mercoledì 5 ottobre 2016
Titanca, la regina secolare delle Ande
Verso la fine di ottobre del 1867, un uomo risaliva a dorso di mulo una remota valle delle Ande peruviane per cercare una strana pianta della quale gli aveva parlato il proprietario di una hacienda locale. Si chiamava Antonio Raimondi, italiano proveniente da quella borghesia colta, romantica e idealista propria del nostro Risorgimento e che aveva lasciato la sua città e il suo paese per sfuggire al clima di restaurazione imposto dal ritorno degli Austriaci dopo le “Cinque Giornate” di Milano.
Appassionato naturalista fin dall’infanzia, desideroso di emulare le gesta di famosi predecessori che avevano descritto la natura dei paesi tropicali, percorreva oramai da sedici anni i deserti, le immensità, delle montagne andine, le più selvagge e remote selve di questo suo paese di adozione.
Aveva percorso migliaia di chilometri a piedi e a cavallo, visitando regioni del Perù sconosciute agli stessi peruviani, riempito centinaia di mappe descrivendo la geografia, il clima, nuove specie vegetali ed animali, le enormi risorse minerarie del paese, i resti di antiche e misteriose civiltà precolombiane.
Aveva sopportato ogni genere di fatiche e privazioni, era sopravvissuto alle malattie tropicali, all’ostilità delle popolazioni andine, alla minaccia delle tribù selvagge dell’Amazzonia, per far conoscere al mondo la straordinaria ricchezza naturale ed archeologica del Perù.
Fu chiamato “ el Humboldt peruano “.
Mentre arrancava su per la valle del Rio Pachacoto, Raimondi non immaginava che stava per rendere nota alla scienza una specie vegetale di eccezionale bellezza e rarità: infatti, pur essendo una pianta molto vistosa e quindi individuabile anche in lontananza, non l’aveva mai incontrata durane i lunghi anni di peregrinazioni in ambiente andino.
Lasciamo alle sue parole la descrizione della scoperta:
“Alle falde dei rilievi lungo il fianco sinistro della valle si osservano, su di un terreno quasi sprovvisto di vegetazione,grandi ciuffi di foglie spinescenti ai bordi, in mezzo alle quali si innalza un fusto gigantesco coperto per tutta la sua altezza da dense spighe floreali.
E’ difficile esprimere la sensazione causata dalla presenza di questa pianta in un luogo così elevato e freddo, situato a circa 3800 metri di altezza”.
Più avanti Raimondi annota:
“L’esploratore botanico che ha la fortuna di incontrare queste piante strane e meravigliose nel periodo e della loro fioritura, non può fare a meno di fermarsi per qualche tempo a contemplare estasiato uno spettacolo tanto bello”.
Avendo visitato molte volte le desolate estensioni della puna altoandina (la pianura che si trova nella cordigliera al di sopra dei 3700 m slm), Raimondi non si capacita di vedervi crescere questa gigantesca pianta. Infatti prosegue:
”La vista della località pietrosa dove cresce questa pianta aumenta ancor più la mia ammirazione, apparendo impossibile come questa gigantesca regina della puna possa assorbire sufficienti nutrienti dal terreno per alimentare uno stelo così elevato, il cui diametro supera un piede, e per poter sviluppare un numero enorme di fiori che , in un solo individuo, può superare gli ottomila…”
Alla fine della sua estasiata , ma anche particolareggiata descrizione, conclude:
”Dall’esame di questa pianta meravigliosa fatta sul posto,dedussi che fosse una specie di Pourretia;e tenendo in considerazione il suo sviluppo in altezza, che arriva anche a nove metri, la battezzai scientificamente,chiamandola Pourretia gigantea,con il cui nome sarà conosciuta”.
Il botanico Harms in seguito la riclassificò come una bromeliacea ascrivibile al genere Puya e la denominò Puya raimondii Harms, in omaggio al naturalista italiano.
Qualora il viaggiatore d’oggi si trovasse a visitare nel Departamento di Ancash la Cordillera Blanca e la Valle descritta da Raimondi, eccezion fatta per la strada sterrata che risale la valle, ritroverebbe un ambiente immutato rispetto alle parole di Raimondi.
Vedere in piena fioritura la stessa popolazione di piante di cui parla Raimondi, è uno spettacolo sublime e nello stesso tempo assai raro, perché la Puya è una pianta apocarpica, che fiorisce cioè alla fine della sua vita.
Uno dei problemi che riguardano la puya è rappresentato dagli incendi che abitanti locali appiccano per favorire il pascolo degli animali. Molti individui non sopravvivono all’incendio.
Altri appaiono deformati e con ridotte capacità riproduttive.
