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mercoledì 29 luglio 2020

Riparte il Bernina Express, il trenino rosso sulla tratta alpina più alta e panoramica d’Europa


Tutti in carrozza! 
Riparte il Bernina Express, il treno rosso sulla tratta ferroviaria alpina più alta che porta attraverso un favoloso percorso da Tirano, in Valtellina, fino a St. Moritz, in Engadina, nel Canton Grigioni, a sud delle Alpi svizzere. 

Con vista sul massiccio del Bernina, il ghiacciaio del Morteratsch, i tre laghi Lej Pitschen, Lej Nair e Lago Bianco, l’Alpe Grüm e sul viadotto elicoidale di Brusio, dalle moderne carrozze panoramiche si può godere di una vista a 360° su un panorama alpino mozzafiato.






Qui, su Qui, su un tracciato costruito agli inizi del secolo scorso a scopi turistici, il picco massimo arriva 2.253 metri, tanto che questa linea è considerata una delle più ripide al mondo, con il suo 7% di pendenza tra 55 gallerie e 196 ponti. 
Un tracciato costruito agli inizi del secolo scorso a scopi turistici, il picco massimo arriva 2.253 metri, tanto che questa linea è considerata una delle più ripide al mondo, con il suo 7% di pendenza tra 55 gallerie e 196 ponti.


Dall’Ospizio Bernina, il punto più alto della Ferrovia retica (la linea ferroviaria di montagna composta da più tratte, tra cui quella dell’Albula e proprio quella del Bernina, e inserite nel 2008 nel World Heritage List dell’UNESCO), al ghiacciaio del Piz Bernina, fino alla splendida e caratteristica St. Moritz, all’alta Engadina e alla vallata del fiume Inn, salire su questo treno panoramico almeno una volta nella vita varrà sicuramente la pena.

 GERMANA CARILLO

Una scarpa antica 2.300 anni trovata sui Monti Altaj in Siberia, perfettamente conservata


L’archeologia è una materia di grande fascino sia per gli studiosi che per molte persone comuni.
 Nuovi reperti archeologici possono aiutare a comprendere sempre meglio il nostro passato e quello di altre culture, e capire così il nostro presente. 

Trovare dei reperti antichi migliaia di anni in buono stato di conservazione è piuttosto difficile, a meno che si tratta di oggetti fatti di materiali che resistono al tempo. 
Per questo, la scoperta di una scarpa scita di 2.300 anni fa è stata sensazionale, tanto quanto quella di una scarpa romana antica 2.000 anni trovata in Germania.
 Si tratta di uno stivaletto da donna rinvenuto sui Monti Altaj in Siberia insieme ad altri straordinari reperti come gioielli, armi e persino cibo.
 Una curiosità: la suola della calzatura, fatta di morbida pelle rossa, è ornata con dei cristalli di pirite.


Gli antichi Sciti erano un popolo nomade che attraversava il continente eurasiatico.
 Si ritiene che il luogo dove è stata ritrovata la scarpa, anche per la presenza degli altri oggetti, fosse un sepolcro.
 Come avveniva in altre antiche civiltà e culture, questi nomadi seppellivano i loro morti insieme ad alcuni beni e oggetti ritenuti essenziali affinché li accompagnassero nel loro viaggio verso l’aldilà. 


 Gli sciti in genere costruivano strutture di legno nel terreno, simili a una capanna, per ospitare i loro morti, e ogni corpo era collocato all’interno di una bara di legno insieme ai loro beni.
 Questa struttura, insieme al permafrost dei Monti Altai, ha conservato lo stivale per millenni.


Molta curiosità ha destato la decorazione della suola di questa scarpa.
 Secondo gli storici, gli Sciti socializzavano spesso davanti a un fuoco, attorno al quale si sedevano in ginocchio; per questo la suola era visibile agli altri membri della comunità e faceva quindi parte dell’abbigliamento.
 Secondo un’altra teoria, invece, questo stivaletto veniva realizzato esclusivamente in occasione della sepoltura dei morti, il che spiegherebbe anche il perfetto stato della suola.


