venerdì 20 settembre 2013
Castello Montrésor
Il Castello di Montrésor viene costruito a partire dal 1005 da Folques Nerra III, conte d’Angiò per difendersi dal suo peggior nemico Eudes II de Blois, detto Eudes le Champenois.
Foulqes III riesce a sconfiggere Eudes II nella battaglia di Pontlevoy nel 1016, ma 5000 soldati perdono la vita nel combattimento, un prezzo veramente alto per l’epoca.
Folques vive fino a 70 anni e, per espiare le sue colpe, dovute ad una vita di guerre, saccheggi ed assassini, decide di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme per 4 volte; successivamente, a Loches, fonda l’Abbazia di Beaulieu, dove si trova la sua tomba.
A lui si deve la fondazione della dinastia dei Plantageneti.
L’antica Collegiata di St. Jean Baptiste de Montrésor viene costruita tra il 1519 e il 1541 su iniziativa di Ymbert di Bastarnay, consigliere di ben quattro Re di Francia (Luigi XI, Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I).
Personaggio di spicco, vive fino a 85 anni e prende parte a tutte le trattative e negoziazioni politiche dell’epoca.
Nel 1849 il Castello viene acquistato dal conte Xavier Branicki, nobile polacco e amico di Napoleone Bonaparte, che adibisce la tenuta a vera e propria galleria d’arte.
La poderosa fortezza di Montrésor domina incontrastata la suggestiva valle dell’Indrois.
Le mura di cinta che lo circoscrivono risalgono al 1493; dal momento dell’acquisizione del Castello da parte del polacco Branick, ha mantenuto inalterati i suoi interni, dalle decorazioni, ai quadri, ai mobili, costituendo un’autentica testimonianza del passato.
Nella grande sala da pranzo, che può ospitare fini a 40 coperti, è possibile osservare un prezioso comò in argento appartenuto a Napoleone Bonaparte, mentre nelle altre sale sono presenti magnifiche collezioni di dipinti del Rinascimento italiano ed olandese, trofei provenienti da tutto il mondo e collezioni di spade e armi da fuoco risalenti al XIX secolo.
I lamantini
I lamantini sono mammiferi acquatici di grosse dimensioni appartenenti al genere Trichechus (da non confondere con il tricheco, Odobenus rosmarus), a volte noti col nome di mucca del mare o pesce bue.
Sono l'unico genere della famiglia Trichechidae.
La loro alimentazione è di tipo erbivoro e trascorrono infatti la maggior parte del loro tempo pascolando nelle acque paludose.
Una caratteristica unica dei lamantini (tra i mammiferi) è la continua sostituzione dei denti molari.
Gli esemplari adulti non hanno incisivi né canini, ma solo una particolare serie di denti non chiaramente differenziati in molari e premolari.
Unici tra tutte le specie mammifere, essi sostituiscono continuamente lungo tutto l'arco della vita: i denti, la crescita nella parte posteriore della cavità orale fa muovere verso la parte mediale della dentatura i denti più vecchi, fino a che cadono.
In genere in un lamantino non si contano più di sei denti in un determinato momento. In media il peso del lamantino è di 400–500 kg, la lunghezza di 2,8-3,0 m, con massimi di 3,6 metri e 1775 kg, considerando che gli esemplari femmina tendono ad avere maggiori dimensioni.
Alla nascita, un lamantino pesa all'incirca 30 kg. La velocità di un lamantino va dai 5 agli 8 km/h.
Il lamantino vive in aree costiere poco profonde o paludose dell'America e dell'Africa; è inoltre presente nel Mar dei Caraibi.
Quello delle Indie Occidentali è una specie a rischio di estinzione, sebbene non abbia nessun predatore naturale.
L'espansione delle attività umane ha ridotto il suo habitat naturale alle sole zone paludose costiere, e molti lamantini rimangono feriti dai motori dei fuoribordo.
Spesso capita che i lamantini ingeriscano materiale da pesca (ganci, pesi, etc.) mentre si cibano.
