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venerdì 13 aprile 2018

La tartaruga 'punk' rischia l'estinzione


La bizzarra tartaruga Mary river (Elusor macrurus), che spesso sviluppa una spettacolare ‘cresta mohicana' di alghe verdi, è stata inclusa tra le cento specie di rettili più minacciate del Pianeta, posizionata al 29° posto della classifica. 

La nuova lista EDGE (acronimo di Evolutionarily Distinct e Globally Endangered) è stata compilata dagli scienziati dell'autorevole Zoological Society of London (ZSL), che tengono traccia anche della vulnerabilità di altri animali, come mammiferi, anfibi, uccelli, coralli e altri ancora.

 A proiettare questa specie di tartaruga australiana – così chiamata perché vive solamente nel fiume Mary del Queensland – sull'orlo dell'estinzione è stato l'essere umano, che ne ha razziato le giovani generazioni per oltre un decennio tra gli anni '60 e '70. 

Benché sia stata classificata soltanto nel 1994, infatti, questa tartaruga dal comportamento docile all'epoca era molto apprezzata come animale domestico, e così tra adulti e 15 mila neonati catturati ogni anno da inviare ai negozi di animali di tutta l'Australia, si stima che la popolazione sia oggi crollata del 95 percento.


A renderla così ambita prima dell'entrata in vigore delle misure di protezione, al di là del già citato comportamento, vi era soprattutto il suo aspetto spettacolare.
 La tartaruga, oltre a mostrare spesso la crescita di alghe su tutto il carapace e sulla testa, ha infatti anche un paio di tubercoli che spuntano sotto il mento, escrescenze simili a dita che utilizza come organo sensoriale per ‘tastare' la sabbia del letto del fiume in cui vive. 
Ha inoltre una lunghissima coda, che può raggiungere i due terzi del carapace; nel complesso il rettile arriva a misurare 40 centimetri (alcuni esemplari arrivano anche a 50 centimetri) e il particolare corpo idrodinamico gli permette di nuotare molto velocemente. Un'altra caratteristica affascinante è la capacità di respirare attraverso alcuni organi posti nella cloaca, un'apertura comune per l'escrezione e gli organi riproduttivi. 
Grazie a questa ‘abilità' la tartaruga può sopravvivere per 72 ore sott'acqua, respirandone l'ossigeno disciolto.
 Tutte queste caratteristiche straordinarie derivano dal fatto che si tratta di un vero e proprio ‘fossile vivente', separatosi dalle altre linee di tartarughe circa 40 milioni di anni fa.


Ma la sua unicità è stata anche la sua condanna. 
Tuttavia, grazie alle spettacolari foto scattate da Chris Van Wyk nel 2007, la tartaruga si è trasformata in un animale simbolo del fiume Mary. 
Sulla spinta mediatica gli ambientalisti sono riusciti a evitare la costruzione di una diga, che avrebbe messo ulteriormente a rischio la sua sopravvivenza e quella di altri animali che vivono nel fiume. 

Nonostante gli sforzi e le misure di tutela introdotte, la tartaruga si trova comunque sull'orlo dell'estinzione, e gli scienziati della ZSL guidati dal ricercatore Rikki Gumbs, coordinatore della sezione rettili di EDGE, si augurano che possano essere messe in atto azioni ancora più rigorose. 
I rettili, infatti, solitamente vengono tutelati meno di animali di classi “superiori” come mammiferi e uccelli, ma l'unicità della tartaruga Mary river potrebbe fare la differenza. 

 Fonte: http://scienze.fanpage.it/

Risolto il mistero delle pietre di Stonehenge


Alcune delle più grandi pietre di Stonehenge non sono state trasportate sulla collina di Salisbury, dove è posizionato il monumento, ma erano già presenti in loco da milioni di anni, prima dell’arrivo dell’uomo.

 Lo ha dimostrato un team di ricerca britannico attraverso analisi geologiche condotte sul sito, ribaltando così la teoria più accreditata sull’origine di queste colossali pietre. 
In base ad essa, infatti, tutti i megaliti sarebbero stati prelevati da una località chiamata Marlborough Downs – sita a 32 chilometri da Stonehenge -, mentre le pietre di dimensioni inferiori sarebbero state in parte prese in un sito a pochi chilometri di distanza e altre addirittura in Galles, a 200 chilometri. 
Ora sappiamo che la storia è andata diversamente.

 Gli studiosi, coordinati dall’archeologo Mike Pitts, uno dei pochi ad aver condotto degli scavi nell’area a partire dagli anni ’70, hanno infatti scoperto che due dei più grossi “sarsen” (il nome locale dei megaliti), ovvero Heel Stone e Stone 16, sono sempre stati lì.
 Tra gli indizi principali ci sono due grosse buche – scavate e poi riempite di nuovo – compatibili con le loro dimensioni. 
Gli uomini del neolitico potrebbero semplicemente averli sollevati e posizionati dove sono adesso, collocando attorno ad essi le altre pietre provenienti dagli altri siti.
 Sono del resto gli unici due megaliti a non essere stati scolpiti e modellati, inoltre sono quelli che indicano dove sorge il Sole nel solstizio d’estate e dove tramonta in quello di inverno. 
Potrebbero essere il ‘cuore pulsante’ di questo misterioso osservatorio astronomico, attorno al quale è stato plasmato l’intero monumento.


Un altro indizio sull’origine dei megaliti è prettamente geologico. 

Gli studiosi ritenevano che queste pietre, composte di arenaria e formatesi tra i 23 e i 2,6 milioni di anni fa, nel Neolitico fossero già rarissime sulla piana di Salisbury, per questo sarebbero state tutte trasportate. 
Ma il team di Pitts, grazie a nuove indagini sul territorio, ha dimostrato che l’arenaria alla base dei sarsen è ancora presente in abbondanza intorno a Stonehenge; è semplicemente affondata nel terreno a causa dei processi di congelamento e scongelamento durante le ere glaciali. 
In parole semplici, era a disposizione di chi ha costruito Stonehenge. 

Questa scoperta risolve (almeno in parte) uno tra i più grandi misteri del sito, ovvero il motivo per cui il monumento, costruito tra l’8.000 e il 2.000 avanti Cristo, sarebbe stato eretto solo con pietre trasportate. 
Un problema logistico non indifferente, considerando che le pietre più grandi arrivano a pesare anche 50 tonnellate, e all’epoca non c’erano le moderne infrastrutture o mezzi in aiuto.
 Non a caso le teorie più fantasiose vedono anche il coinvolgimento degli alieni.

 È tuttavia molto probabile che decine e decine di uomini, aiutati da funi e da ‘slitte’ di legno e tronchi, le abbiano trascinate fino alla collina di Salisbury.


Ora sappiamo che almeno alcune provengono direttamente dal sito britannico. 

I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica British Archeology 


 Fonte: scienze.fanpage.it
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