 Fonte: keblog.it

martedì 28 luglio 2020

Trovato il relitto di una nave romana a Marausa


Il mare siciliano nasconde ancora tantissimi tesori antichi che aspettano ancora di essere scoperti.
 La Soprintendenza del Mare ha individuato il relitto di una nave romana oneraria, ovvero addetta ai trasporti commerciali, nello specchio d’acqua antistante Marausa, in provincia di Trapani.

 Il ritrovamento, realizzato con la collaborazione della Capitaneria di porto di Trapani, è avvenuto grazie alla segnalazione di un relitto con anfore da parte di Francesco Brascia, dipendente del ministero della difesa del Terzo stormo Trapani-Birgi. 
 L’intervento è stato coordinato dal responsabile del gruppo subacqueo della Soprintendenza del mare, Stefano Vinciguerra, e da alcuni esperti collaboratori che sono stati assistiti dal Battello GCB36, con il comandante Giuseppe Giacalone. 


 L’immersione si è svolta a circa 60 metri dalla costa, dove è risultata subito visibile una porzione di circa dieci metri di un relitto.
 Proprio tra la sabbia sono stati individuati innumerevoli frammenti di anfore.
 La Sopmare ha già prelevato tre reperti per le indagini diagnostiche: di questi uno presenta sull’orlo un’iscrizione, l’altro sotto il collo porta incise due lettere A e F e il terzo è una porzione di anfora contrassegnata da un’incisione che ricorda una torre. 


 “I reperti prelevati dalla nave, orli di anfora africana, sono attestabili alla tarda età imperiale“, ha spiegato, nelle parole riportate dall’Ansa, la soprintendente del mare Valeria Li Vigni. “Proseguiremo le ricerche di questo relitto di cui si vede parte del fasciame e alcune ordinate, oltre numerosi frammenti di anfora.


 Le anfore venivano utilizzate per il trasporto di derrate alimentari; ciò confermerebbe la presenza di un emporium, come aveva già ipotizzato Sebastiano Tusa al momento della scoperta del primo relitto di Marausa, recuperato a 500 metri di distanza e oggi esposto al Baglio Anselmi di Marsala“. 

 Fonte: passionesicilia.it

venerdì 24 luglio 2020

Santa Maria di Leuca: il luogo dove lo Ionio e l’Adriatico si abbracciano


Nei pressi di Santa Maria di Leuca, vicino al promontorio di punta Melisio, esiste una zona di mare in cui il confine tra Ionio e Adriatico in alcuni giorni è davvero ben visibile.

 La diversa salinità dell’acqua porta ad una differenza della colorazione delle acque dei due mari, che rende possibile individuare una vera e propria linea di demarcazione cromatica. Il confine ufficiale tra mar Ionio e mar Adriatico in realtà è rappresentato dal canale di Otranto, ma lo spettacolo dell’incontro delle acque dei due mari con i loro colori ben distinti vicino a Santa Maria di Leuca, secondo chi ha potuto ammirarlo, è davvero imperdibile.




L’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste ha confermato che le differenze della salinità dell’acqua tra i due mari portano alla formazione di diverse colorazioni e correnti e ad uno scambio di acque e di specie marine che influenza tutto il Mediterraneo.

 Santa Maria di Leuca è una località situata nel punto più estremo della regione. 
Da secoli racchiude lo straordinario segreto dell’incontro tra le acque dello Ionio e dell’Adriatico.
 Un fenomeno simile si può ammirare soltanto in pochi altri luoghi del mondo, ad esempio nel golfo dell’Alaska, in Nuova Zelanda e in Grecia. 

 Quando le condizioni climatiche sono favorevoli, gli abitanti e i turisti possono osservare distintamente il confine tra le acque e fotografarlo.
 L’osservazione è più semplice in assenza di foschia. 