Questi corpi estranei non sembrano arrecargli disturbi, a eccezione dei fili di nylon e delle stringhe.
Questi ultimi possono rimanere incastrati nell'apparato digestivo dell'animale, provocandone lentamente la morte.
I lamantini nuotano vicino alla superficie dell'acqua.
Utilizzano i baffi rigidi che hanno sul muso per dirigere il cibo verso la bocca.
Con un peso che può superare i 500 chilogrammi, il lamantino dei Caraibi assomiglia a un delfino paffuto o a una piccola balena, anche se non ha legami di parentela con nessuno dei due (ha invece un antenato in comune con gli elefanti).
I lamantini sono sprovvisti dello strato di grasso che permette ai cetacei di sopportare il freddo; in acque al di sotto dei 20 °C cominciano a indebolirsi e muoiono.
Le cicatrici sul dorso di questo lamantino sono la prova di un incontro troppo ravvicinato con le eliche di un motoscafo.
Circa 1/4 delle 360 morti di lamantini del 2012 sono state causate da collisioni con barche.
L'istituzione di zone a velocità controllata aiuta, ma alcuni diportisti non le accettano.
Due piccoli lamantini si nutrono dalle mammelle della madre (nascoste dietro le pinne), per un periodo di intense cure materne che può durare anche due anni.
Solitari per natura, durante l'inverno i lamantini sono costretti alla socialità. Sprovvisti dello strato di grasso isolante dei cetacei, si riuniscono tutti nei pressi di sorgenti d'acqua calda o scarichi di centrali elettriche.
Tutte le foto sono di Paul Nicklen
Sono l'unico genere della famiglia Trichechidae.
La loro alimentazione è di tipo erbivoro e trascorrono infatti la maggior parte del loro tempo pascolando nelle acque paludose.
Una caratteristica unica dei lamantini (tra i mammiferi) è la continua sostituzione dei denti molari.
Gli esemplari adulti non hanno incisivi né canini, ma solo una particolare serie di denti non chiaramente differenziati in molari e premolari.
Unici tra tutte le specie mammifere, essi sostituiscono continuamente lungo tutto l'arco della vita: i denti, la crescita nella parte posteriore della cavità orale fa muovere verso la parte mediale della dentatura i denti più vecchi, fino a che cadono.
In genere in un lamantino non si contano più di sei denti in un determinato momento. In media il peso del lamantino è di 400–500 kg, la lunghezza di 2,8-3,0 m, con massimi di 3,6 metri e 1775 kg, considerando che gli esemplari femmina tendono ad avere maggiori dimensioni.
Alla nascita, un lamantino pesa all'incirca 30 kg. La velocità di un lamantino va dai 5 agli 8 km/h.
Il lamantino vive in aree costiere poco profonde o paludose dell'America e dell'Africa; è inoltre presente nel Mar dei Caraibi.
Quello delle Indie Occidentali è una specie a rischio di estinzione, sebbene non abbia nessun predatore naturale.
L'espansione delle attività umane ha ridotto il suo habitat naturale alle sole zone paludose costiere, e molti lamantini rimangono feriti dai motori dei fuoribordo.
Spesso capita che i lamantini ingeriscano materiale da pesca (ganci, pesi, etc.) mentre si cibano.
Questi corpi estranei non sembrano arrecargli disturbi, a eccezione dei fili di nylon e delle stringhe.
Questi ultimi possono rimanere incastrati nell'apparato digestivo dell'animale, provocandone lentamente la morte.
I lamantini nuotano vicino alla superficie dell'acqua.
Utilizzano i baffi rigidi che hanno sul muso per dirigere il cibo verso la bocca.
Con un peso che può superare i 500 chilogrammi, il lamantino dei Caraibi assomiglia a un delfino paffuto o a una piccola balena, anche se non ha legami di parentela con nessuno dei due (ha invece un antenato in comune con gli elefanti).
I lamantini sono sprovvisti dello strato di grasso che permette ai cetacei di sopportare il freddo; in acque al di sotto dei 20 °C cominciano a indebolirsi e muoiono.
