giovedì 19 giugno 2014
Antico Egitto e America precolombiana : così distanti eppure così simili
Sono molte le analogie sconcertanti e irrisolte che collegano l’antico Egitto con le culture precolombiane, nonostante si siano sviluppate sui versanti opposti del pianeta, con un oceano nel mezzo.
Di fronte a questo enigma, gli studiosi di epoca vittoriana si convinsero che entrambe le culture avessero ereditato lo stesso sistema iconografico, simbolico, architettonico e religioso da una stessa ‘civiltà madre’ precedente, ormai perduta nel passato remoto della storia.
Ispirati dai racconti di Platone, i vittoriani chiamarono questa antica civiltà globale Atlantide, ipotesi che ben spiegava i paralleli tra l’Antico Egitto e le Civiltà Precolombiane.
Oggi, come è ben noto, l’establishment degli studiosi rifiuta con accesa ostilità l’ipotesi Atlantide, relegandola nel novero del mito e della leggenda, così che gli sconcertanti paralleli tra le due civiltà vengono semplicemente ignorati.
Richard Cassaro presenta una lunga carrellata di immagini che evidenziano le similitudini
Piramidi
Entrambe le culture costruirono piramidi in pietra in diversi luoghi del territorio, allineandole con i punti cardinali.
In entrambi i casi, i defunti vi venivano sepolti all’interno.
Mummie
Entrambe le culture praticavano la mummificazione dei loro defunti, simbolo della vita oltre la morte. Le mummie venivano custodite all’interno delle piramidi, spesso con offerte di cibo e oggetto personali.
Entrambe le culture credevano nella vita dopo la morte.
Maschere funerarie d’oro
Entrambe le culture collocavano maschere d’oro sui defunti di alto rango, simboleggiando la nuova dignità acquisita entrando nell’eternità, l’altra parte del velo, la casa più alta nei cieli che è eterna e spirituale, a differenza della vita terrena che è temporanea e materiale.
Posizionamento preciso delle pietre
Entrambe le culture erano in grado di intagliare e posizionare la pietra con estrema precisione.
Le costruzioni sono sorprendentemente simili.
Porte trapezoidali
Entrambe le culture realizzavano porte dalla forma trapezoidale, simbolo del progresso spirituale verso l’alto.
Tale tipo di figura è presente in molte culture antiche.
Inoltre, in entrambe le culture sono presenti serpenti simmetrici sull’architrave delle porte trapezoidale, forse per rappresentare l’idea di bilanciare le energie opposte, risultato ottenuto varcando la soglia del tempio.
Teschi allungati
Entrambe le culture praticavano l’enigmatico allungamento del cranio ai loro figli.
Questa pratica apparentemente bizzarra è ancora oggetto di discussione da parte degli studiosi.
Religione solare
Entrambe le culture hanno usato il simbolo solare come parte centrale del loro sistema religioso.
In Egitto la divinità solare era Ra, in Perù era invece Inti.
In entrambe le culture, la divinità solare rappresenta te stesso, la tua anima.
Sei un eterno sole divino. Hai volontariamente voluto incarnarti nella materia, ma ora vivi un’amnesia che ti ha fatto dimenticare il tuo vero Sé spirituale: hai perso la strada di casa.
Obelischi
Entrambe le civiltà hanno costruito e eretto obelischi sacri come dispositivi di profondo potere maschile, la fertilità, la nascita, la longevità, la forza.
Per leggere l'intero articolo : http://www.richardcassaro.com/suppressed-by-scholars-the-mystery-of-twin-cultures-egyptians-incas-on-opposite-sides-of-the-globe
Guernica - Picasso
Carone: sotto la luna di Plutone un oceano d'acqua liquida
Nel cuore di una delle lune di Plutone, Caronte, potrebbe esserci acqua.
La superficie ghiacciata del satellite di uno dei pianeti più lontani del nostro sistema solare presenta delle fratture, all'interno delle quali le temperature potrebbero favorire la presenza di acqua allo stato liquido.
Ad ipotizzarlo un nuovo studio della Nasa.
Riclassificato come pianeta nano nel 2006, Plutone ha cinque lune di cui due, Stige e Cerbero scoperte tra il 2011 e il 2012. Caronte è stata la prima ad essere individuata, nel 1978.
L'analisi delle fratture potrebbe rivelare se il suo interno era caldo da aver mantenuto un oceano sotterraneo di acqua liquida. Plutone è un mondo molto lontano, in orbita intorno al Sole ad una distanza 29 volte maggiore rispetto alla Terra.
Con una temperatura superficiale stimata inferiore a 229 gradi Celsius, l'ambiente di Plutone è troppo fredda per permettere acqua liquida sulla sua superficie.