 Questi luoghi sono stati per secoli un punto di partenza per la nascita di numerose leggende dato che le popolazioni del passato credevano che proprio punta Meliso, nelle vicinanze di Santa Maria di Leuca, fosse uno dei confini più estremi della Terra, un vero e proprio Finis Terrae.

 Ecco perché ancora oggi questo luogo ci appare ancora come a dir poco magico. 

 MARTA ALBÈ

lunedì 20 luglio 2020

L’unico posto sulla Terra dove la pangea esiste ancora


L'unico posto al mondo in cui si può guardare con i propri occhi la pangea.
 Ecco qual è l'unicità di Cliffs of Fundy, la scogliera canadese che mostra ancora oggi gli effetti delle antiche forze geologiche che hanno plasmato, e continuano a farlo, la frastagliata costa atlantica.
Sebbene la baia di Fundy della Nuova Scozia non sia così conosciuta, è un vero cumulo di tesori geologici. 
Ecco perché l'Unesco l'ha inserita fra i Global Geopark, una rete di 161 siti in 44 paesi che custodiscono silenziosamente la storia del nostro pianeta.


«Non c'è nessun altro posto sul pianeta Terra in cui è possibile vedere com'era il paesaggio 300 milioni di anni fa, ai tempi della Pangaea, così come gli effetti della sua rottura di 100 milioni di anni dopo, ovvero la nascita del mondo moderno», ha affermato il geologo John Calder. 

 The Cliffs of Fundy racconta la storia dell'incontro del supercontinente e della sua demolizione, fra scogliere a strapiombo sul mare, spiagge di fossili, crateri e insenature, fra cui si nasconde la dimora dei leggendari Glooscap e Malsumis, mitologici gemelli con il potere di creare, rispettivamente, un mondo buono e il suo opposto.




Le scogliere di questo litorale si estendono lungo 165 chilometri e sono state create dalle più alte maree della terra, con picchi alti come palazzi di cinque piani. 

Le fredde acque del Nord Atlantico hanno scolpito le antiche rocce, dalle cui fratture sono emersi grandi flussi di lava incandescente. Ogni angolo di questo posto trasuda storia, e ci si può casualmente imbattere in cimeli preziosissimi, così come capitato pochi giorni fa a una signora che si è trovata sotto i piedi un fossile di 310 milioni di anni fa. 


 Fonte: lastampa.it

mercoledì 15 luglio 2020

Stuart Sutcliffe: la drammatica storia del quinto Beatle dimenticato


Certamente ci sarebbe qualcosa di strano se qualcuno dicesse di non conoscere i Beatles, forse il gruppo musicale più famoso della storia. 
Il gruppo di Liverpool formatosi alla fine degli anni ’50 ebbe il potere di entusiasmare tutto il mondo ottenendo un successo travolgente durante il boom degli anni ’60, mentre era in atto una ripresa importante dopo la guerra. 
 I membri del gruppo li conosciamo tutti, il fondatore John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr, ma una delle curiosità che tende a rimanere nell’ombra riguarda il processo di formazione della band, quando ne faceva parte un quinto membro. Sì, nel gruppo che poi divenne leggendario c’era anche Stuart Sutcliffe, il quinto Beatle dimenticato.


Stuart Sutcliffe, da tutti chiamato Stu, nasce ad Edimburgo il 23 giugno 1940, e già da piccolo dimostra una certa sensibilità per l’arte. 
Durante un’infanzia non particolarmente felice, con un padre assente per lavoro (imbarcato con la marina mercantile) e violento nei confronti della moglie durante quel poco di tempo che si trovava in famiglia, il piccolo Stu è sempre al fianco della madre per consolarla. 

 Stu non ha difficoltà durante gli anni della scuola, e dopo il liceo si iscrive al Liverpool College of Art dove emerge subito il suo talento artistico, sia nei lavori di base sia nel riprodurre gli stili dei classici come quello di Michelangelo.
 Il suo talento artistico è innato e il suo insegnante, Arthur Bellard, lo definisce “rivoluzionario”. 

