfetto, un figlio perfetto, un sorriso perfetto, una gioia perfetta.
Distogliendoci così dal vedere che ciò che c’è di più perfetto al mondo sono le nostre diversità, i nostri gusti, il desiderio di migliorare, l’imperfezione. Sì, la perfezione reale è il nostro essere imperfetti e per questo assolutamente meravigliosi. Esseri da scoprire, eventi da creare, attimi da vivere.
Stephen Littleword
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