Anche le lune si trovano nello stesso ambiente gelido. Tuttavia, com'è già successo ad altre lune in orbita attorno ai pianeti giganti gassosi del sistema solare esterno, la superficie si è incrinata mostrando la presenza all'interno di oceani.
Ne sono esempi Europa, la luna di Giove, e Encelado, quella di Saturno. “Il nostro modello prevede diversi tipi di fratture sulla superficie di Caronte a seconda dello spessore del suo ghiaccio superficiale, della struttura interna della luna, di quanto facilmente si deforma e come la sua orbita si è evoluta”, ha detto Alyssa Rhoden del Nasa Goddard Space Flight Center Greenbelt. “Confrontando le attuali osservazioni di New Horizons di Caronte alle varie previsioni, possiamo vedere cosa si adatta meglio e scoprire se Caronte avrebbe potuto avere un oceano sotterraneo nel suo passato, con elevata eccentricità”.
Le ridotte dimensioni e la grande distanza, rendono Plutone difficile da osservare, ma a luglio del 2015, la sonda New Horizons della Nasa sarà il primo veicolo a visitare Plutone e Caronte e fornirà le osservazioni più dettagliate fino ad oggi.
Poiché l'acqua liquida è un ingrediente necessario per le forme di vita conosciute, gli oceani di Europa ed Encelado sono considerate luoghi in cui potrebbe essere trovata vita extraterrestre. Tuttavia, la vita richiede anche una fonte di energia utilizzabile e un ampio rifornimento di molti elementi chiave, come carbonio, azoto e fosforo.
Non si sa ancora se questi oceani ospitano questi ingredienti aggiuntivi.
Francesca Mancuso
Tratto da blue planet heart
Una super-banana per combattere la fame nel mondo
Credits: thinstock
All’esterno si presenta come una normalissima banana, con la buccia gialla e verde.
Dentro invece, la polpa è arancione.
Ma non è questa l’unica particolarità della super-banana frutto dell’ingegneria genetica dei laboratori della Queensland University of Technology in Australia.
È stata progettata infatti per fornire un maggiore apporto di sostanze nutritive in modo da sopperire all’atavico problema della carenza alimentare nei Paesi africani in via di sviluppo, dove la coltivazione e il consumo di banane è uno dei pochi mezzi di sostentamento per la popolazione locale.
Ma i frutti cresciuti in loco hanno bassissimi livelli di sali minerali e vitamine, in particolare ferro e vitamina A.
“L’apporto insufficiente di vitamina A è una delle principali cause di mortalità infantile delle nazioni sottosviluppate e si traduce ogni anno in quasi settecentomila vittime, oltre a provocare cecità ad altri trecentomila bambini” denuncia il professor James Dale.
Con il suo team, e grazie al contributo finanziario della fondazione umanitaria Bill and Melinda Gates, ha sviluppato particolari geni che, introdotti nelle banane standard, le arricchiscono di carotene alfa e beta, sostanze che il corpo umano riesce poi a sintetizzare nella vitamina A.
Ora le super-banane, cresciute con questi geni modificati, stanno per essere spedite negli Stati Uniti dove saranno sottoposte al primo test sugli esseri umani, della durata di sei settimane.
Alla fine di questo periodo, se tutto andrà per il meglio, le super-banane saranno pronte per essere coltivate in Uganda, dove costituiscono l’alimento base per quasi tutte le pietanze cotte.
Il progetto prevede l’inizio delle prime colture entro il 2020. “Non solo migliorerà la qualità della vita di milioni di persone” afferma orgogliosamente Dale, “ma una volta che sarà approvata la coltivazione commerciale in questo Paese, potremo applicare la stessa tecnica di ingegneria genetica anche alle piantagioni di banane del Ruanda, Congo, Tanzania e Kenya, dando un efficace contributo a combattere la fame nel mondo”.
Tratto da: http://scienza.panorama.it/
All’esterno si presenta come una normalissima banana, con la buccia gialla e verde.
Dentro invece, la polpa è arancione.
Ma non è questa l’unica particolarità della super-banana frutto dell’ingegneria genetica dei laboratori della Queensland University of Technology in Australia.
È stata progettata infatti per fornire un maggiore apporto di sostanze nutritive in modo da sopperire all’atavico problema della carenza alimentare nei Paesi africani in via di sviluppo, dove la coltivazione e il consumo di banane è uno dei pochi mezzi di sostentamento per la popolazione locale.
Ma i frutti cresciuti in loco hanno bassissimi livelli di sali minerali e vitamine, in particolare ferro e vitamina A.
“L’apporto insufficiente di vitamina A è una delle principali cause di mortalità infantile delle nazioni sottosviluppate e si traduce ogni anno in quasi settecentomila vittime, oltre a provocare cecità ad altri trecentomila bambini” denuncia il professor James Dale.