Ammirato anche dai suoi compagni per la sua intelligenza, ha il fascino tipico del ragazzo colto e interessato a diversi argomenti tra cui anche il cinema.
 Stuart mira ad arricchire le sue conoscenze e ha l’opportunità di farlo al pub Ye Cracke, insieme al suo insegnante Arthur e pochi altri studenti. 
Al pub si forma un gruppo di intellettuali chiamato i Dissenders che segue l’esempio della Beat Generation negli Stati Uniti.
 Stu inizia a farne parte e in quest’occasione conosce Bill Harry, che diventerà giornalista e scrittore, il pittore Rod Murray e John Lennon, un musicista che da poco aveva messo insieme un gruppo musicale.

 Come tanti altri, Lennon è subito attratto dall’originalità di Stuart, e un po’ alla volta i due stringono una profonda ma anche tempestosa amicizia. 
Tramite Stu, c’è la possibilità di apprendere qualcosa di nuovo, infatti Lennon viene a conoscenza di svariati aspetti dell’arte di Van Gogh e degli impressioni francesi.


Poco dopo, nel 1959, Stu, Murray e Lennon decidono di condividere un appartamento di Gambier Terrace che diventa luogo di diverse attività artistiche.
 Questo luogo è un altro centro per dibattiti culturali dove si svolgono anche le prove del gruppo musicale di Lennon, e una stanza resta riservata all’attività artistica pittorica di Stu.

 In quel periodo uno dei suoi dipinti viene esposto alla mostra biennale che si svolge alla Walker Art Gallery di Liverpool. 
Nel mentre Stuart comincia a frequentare l’ambiente musicale della città e il gestore del locale Jacaranda gli commissiona un murales per il club che Stu completa in collaborazione con Murray. 

 Intanto Stuart ha conosciuto anche Paul McCartney il quale, insieme a John, lo convincono ad acquistare un basso elettrico per poter suonare nel loro gruppo, e così Stuart entra a far parte del gruppo che poi sarà conosciuto come i Beatles. 

Preso dall’entusiasmo per la musica lascia gli studi delle arti figurative e va ad Amburgo come bassista. 
Lì incontrano tre ragazzi tedeschi interessati all’esistenzialismo, tra cui c’è la fotografa e stilista tedesca Astrid Kirchher. 

Astrid comincia a lavorare con il gruppo di Liverpool scattandogli una serie di foto artistiche, e anche lei rimane attratta dal fascino di Stu e ben presto ne diventa la fidanzata. 
Gli scatti della fotografa ottengono un buon successo, e durante le sessioni la donna suggerisce di cambiare stile ai membri, dandogli la “forma” con la quale sono passati alla storia. 
Il primo a cambiare pettinatura dietro consiglio di Astrid è proprio Stu, tagliandosi i capelli con un ciuffo che copre la fronte e l’abbigliamento in un giubbotto di pelle e stivaletti a punta, una moda che viene adottata anche dagli altri membri del gruppo.


Nonostante la buona volontà di apprendere di Stuart il talento musicale non eguaglia quello pittorico. 
Quando suona il basso non ne ha piena padronanza tanto che gli altri Beatles arrivano a suggerirgli di suonare dando le spalle al pubblico per non mettere in evidenza il suo disagio con lo strumento. 

Stu non è innamorato della musica, e lo spiega bene George Harrison:
“Stu non aveva mai scelto di dedicarsi alla musica, si presentava bene ma non era mai stato del tutto convinto di diventare un musicista”.


Purtroppo la sua mancanza di talento musicale causa un crescente disaccordo con gli altri Beatles, in primis con John Lennon.
 I due si trovano al club londinese Top Ten, quando cominciano a litigare furiosamente e quello che ha la peggio è Stuart.
 L’episodio è raccontato in un diario scritto a mano dello stesso Stuart in cui spiega l’accaduto. 

 Un mese dopo questa lite, a giugno del 1961, Stuart lascia definitivamente il gruppo, e mentre i Beatles ritornano a Liverpool lui resta ad Amburgo per amore di Astrid e riprende gli studi artistici.


