In pieno Oceano Atlantico si trova Tristan da Cunha, l’isola abitata più remota del mondo, tanto che l’unico modo per raggiungerla è quello di imbarcarsi a Città del Capo, affrontando un viaggio di ben 7 giorni.
L’isola si trova infatti a 2.432 chilometri da Città del Capo, a 2.172 chilometri dall’isola di Sant’Elena, il centro abitato più vicino, e a 3.451chilometri da Montevideo, capitale dell’Uruguay.
Tristan da Cunha, tipicamente vulcanica, di forma circolare e con una superficie di 78 km quadrati, ha una storia interessante, iniziata nel 1506 quando la flotta del navigatore portoghese Tristão da Cunha, imbarcatosi agli ordini di Alfonso de Albuquerque, primo Viceré delle Indie Portoghesi, durante il viaggio verso Oriente, venne colpita da una violenta tempesta presso il Capo di Buona Speranza.
La nave di Tristao approdò su una piccola isola disabitata, se si eccettuano foche, leoni marini, albatros e pinguini Rockhopper, dallo sguardo tigresco.
Il capitano portoghese ripartì appena terminato il fortunale, tuttavia non mancò di assegnare il suo nome alla terra su cui aveva posato i piedi.
Tristan, la maggiore di quattro isole che ne formano l’arcipelago (le altre tre sono Inaccessible, Nightingale e Gough), per la sua peculiare posizione geografica, ha sollecitato la curiosità di svariati cartografi, esploratori e avventurieri che, in epoche più o meno recenti, hanno scritto dei resoconti sulla storia e le particolarità del luogo.
L’opera più esaustiva è stata scritta da un italiano, precisamente da Arnaldo Faustini, che non resistette alla tentazione di riportare fatti più vicini alla leggenda che alla realtà, parlando di un certo Patten, sbarcato sull’isola nell’800.
Patten è un personaggio tratto dalle Avventure di Arthur Gordon Pym, di E. A. Poe per cui è molto probabile che non sia mai esistito.
Ma a parte queste sporadiche concessioni all’estro della letteratura, il lavoro di Faustini è stato estremamente accurato e scrupoloso ed è grazie a lui che ora sappiamo ciò che sappiamo sulla storia di Tristan da Cunha, un’isola battuta da venti feroci, spesso avvolta dalla nebbia, tanto che le poche navi che la raggiungono, quasi solo pescherecci sudafricani, attraccano alla fonda a volte per giorni, prima che una barca possa fare la spola dall’isola per scaricare posta, beni di prima necessità e rarissimi passeggeri.
A Tristan da Cunha qualcuno, in effetti, vive. Glass lo scozzese, Green l’olandese, i liguri Lavarello e Repetto, gli inglesi Swain e Patterson e gli americani Hagan e Rogers fondarono nel 1827 una piccola comunità di 280 persone.
Gli abitanti lavoravano duramente: coltivavano a mano patate, pescavano e allevavano montoni. La loro peculiarità, però, stava nella loro volontà di vivere a Tristan da Cunha e non altrove. Nessuno, infatti, era condannato a restare sull’isola.
Per difendere questa loro scelta lottarono con fermezza.
Nel 1961 un’eruzione devastò Tristan da Cunha e l’amministrazione dei territori britannici d’oltremare, di cui l’isola fa parte, decise di far evacuare tutta la popolazione.
Gli abitanti vennero portati in Inghilterra e le autorità cercarono di offrire loro una vita nuova.
Per due anni la piccola comunità si trovò catapultata nel XX secolo.
Scoprì l’automobile, la bicicletta, le ferrovie, la radio e tutte le ricchezze dell’industrializzazione.
Non solo, si dovette scontrare anche con le regole della vita collettiva: la polizia, le tasse, le ineguaglianze di reddito, di educazione, di patrimonio.
Fu difficile per gli isolani accettare questo stravolgimento.
Dal 1827 erano abituati a farsi regolamentare da un’unica forma costituzionale, breve quanto semplice: “nessuno prenderà superiorità alcuna su un altro e ognuno sarà considerato come un eguale sotto tutti gli aspetti”.
Come reagire, dunque, ad un mutamento tanto destabilizzante? Isolandosi nuovamente e aspettando.
Dopo due anni, passato il pericolo del vulcano, si concertarono e obbligarono le autorità britanniche a riportarli a Tristan de Cunha. Le meraviglie della modernità non fecero altro che rafforzare il loro unico desiderio di ritornare indietro nel tempo.
Gli abitanti si dedicano prevalentemente al commercio di gamberi e aragoste, oltre che alla vendita di francobolli e monete a sporadici collezionisti. La vita nell’unico centro dell’isola, Edimburgo dei Sette Mari (dalla visita del Principe Alfred di Scozia, nel 1867) segue ritmi precisi.
All’alba le donne escono dalle loro case e si occupano della mungitura; i secchi di latte vengono distribuiti a tutte le famiglie e agli anziani.
Su Tristan da Cunha non esistono conflitti o casi di abbandono sociale: la piccolezza del territorio e la lontananza dal resto della civiltà ha contribuito a rafforzare i già forti legami di solidarietà.
Fonte: meteoweb.eu