Né troppo presto né troppo tardi: è la regola per assistere a ogni spettacolo della natura, e coglierlo così nel momento del suo massimo splendore.
Lo sanno bene i fotografi che ogni anno dalla metà di aprile tengono d’occhio la fioritura delle bluebell di Hallerbos, letteralmente “foresta di Halle”, 535 ettari nella Regione del Brabante fiammingo, a una manciata di chilometri di Bruxelles.
Addentrarsi nel fitto dedalo di querce e betulle e camminare sul tappeto blu-violaceo di queste campanule è come passeggiare in una foresta incantata, che a seconda delle ore del giorno e della luce degrada in sfumature azzurrine, dal lilla al pervinca al glicine.
Le bluebell sono, in realtà, giacinti selvatici, Hyacinthoides non–scripta, per essere precisi, ma il nome latino, decisamente poco fatato, nulla toglie al fascino dell’atmosfera magica che si vive durante la fioritura.
Il viola dei boccioli si confonde con quello più intenso delle pervinche e si accende davanti alle corolle bianche dell’aglio ursino, facilmente riconoscibile dal profumo pungente.
Non mancano narcisi, ranuncoli, anemoni selvatici, acetoselle e mughetti.
Un tappeto di fiori che riempie il sottobosco, e che può essere ammirato solo per un breve periodo, dalla metà di aprile all'inizio di maggio.
I giacinti sono la testimonianza palese di quanto questa foresta sia antica, perché fioriscono da secoli, senza che nessuno li abbia mai piantati.
Hallerbos così come un’altra foresta vicina, quella di Soignes, risale infatti al periodo Carbonifero, tra 360 e 285 milioni di anni fa, quando foreste vergini si estendevano dal Reno al Mare del Nord.
È sopravvissuta al disboscamento che ha interessato questi territori a partire dai tempi dei romani, ma nonostante l’origine millenaria, le piante che la costituiscono sono molto giovani.
Sono infatti frutto di un rimboscamento fatto tra gli anni Trenta e i Cinquanta del secolo scorso, quando si mise riparo ai tagli selvaggi degli alberi effettuati durante le due guerre mondiali.
La flora non è però l’unica risorsa di questo luogo.
Qui vivono infatti anche numerose specie selvatiche, come cervi, volpi, scoiattoli, faine e puzzole.
Fonte: lettera43.it
Una domanda accompagna, da duemila anni, i racconti sull'impresa di Annibale: come fece il condottiero cartaginese in marcia dalla Spagna, ad attraversare i Pirenei e le Alpi con 30 mila soldati al seguito (oltre a 15 mila cavalli e 37 elefanti), per arrivare in Italia e mettere in ginocchio le legioni romane?
Ora uno studio internazionale coordinato dalla York University di Toronto (Canada) potrebbe aver rintracciato il punto di transito di Annibale e delle sue truppe alla vigilia della Seconda Guerra Punica (218-201 a.C.): i cartaginesi potrebbero essere passati dal Colle delle Traversette, un valico alpino a quasi 3 mila metri di quota al confine tra la Valle Po, in Italia, e la Valle del Guil, in Francia.
Il nome non è nuovo, per chi si occupa dell'argomento: era già stato proposto più di un secolo fa, ma poi scartato in favore di località vicine con passi meno tortuosi, come il Colle Clapier (2.491 m), citato anche dallo storico romano Tito Livio.
Ma il Colle delle Traversette ha un elemento in più rispetto ad altre località ipotizzate: analisi microbiologiche e del polline depositato nell'area hanno rilevato, nei pressi del valico, la presenza di un grosso deposito di letame, probabilmente di cavallo, che le analisi al radiocarbonio datano al 200 a.C. circa.
Gli escrementi furono lasciati accanto a un lago o a una palude, l'unica nella zona abbastanza grande da abbeverare un gran numero di animali. Analisi genetiche hanno rivelato nel sito una prevalenza di Clostridia, batteri caratteristici delle feci equine.
Minori quantità di questi microbi, il cui materiale genetico si conserva anche per migliaia di anni, sono state trovate anche in altri punti del valico.
Ulteriori analisi dei reperti - e, con un po' di fortuna, la scoperta di parassiti al loro interno - potrebbero chiarire se nel letame si trovi anche sterco di elefanti, e forse anche la provenienza geografica degli animali.
Ma ammesso che Annibale sia passato da qui, perché scelse la strada difficile?
Per gli storici non avrebbe avuto scelta.
Prima di arrivare a Roma, infatti, doveva difendersi dall'attacco di altre popolazioni sparse nell'arco alpino, come i Galli: un sentiero più alto e meno battuto avrebbe potuto scongiurare il rischio di assalti improvvisi.
Il passaggio delle Alpi ovviamente non fu indolore.
Le valanghe decimarono l'esercito cartaginese, spazzando via migliaia di soldati e centinaia di cavalli.
Il gelo e le popolazioni delle Alpi fecero il resto: di 37 (o 38 o ancora 34 secondo altre fonti) elefanti da guerra che facevano parte della spedizione ne sopravvissero solamente 21 alla traversata.
I primi a usare gli elefanti in battaglia erano stati gli Indiani, poi imitati da Alessandro Magno (IV secolo a. C.), ma loro avevano impiegato elefanti asiatici, più piccoli e facili da addomesticare.
L’arma segreta di Annibale - usata in battaglia una sola volta, sul fiume Trebbia (nel piacentino) - era invece l’elefante della sottospecie Loxodonta africana cyclotis o elefante africano delle foreste.
Questa specie viveva a quel tempo anche sulle alture dell’Atlante (Africa settentrionale), raggiunge i 2,3 metri di altezza (meno dell’elefante africano della savana) ed era stata addomesticata a scopo bellico dai Numidi.
Dopo aver attraversato, terrorizzati, il Rodano su zattere di fortuna e avere affrontato gli impervi passi alpini, solo uno degli elefanti di Annibale sopravvisse al rigido inverno dell’Italia settentrionale
Fonte: focus.it