 L’anno seguente iniziano alcuni problemi di salute per Stu, che accusa forti mal di testa e svenimenti e una cecità temporanea.
 Le sue condizioni continuano a peggiorare ma nessuno dei medici che lo visita (torna anche in Inghilterra per analisi più approfondite) fa una diagnosi corretta, e il 10 aprile del 1962, mentre si trova nell’ambulanza che lo sta trasportando in ospedale, a ventuno anni Stuart Sutcliffe muore.
 La causa di morte è: Una paralisi celebrale dovuta a un’emorragia nel ventricolo destro del cervello
 L’esame autoptico ha rivelato che, al momento del decesso, nel cervello di Stuart si stava sviluppando un tumore per via di una pregressa frattura cranica.

 In base al racconto del manager dei Beatles Alan Williams, Stu era stato vittima di un pestaggio avvenuto fuori dal Latham Hall di Liverpool dopo un’esibizione nel 1961. 
Stu è stato aggredito e picchiato con tale forza che è stato necessario l’intervento di Lennon e di Pete Best (batterista prima di Ringo Starr) per liberarlo dai suoi aggressori.

 Dopo la morte di Stuart, sua sorella Pauline Sutcliffe scrive un libro intitolato “Beatles’ Shadow”, in cui fa una serie di rivelazioni/bomba. 
Nel libro Pauline parla di una presunta relazione omosessuale tra Stuart Sutcliffe e John Lennon. 
Oltre a sostenere che Lennon fosse omosessuale e che avrebbe avuto altre relazioni omosessuali (in seguito, l’omosessualità di Lennon è stata smentita dalla moglie Yoko Ono), lo ritiene responsabile per la morte di Stu in quanto, secondo l’opinione della sorella, sarebbe stato lui a sferrare un calcio in testa al fratello durante una lite. 
Il libro racconta anche della rivalità tra Stuart e Paul McCartney, con George Harrison presente nella veste di paciere.


La carriera musicale di Stuart Sutcliffe è stata breve ma significativa e, anche se di lui non si parla molto, quando riaffiora il suo nome è spesso ricordato come (insieme a Pete Best) il quinto Beatle, per sottolineare la sua importanza nella storia della formazione dei Beatles. 
 Il nome del gruppo è infatti da attribuire proprio a Stuart.

 Secondo il giornalista Bill Murray, che ha avuto modo di frequentare i Beatles durante i loro primi anni come gruppo musicale, il nome è stato suggerito prima da Stuart, riferendosi al gruppo musicale di Buddy Holly chiamato The Crickets (I Grillini). Il quinto Beatle però ha fatto un gioco di parole cambiando una lettera: da Beetles che significa coleottero, scarabeo, ha sostituito un “e” con la “a” diventando Beatles (beat) che significa ritmo, battito, il termine con cui si descriveva la musica che era di moda in quel periodo. 
Anche la sperimentazione del cambio delle lettere nel nome è riportata nel diario di Stuart. 


 Il suo destino è stato infelice, come un astro bruciato troppo velocemente nel firmamento delle stelle. 

 Fonte: vanillamagazine.it

martedì 14 luglio 2020

Il monte Fanjingshan e i due templi alle porte del cielo


Red Clouds Golden Peak, questo è il nome della guglia di roccia che si eleva sopra le nuvole del Monte Fanjingshan, la vetta più alta della catena montuosa dello Wuling situata a sud-ovest della regione cinese di Guizhou.
 I due templi, uno dedicato a Buddha e l’altro a Maitreya, sono separati da una stretta gola e collegati tra loro da un ponte.

 Seduti sulla cima di questa meraviglia naturale, ad oltre cento metri di altezza, sono raggiungibili attraverso una scalinata di circa 8000 gradini. Una fatica ricompensata da una vista mozzafiato.