Le cicatrici sul dorso di questo lamantino sono la prova di un incontro troppo ravvicinato con le eliche di un motoscafo.
Circa 1/4 delle 360 morti di lamantini del 2012 sono state causate da collisioni con barche.
L'istituzione di zone a velocità controllata aiuta, ma alcuni diportisti non le accettano.
Due piccoli lamantini si nutrono dalle mammelle della madre (nascoste dietro le pinne), per un periodo di intense cure materne che può durare anche due anni.
Solitari per natura, durante l'inverno i lamantini sono costretti alla socialità. Sprovvisti dello strato di grasso isolante dei cetacei, si riuniscono tutti nei pressi di sorgenti d'acqua calda o scarichi di centrali elettriche.
Tutte le foto sono di Paul Nicklen
Pyramidion; La pietra di Benben – L’apice della piramide: La Fenice
Con il termine pyramidion si intende la cuspide piramidale monolitica delle piramidi e degli obelischi che rappresentava la sacra pietra benben.
Questo è lo scopo per cui sono state costruite le piramidi e tutti gli obelischi.
Dall’alba dell’uomo pensante, di cui di giorno in giorno si retrodata la sua apparizione, il senso di collina sacra si ripete piu’ e piu’ volte nella storia, fino a porre le sue radici anche nelle teologie moderne.
I Pyramidion erano costituiti nell’Antico Regno, da materiali rari come la diorite o il nero basalto che creavano così un forte contrasto policromo con il bianco calcare di rivestimento delle piramidi e degli obelischi.
Durante il Medio Regno veniva usato il granito con iscrizioni geroglifiche.
Il più famoso è quello di Amenemhat III proveniente dalla piramide nera di Dahshur, conservato al museo del Cairo e decorato con geroglifici, con il disco solare alato e con due urei.L'ureo (dal greco οὐραῖος) era una decorazione a forma di serpente posta, in origine, ai lati del disco solare e successivamente sul copricapo dei sovrani egizi.
Tra le ali del sole vi sono due occhi, simbolo della bellezza di Ra nascente mentre sotto vi sono incisi anche i cartigli e le formule di vita eterna.
Il simbolismo corretto è:
La parte superiore raffigura il Disco Alato di Heru (trainato dalle “Due Signore”)
Sotto abbiamo l’Occhio di Ra e l’Occhio di Heru (che non sono la stessa cosa)
Ancora sotto abbiamo il simbolo dell’Enneade di Eliopoli – la creazione agisce per “vie ternarie ”
Per ultimo abbiamo il simbolo di Ra
L’accostamento Ra-Heru (e i loro occhi) sono contenuti nella Fenice simbolo di Resurrezione Nelle piramidi del Nuovo Regno di Deir el-Medina i pyramidion avevano tutte e quattro le facce decorate con scene di culto solare e con il defunto in adorazione di Ra ma erano fatti sempre di calcare locale, proveniente da Tura, come quello frammentario rinvenuto presso la tomba di Sennedjem.
Il Benben: Il mito della collina sacra
Il Benben, nella mitologia egizia, e più specificamente nella cosmogonia di Eliopolis , era la collina primigenia che emerse dall’oceano primordiale del Nun, e sulla quale il dio creatore Atum generò se stesso e la prima coppia divina.
Nei Testi delle piramidi, linea 1587, si fa riferimento ad Atum stesso come “collina”: si dice che si trasformò in una piccola piramide, situata in Annu, il luogo ove si diceva risiedesse.
La pietra di Benben , che potrebbe significare “il radiante”, era una sacra pietra conica venerata nel tempio solare di Eliopoli sulla “collina di sabbia” del tempio ove il dio primevo si era manifestato e nel luogo dove cadevano i primi raggi del sole nascente.