Con il suo team, e grazie al contributo finanziario della fondazione umanitaria Bill and Melinda Gates, ha sviluppato particolari geni che, introdotti nelle banane standard, le arricchiscono di carotene alfa e beta, sostanze che il corpo umano riesce poi a sintetizzare nella vitamina A.
Ora le super-banane, cresciute con questi geni modificati, stanno per essere spedite negli Stati Uniti dove saranno sottoposte al primo test sugli esseri umani, della durata di sei settimane.
Alla fine di questo periodo, se tutto andrà per il meglio, le super-banane saranno pronte per essere coltivate in Uganda, dove costituiscono l’alimento base per quasi tutte le pietanze cotte.
Il progetto prevede l’inizio delle prime colture entro il 2020. “Non solo migliorerà la qualità della vita di milioni di persone” afferma orgogliosamente Dale, “ma una volta che sarà approvata la coltivazione commerciale in questo Paese, potremo applicare la stessa tecnica di ingegneria genetica anche alle piantagioni di banane del Ruanda, Congo, Tanzania e Kenya, dando un efficace contributo a combattere la fame nel mondo”.
Tratto da: http://scienza.panorama.it/
Il miracolo del deserto che fiorisce una volta all'anno.
Namaqualand (in afrikaans: Namakwaland) è una regione arida del Sudafrica e della Namibia, che si estende per oltre 100 km sulla costa occidentale dell'oceano Atlantico, con una superficie totale di 440.000 km2.
Il tratto inferiore del fiume Orange la divide in due parti - Little Namaqualand a sud e Great Namaqualand a nord. La Little , Namaqualand fa parte della provincia del Capo Settentrionale, in Sudafrica, mentre la Great Namaqualand è una regione della Namibia.
Per quasi tutto l’anno sulle desertiche distese la temperatura diurna può raggiungere i 40°C, mentre quella notturna precipita anche a 8°C sotto zero.
Poiché è praticamente priva di laghi e fiumi e l’acqua nel sottosuolo è poca e salmastra, questa regione può sembrare inospitale, tranne ovviamente nel periodo in cui si verifica il miracolo annuale.
Ogni anno, poco dopo la stagione delle piogge, le pianure del Namaqualand si ricoprono di fiori a non finire e i campi diventano un’esplosione di boccioli arancioni, gialli, rosa, bianchi, rossi, blu e porpora
Il segreto perché si realizzi questo spettacolo incredibile sta nella giusta quantità di pioggia seguita da una buona dose di sole. L'intensità del miracolo rappresentato dalla fioritura del deserto nel Namaqualand varia di anno in anno a seconda delle condizioni meteorologiche che hanno caratterizzato i mesi precedenti e coincide indicativamente con la fine dell'inverno australe, quando la breve stagione delle piogge è al culmine.
Agosto o Settembre potrebbe essere il periodo migliore per un tour botanico in Sud Africa, con i primi giorni di settembre che, teoricamente (ma impossibile da garantire) rappresentano il picco massimo di fiori presenti.
I fiori si ammirano meglio durante una bella giornata serena, quando sono completamente aperti e girati verso il sole tra le 11 e le 15 circa (con tempo nuvoloso i fiori non si aprono).
Durante le stesse settimane, le piante grasse del Richtersveld sono al loro massimo splendore, sebbene non tutte in fiore, in quanto hanno potuto fare il pieno di acqua nel corso delle settimane precedenti, unico periodo umido e relativamente piovoso dell'anno. Durante l'estate australe, il Namaqualand si trasforma in un'arida distesa desolata completamente irriconoscibile, mentre la maggior parte delle piante grasse del Richtersveld si trovano in una sorta di letargo, fortemente retratte, apparentemente morte o addirittura con l'apparato vegetativo che in alcuni casi si rifugia sotto terra.
La Great Namaqualand è abitata all'etnia Namaqua, un popolo Khoikhoi.
Una parte della Little Namaqualand, conosciuta come Richtersveld, è un sito inscritto tra i Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Manufatti unici rinvenuti in Messico fanno luce sull’antica civiltà P’urhépecha
Il suono di un sonaglio antico di 500 anni anni aiuta a raccontare la storia di un’antica civiltà precolombiana: i P’urhépecha.
Il sonaglio di rame e bronzo, del quale è possibile ascoltarne il suono, è stato scoperto da un team di ricercatori della Colorado State University guidato da Chris Fisher in un antico cimitero di Angamuco, una città precolombiana situata nello stato di Michoacán, Messico occidentale.