Costruiti tra il XII e il X secolo, dopo la dominazione della dinastia Tang, sono ritenuti uno dei luoghi buddisti dove raggiungere l’illuminazione spirituale. 

I templi, insieme a molti altri siti sacri, furono parzialmente distrutti e saccheggiati durante le varie ribellioni verso la fine del 1500, ma poi prontamente restaurati. 


 Il Fanjingshan, entrato a far parte del Patrimonio dell'Umanità Unesco nel 2018, è considerato il monte più ricco di biodiversità della Cina, una delle ultime foreste sub-tropicali della terra che conta ben 48 templi arroccati su straordinarie formazioni rocciose che sembrano toccare il cielo.

 La riserva naturale di Fanjingshan è circondata da ettari di natura selvaggia e rappresenta l’unico habitat di molte specie animali e vegetali in via di estinzione.
 Si tratta di una zona caratterizzata dalla presenza di oltre 4.395 varietà di piante e ben 2.767 esemplari animali, alcuni dei quali unici al mondo. 
Un ecosistema perfetto che si estende su una superficie di 567 km quadrati, a un’altitudine che varia tra i 500 e i 2570 metri sul livello del mare. 


 Fonte: mybestplace

domenica 12 luglio 2020

In Canada, fra le infernali Smoking Hills che sputano fumo ininterrottamente da secoli


Il primo ad aver avvistato il fumo, pensava si trattasse di un incendio.
 Era il 1826 e Captain Robert McClure, in missione di salvataggio, ancora non sapeva che in realtà si trovava davanti a un «fuoco perpetuo» sotterraneo.

 Siamo nei remoti territori del Nord-Ovest del Canada. E quelle che sembrano il preambolo dell'inferno solo le Smoking Hills che bruciando ininterrottamente da secoli.
 Uno scenario surreale, dove il fumo esce dalle fenditure nelle rocce che si tuffano a strapiombo nel Mar Glaciale Artico.


L'incendio c'è, ma non si vede. 
Si consuma in depositi sotterranei di zolfo di lignite e il fumo sale in superficie, approfittando delle spaccature create dall'erosione. Una condizione che ha acidificato gli stagni che si trovano nella tundra lungo la costa e riversato sul suolo grandi concentrazioni di sedimenti di alluminio, ferro, zinco, nichel, manganese e cadmio che rendono la costa insolitamente variopinta.


 I pennacchi di gas sono ben visibili sia dal mare che dalla terraferma. E nonostante questa scogliera sia impervia e difficile da raggiungere – si raggiunge solo in elicottero o in barca, con partenza da Paulatuk – è diventata negli anni una attrazione turistica, meta di escursioni dal sapor post apocalittico rimasto invariato da secoli.

 Gli scogli che compongono queste colline di pietra riescono a resistere alle alte temperature, accumulando calore.




Si narra che l'equipaggio dell'esploratore ottocentesco abbia portato un pezzo di quelle rocce a bordo della della nave della Royal Navy Britannica, per portarlo in patria. E che roccia incandescente abbia bucato la scrivania in legno del capitano, su cui era stata appoggiata. 

 Inizialmente si pensava che queste colline celassero la bocca di un vulcano. 
Invece oggi si sa che rappresentano un ecosistema geologico unico nel suo genere.


 Fonte: lastampa.it

martedì 7 luglio 2020

Reperti archeologici trovati su fondali in Australia lontano dalle coste


L'Homo sapiens approdò in Australia dal Sudest asiatico almeno 65 mila anni fa, ma le più interessanti testimonianze archeologiche della sua presenza potrebbero trovarsi, oggi, ancora in fondo al mare. 
È quanto sembra suggerire la scoperta di manufatti aborigeni sott'acqua, lungo la piattaforma continentale australiana (cioè la linea di demarcazione del continente): finora, nessuno pensava che reperti antichi migliaia di anni potessero essersi conservati tanto a lungo, anche molto lontano dalla costa.
 L'innalzamento del livello del mare ha "mangiato", con il tempo, intere porzioni di insediamenti abitati, ma potrebbe non aver cancellato del tutto la loro storia. 