“Tum Creatore tu sei alto nell’altura sorge da te la Fenice dalla Fenice come pietra benben nel palazzo della Fenice in On Tu hai sputato fuori Shu tu hai tossito fuori Tefnut” (Testo della Piramide 600)
Benben (il termine ben = “generare” è ripetuto due volte) non significa “il radiante” bensi’ il “Fuoco della Doppia Generazione” Doppia perché la pietra conica (poi divenuta piramidale) ha la funzione di supporto: Atum emerge dal Nun crea la Collina Primordiale dove genera la prima coppia divina
Il medesimo culto era celebrato anche a Napata e nell’oasi di Siwa ove la pietra conica fu, in epoca tarda, paragonata ad un “umbilicus”, proprio il nome del sito archeologico turco di Gobleki Tepe, ovvero, collina tondeggiante, ma anche appunto “ombelico”.
Benben si ricollegava comunque sempre al dio creatore e nella mitologia elaborata dal clero eliopolitano “rappresentava senza dubbio un raggio di sole”. (Gardiner)
Secondo alcune teorie il Benben sarebbe stato un meteorite di composizione ferrosa (siderite) caduto in epoca preistorica. Verosimilmente il Benben, visto il suo importante significato religioso, fu il modello di riferimento in varie strutture architettoniche, quali gli obelischi dei templi solari, ad Abu Gurab, la cuspide degli obelischi ed il Pyramidion.
Dalla forma conica originari, la pietra, fu trasformata successivamente per esigenze architettoniche in una piccola piramide a base quadrangolare e con cuspide sovente coperta da lamine d’oro.
Miti e tradizione
Al medesimo mito era collegata la fenice, il mitico e favoloso uccello chiamato Benu, anch’esso venerato a Eliopoli, ove si diceva vivesse sul Benben.
Secondo B. Kemp la relazione tra il Benben, il Benu ed il sole potrebbe essere basata su un’assonanza tipicamente egizia: il sole nascente, weben, proiettava i suoi raggi sul Benben, sul quale viveva il Benu.
Benu o Bennu, divinità zoomorfa del pantheon dell’antico Egitto, è un uccello mitologico consacrato al dio Ra e simbolo della nascita e della resurrezione dopo la morte, quindi, dell’eternità della vita. Questo e’ esattamente identico, a livello mitologico del Melek Taus Yazida e di tutta l’iconografia dharmica (induista) dove lo troviamo sotto forma di pavone, che in arabo viene appunto tradotto in Ta’us; pavone e Melek; Re.
Il volo delle anime nell’antichità lo ritroviamo sempre come simbolo dell’anima e della resurrezione che molti popoli hanno trasformato nella mitologica fenice, ma in realta’ è lo stesso simbolo con lo stesso significato.
Benu all’inizio era rappresentato come una cutrettola, uccello della famiglia dei passeracei. Durante il Nuovo regno prese le sembianze di airone (AzTlan, parola in lingua nahua, e’ la terra originaria degli Aztechi e si traduce in “terra degli aironi”) cenerino ,un trampoliere dal becco lungo e sottile e con due piume dietro al capo.
Si suppone che il nome Benu possa derivare da webwn, verbo egizio che significa “brillare”, “sorgere”: infatti, nelle raffigurazioni trovate sul Libro dei morti o in molti affreschi esso sembra sorgere dalle acque.
Per i greci divenne phoinix, la longeva e miracolosa fenice. Era il signore del giubileo reale, poiché simbolo della rinascita e del rinnovamento, come il sole che all’alba rinasce e si rinnova.
Le raffigurazioni di questa divinità sono presenti molto spesso nel Libro dei morti e nelle pitture parietali.
Fonte : http://portalemisteri.altervista.org
Il ritmo è vita e salute
MA COSA E' IL RITMO?
Dal greco Rythmòs, significa movimento misurato, cadenzato (come anche simmetria, proporzione), contiene in sè l'idea dello scorrere.
Si tratta dell'ordine con cui un fenomeno si ripete nel tempo (il ritmo delle stagioni, di un'oscillazione, di un ticchettio, di una marcia).
E' una successione regolare e armoniosa di elementi, una successione a intervalli regolari di suoni. Per Platone il ritmo rappresenta "l'ordine del movimento".