Dopo l’incendio le rosette di foglie basali appaiono gravemente danneggiate e ridotte sulla sommità dei fusti carbonizzati.
Non si può rimanere impassibili di fronte ad un simile disastro ambientale.
Fonte: http://www.cigv.it/
Sorprendente scoperta archeologica a Petra
Un giardino monumentale irrigato artificialmente e un’enorme piscina realizzati 2000 anni fa per celebrare la grandezza dei regnanti.
È la sorprendente scoperta degli archeologi al lavoro nel sito di Petra, città situata nella parte sud occidentale della Giordania e antica capitale dei Nabatei.
Questa popolazione, originaria della penisola arabica, poi divenuta sedentaria, era organizzata in una solida monarchia, che ebbe un ruolo fondamentale per il commercio carovaniero dall’Arabia all’Egitto e ai porti della Siria.
Tale scoperta è anche prova della grande capacità degli abitanti di Petra di gestire in modo ingegnoso ed esemplare il consumo di una risorsa tanto preziosa quanto scarsa in una città situata nel cuore del deserto: l’acqua.
Grazie a un sistema idraulico avanzato, infatti, gli abitanti della città riuscirono non solo ad assicurarsi un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, a prescindere dalla stagione, ma anche a irrigare artificialmente il sontuoso giardino monumentale, attraversato da sentieri costeggiati da alberi, viti, palme e piante erbacee, e situato accanto a una piscina a cielo aperto larga 44 metri, alimentata da un acquedotto.
“La piscina rappresenta il capolinea di un acquedotto che trasportava acqua da una delle sorgenti, ‘Ein Brak, situata sulle colline al di fuori di Petra”, spiega al quotidiano israeliano Haaretz, Leigh-Ann Bedal, docente di Antropologia al Penn State Behrend College. “L’architettura monumentale della piscina e il giardino verdeggiante celebravano visivamente il successo dei Nabatei nel fornire acqua alla città”.
La piscina monumentale fu realizzata intorno I secolo a.C., ma già dal secolo precedente la costruzione di piscine era iniziata a diventare di tendenza.
Fotografia di Leigh-Ann Bedal
A Petra cadono dai 100 ai 150 millimetri di pioggia all’anno.
Gli ingegneri nabatei avevano messo a punto complessi sistemi di irrigazione che raccoglievano l’acqua piovana e la conservavano in centinaia di cisterne sotterranee, assicurando così agli abitanti una fornitura continua di acqua potabile.
Il complesso sistema di canali, tubazioni in ceramica, cisterne sotterranee e serbatoi che servivano a filtrare l’acqua, consentì alla popolazione di Petra di coltivare, produrre vino e olio d’oliva e costruire un sontuoso giardino monumentale con una piscina a cielo aperto in mezzo al deserto.
Senza l’implementazione di tecniche per incanalare, purificare, pressurizzare e immagazzinare l’acqua, Petra non sarebbe potuta esistere.
Petra si trovava all’incrocio di due importanti vie commerciali: una collegava il Mar Rosso a Damasco, l’altra il Golfo Persico a Gaza, sulle sponde del Mediterraneo.
Le carovane cariche di spezie partivano dal Golfo Persico e giungevano a Petra dopo aver attraversato, per settimane, il deserto arabico.
Arrivare finalmente nella capitale dei Nabatei significava avere da mangiare, un tetto sotto cui ripararsi e, soprattutto, potersi dissetare. Ma tutto ha un prezzo: lo storico romano Plinio racconta, nel XII Libro della Storia Naturale, che gli abitanti di Petra, oltre a pagare per il vitto e l’alloggio, dovevano elargire doni a guardie, sacerdoti e servi del re.
Gli abitanti di Petra erano anche dei grandi costruttori: i Natabei scolpivano le proprie case, le tombe e i templi nella roccia.
Era proprio una città di pietra, come suggerisce anche il nome, che significa “massa di roccia”.
Il monumento forse più rappresentativo della città è El Khasneh Al Faroun, in arabo “Il tesoro”, monumento imponente scolpito in un’enorme parete rocciosa.
Il nome deriva da una leggenda diffusa fra i Beduini nel IX secolo, che credevano che l’urna posta alla sommità del monumento contenesse il tesoro di un faraone.
All’interno dell’edificio c’è una piccola stanza, probabilmente utilizzata come tomba reale.
Petra fu conquistata dai romani nel 106 quando, dopo la morte del re Rabbel II, il regno fu annesso all’impero per ordine di Traiano. Da quel momento, la sua importanza commerciale iniziò a scemare, fino a scomparire del tutto.
Fonte: www.nationalgeographic.it
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