 Quando l'uomo occupò per la prima volta l'Oceania, il livello del mare era circa 80 metri più basso rispetto ad oggi. Il calo delle temperature globali provocò un ulteriore abbassamento, e nel pieno dell'ultima era glaciale, 20.000 anni fa, l'oceano "iniziava" 130 metri più in basso del livello attuale.
 Alla fine dell'ultima era glaciale, 12.000 anni fa, con la fusione dei ghiacci il livello del mare tornò a salire, e le acque inondarono un terzo delle terre abitabili dell'Australia.
 La Tasmania, prima, e la Nuova Guinea, poi, furono separate dalla terraferma. 
L'acqua inghiottì 2,12 milioni di chilometri quadrati di territorio, inclusi gli insediamenti umani più vicini alla costa.


Negli ultimi quattro anni, un gruppo di archeologi, geologi, piloti e sub professionisti ha studiato la regione al largo della costa rocciosa di Murujuga, un'isola dell'arcipelago Dampier, nell'Australia nordoccidentale. 

L'area nell'entroterra di questa porzione di costa è ricca di testimonianze di arte aborigena, e 18.000 anni fa, la terra libera dal mare si estendeva per altri 160 chilometri rispetto ad oggi. 


Il team del progetto Deep History of Sea Country, coordinato dall'Università di Flinders, ha studiato le carte nautiche e le mappe geologiche dell'area per restringere la zona di ricerca, e ha poi scandagliato i fondali oceanici usando laser montati su aeroplani e scanner ad alta risoluzione rimorchiati da navi. 
Nella fase finale, i sub hanno scoperto due siti archeologici al largo dell'arcipelago, rimasti all'asciutto fino ad almeno 7.000 e 8.500 anni fa, rispettivamente.
 Nel canale di Cape Bruguieres sono stati rinvenuti 269 utensili in pietra a 2,4 metri di profondità: strumenti per tagliare, martellare, limare, persino macinare semi e ricavare una specie di farina.

 Il secondo sito, in quello che si chiama Flying Foam Passage, mostrava tracce di presenza umana attorno a una sorgente d'acqua dolce che oggi si trova a 14 metri di profondità, oltre ad almeno uno strumento in pietra locale adatto per tagliare.


 Le scoperte sono importanti perché dimostrano che materiale preistorico può sopravvivere per millenni sui fondali marini tropicali.
 Lungo il margine delle piattaforme continentali potrebbero trovarsi decine di altri siti archeologici di interesse, vulnerabili alle attività antropiche ma anche a minacce naturali come il passaggio di cicloni. 


L'attuale conoscenza della storia dell'Australia si basa su testimonianze archeologiche dell'entroterra e su un'importante tradizione orale, ma i primi abitanti del continente erano popolazioni costiere arrivate via mare, e proprio il mare potrebbe custodire oggi i segni del loro passaggio. 

 Fonte: focus.it

venerdì 3 luglio 2020

L’inquietante mistero della Chapelle Expiatoire di Parigi: trovate le ossa dei ghigliottinati della Rivoluzione nei muri


Luigi XVI e Maria Antonietta non erano soli.
 Una «sconvolgente» scoperta ha cambiato la storia di uno dei celebri monumenti di Parigi, vicino a Place de la Concorde. 
E' qui che re e regina furono sepolti dopo esser stati ghigliottinati, e in cui le loro spoglie riposarono per 21 anni, prima di essere trasferite nella tomba reale di Saint-Denis. 
Ed è qui che ora sorge questo monumento commemorativo voluto da Luigi XVIII-

 Dopo aver notato delle curiose anomalie sulle pareti, il guardiano della cappella Aymeric Peniguet de Stoutz ha deciso di ispezionare il sito insieme a un archeologo.
 E' così che in una intercapedine fra i mura di pietra sono stati rinvenuti i primi resti di quelle che potrebbero essere almeno 500 persone ghigliottinate durante la Rivoluzione Francese.