La squadra di Fisher ha scoperto anche gli scheletri completi di 37 individui, resti di sepolture parziali di entrambi i sessi che vanno dai bambini agli adulti.
Inoltre, sono state rinvenuti numerosi vasi in ceramica e altri corredi.
Secondo gli archeologi, i manufatti risalgono al periodo Postclassico (1000-1520 d.C.), arco di tempo nel quale si assiste a radicali cambiamenti sociali, ambientali e politici.
“La scoperta di questo complesso funerario offre un punto di vista unico attraverso il quale siamo in grado di esaminare i cambiamenti nella salute e nel benessere durante un periodo di rapido cambiamento sociale associato all’ascesa dell’Impero P’urhépecha”, spiega Fisher sul sito dell’Università.
“Si tratta di un periodo di riorganizzazione e cambiamento sociale collocato nel tardo Postclassico. Gli individui recuperati rappresentano un impressionante spaccato dell’antica popolazione P’urhépecha”.
I P’urhépecha, denominati Taraschi dai conquistadores spagnoli, fiorirono nello stato di Michoacan tra il 1100 e il 1530 d.C. Le origini di questa popolazioni sono sconosciute e la loro lingua, estranea a qualsiasi altra in Mesoamerica, è stata collegata a quella Quechua, lingua originaria del Perù.
Erano conosciuti come abili fabbri e feroci guerrieri, tanto che l’Impero Azteco, in anni di conquiste e di gloria, non riusci mai a sottometterli.
Tzintzuntzan, la capitale dell’Impero P’urhépecha, era dominata da un’enorme piattaforma sulla quale erano poste in fila cinque piramidi tempio chiamate Yacatas.
Precedenti scavi e indagini hanno rivelato che la città antica si estendeva su una superficie di più di 12 km². Le scansioni eseguite con il LiDAR indicanbo che si trattava di una città molto organizzata e molto più complessa di quanto precedentemente ipotizzato.
Così come l’Impero Azteco, i P’urhépecha hanno visto la loro distruzione dopo l’arrivo degli occupanti europei avvenuta nei primi anni del 1500.
Fonte: www.ilnavigatorecurioso.it
I Koala abbracciano gli alberi per rinfrescarsi
In molti rimarrebbero semplicemente incantati di fronte ad un tenero koala che riposa aggrappato ad un grosso eucalipto. Osservando la scena, uno scienziato invece non può che chiedersi: “ma perché sta abbracciando quell’albero?”
La soluzione di questo mistero scientifico arriva oggi da uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori americani e australiani, e pubblicato sulla rivista Biology Letters.
I loro risultati dimostrerebbero che abbracciare gli alberi serve a questi animali per rinfrescarsi durante le calde estati australiane. Nello studio, gli scienziati hanno utilizzato dei radiocollari per monitorare gli spostamenti di 37 esemplari di koala (Phascolarctos cinereus), registrando i loro spostamenti, comportamenti, postura e attività nei giorni più caldi dell’estate.
Utilizzando delle telecamere ad infrarossi, i ricercatori hanno anche fotografato gli animali mentre riposavano sui loro alberi preferiti, per registrare le temperatura dell’aria nell’aria circostante.
Grazie ai dati raccolti, i ricercatori hanno potuto notare alcuni cambiamenti nel comportamento degli animali.
Se nei giorni freschi siedono infatti sulle fronde più alte degli alberi, con l’aumentare della temperatura atmosferica i koala tendono a posizionarsi sui rami più bassi, in una posa che ormai ormai anche la letteratura scientifica ha accettato di definire “tree-hugging”, o “abbracciare gli alberi”.
Altro indizio importante, nei giorni caldi i koala sembrano preferire gli alberi di acacia ai loro amati eucalipti.
“I koala hanno una dieta estremamente limitata, e quindi quando possibile per riposare scelgono sempre gli eucalipti, le cui foglie rappresentano anche una fonte di cibo”, spiega Warren Porter, professore di zoologia della University of Wisconsin e coautore della ricerca.
Perché dunque questo cambio di abitudini nei giorni caldi?
È presto detto: gli alberi di acacia sono più freschi.
Anche sotto il sol leone, i tronchi degli alberi tendono a rimanere più freddi dell’aria, con una differenza di temperatura media che nel caso dell’acacia è di circa nove gradi.
La strategia sviluppata dai koala per combattere il caldo è dunque quella di abbracciare gli alberi, mettendo la maggior superficie corporea possibile a contatto con il tronco.
In questo modo riescono a rinfrescarsi senza dover annaspare (come fanno per esempio i cani), o sudare come gli esseri umani, comportamenti che aumentano la perdita di liquidi, e li obbligherebbero a scendere frequentemente dai loro amati alberi, per andarsi ad abbeverare.
Fonte: Wired.it
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