La Chapelle Expiatoire fu progettata nel 1816 dall'architetto neoclassico francese Pierre François Léonard Fontaine e in parte costruita sul terreno dell'ex cimitero della Madeleine, chiuso nel 1794, l'anno successivo alla morte di Luigi XVI e Maria Antonietta. 
Ma mai sinora era stato ipotizzato che delle ossa fossero state usate non solo come fondamenta ma anche inglobate fra le spesse mura della cappella commemorativa. 

Nel suo rapporto l'archeologo Philippe Charlier ha confermato che il «piano inferiore della cappella nasconde quattro scatole di legno piene di ossa umane», oltre a esserci «terra mescolata con frammenti di ossa umane».


 Trovandosi non lontano da quella che un tempo era Place de la Révolution, la piazza della ghigliottina, quell'area era probabilmente diventata una sorta di fossa comune. E i costruttori hanno quindi inglobato quel patrimonio nella nuova architettura, senza spostare le reliquie.





Storicamente si credeva che i resti delle vittime per lo più aristocratiche della rivoluzione, e gli stessi rivoluzionari, si trovassero in diverse catacombe della città. 
Ma quello che sinora era stato considerato solo un monumento in memoria della famiglia reale, oggi si è scoperto essere una sorta di «necropoli della Rivoluzione Francese».

 Fonte:lastampa.it

giovedì 2 luglio 2020

La “leggenda” del bacio sotto il Ponte dei Sospiri a Venezia ispirò un film americano degli anni ’70


Il Ponte dei Sospiri a Venezia: bellissima e un po’ triste opera di architettura barocca, evoca la grandezza della Serenissima, ma anche il suo inflessibile sistema giudiziario.

 Progettato da Antonio Contin all’inizio del 1600, fu costruito per collegare, con un doppio passaggio, il Palazzo Ducale con le Prigioni Nuove, passando sopra il Rio di Palazzo.

 Leggenda vuole che i sospiri fossero quelli dei detenuti che attraversavano il ponte, andando verso la prigione: l’incantevole vista della laguna di Venezia era l’ultima immagine della libertà perduta, probabilmente per sempre.

 In realtà, dall’interno del ponte non si vede quasi nulla, e quindi probabilmente il nome si riferisce agli ultimi respiri dei prigionieri come uomini liberi, perché chi era condannato, nella Serenissima Repubblica, non aveva altro destino che morire in prigione.
 Ancora più probabilmente, i sospiri erano in realtà i lamenti dei prigionieri, che riecheggiavano nel canale attraverso le strette finestre delle carceri.


La triste storia del ponte non lo rende meno bello: la sua bianca pietra d’Istria, e le decorazioni scultoree, lo rendono una delle principali attrazioni turistiche di Venezia. 

Ad un’attenta osservazione, si nota che tutti i visi scolpiti nell’arcata hanno un’espressione di rabbia o tristezza; l’unico che sembra avere una faccia felice è probabilmente il guardiano del ponte.


Il Ponte dei Sospiri può essere visto dal Ponte di Canonica e dal Ponte della Paglia, oppure navigando in gondola lungo il Rio di Castello. 


Un’altra leggenda, forse inventata ad uso e consumo dei milioni di turisti che ogni anno visitano Venezia, convince molte coppie a passare sotto il Ponte dei Sospiri in Gondola, perché un bacio scambiato al tramonto sotto la sua bianca volta, nel momento in cui le campane di San Marco iniziano a suonare, assicura amore eterno e felicità.


Da questa “leggenda” è stato tratto anche un film con Laurence Olivier e Diane Lane, dal titolo “A Little Romance”, “Una piccola Storia d’Amore” nella versione italiana che vinse l’Oscar per la Colonna Sonora.
 La pellicola fu ispirata al libro “E=mc2 Mon Amour” di Patrick Cauvin, tradotto in Italia come “Piccolo Grande Amore”.

 Fonte: vanillamagazine.it
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