Il corpo umano è abitato da funzioni ritmiche. Basti pensare, tra tutte, alla respirazione e al battito cardiaco.
I ritmi del respiro e del cosmo sono i ritmi stessi del divenire: esalando crea e la materia si espande, inalando distrugge e rientra nella matrice.
Il cuore con il suo battito rimanda al suono universale, al centro ritmico pulsante della libido-sangue
E poi abbiamo ancora il ritmo delle nascite e delle morti (con maggior frequenza avvengono alle prime ore del mattino, fra le 3 e le 4)
Ma anche ogni movimento corporeo ( la camminata, la corsa, la danza...) ha un suo ritmo.
TUTTO E' RITMO
Si tratta del regolare succedersi di alcuni fenomeni fisiologici riscontrabile ai più differenti livelli di organizzazione della materia vivente, dalla singola cellula a un organo strutturalmente più complesso, agli esseri viventi intesi sia come singoli individui sia come popolazione.
Ritmi di secondi, di minuti, di ore, di giorni, di settimane, annuali:
- C'è un ritmo degli organi (respiro, cuore, peristalsi, secrezione ormonale,
ciclo mestruale...)
- Un ritmo dell'individuo (eloquio, canto, camminata, sessualità, ritmo sonno- veglia....)
- Un ritmo del mondo in cui viviamo (folla, mezzi pubblici, automobili, mentalità dominante...)
- Un ritmo della natura (stagioni)
-Un ritmo delle emozioni ( rabbia, tristezza, noia, innamoramento)
Tutti quanti si intersecano e si sovrappongono fra loro.
IL RITMO DEGLI ANIMALI E DELLE PIANTE.
I principali ritmi osservati nelle piante sono quelli giornalieri e stagionali: alcune piante dischiudono i loro fiori all'alba per chiuderli al tramonto.
Alcune alghe marine hanno un ritmo condizionato dalle maree.
Per i ritmi stagionali basta pensare alla caduta delle foglie in autunno.
Per quanto riguarda gli animali, certi insetti sono molto più attivi ad esempio al tramonto (ecco spiegato il motivo per cui i pipistrelli si mettono in moto a quell'ora).
Le migrazioni primaverili e autunnali degli uccelli, dei pesci, delle tartarughe sono in armonia con l'ambiente al fine di assicurare la sopravvivenza della specie.
In Africa la musica e il ritmo
hanno una fondamentale importanza nella fase diagnostica
della malattia: a ciascun Dio corrisponde una musica: per diagnosticare il Dio
responsabile della malattia, si fa udire all'ammalato una carrellata di musiche.
Il malato che non conosce il Dio che lo abita si metterà a danzare solo sentendo
suonare il ritmo corrispondente a questo Dio che lo abita...
E' come se il malato “conoscesse inconsciamente” ciò che lo affligge:
il suo corpo cioè conosce già il nome del Dio presente in lui.....
della malattia: a ciascun Dio corrisponde una musica: per diagnosticare il Dio
responsabile della malattia, si fa udire all'ammalato una carrellata di musiche.
Il malato che non conosce il Dio che lo abita si metterà a danzare solo sentendo
suonare il ritmo corrispondente a questo Dio che lo abita...
E' come se il malato “conoscesse inconsciamente” ciò che lo affligge:
il suo corpo cioè conosce già il nome del Dio presente in lui.....
IL RITMO E' VITA E SALUTE
Senza ritmo o fuori ritmo la vita scorre male La vita deve trovare un modo armonico
di scorrere.
Un seme, un germoglio, un fiore, un frutto possono maturare precocemente
o tardivamente, quindi non seguono il loro ritmo naturale.
E patiscono questo andamento.
Se non stiamo bene probabilmente significa che non siamo in ritmo, non viviamo
seguendo il nostro ritmo, non abbiamo il giusto “accordo”: allora dobbiamo
salire o scendere di ritmo.
Il ritmo non è presente solo in alcuni organi, ma in tutto il corpo.
Forse non ce ne accorgiamo ma, ad esempio, lo stomaco batte come il cuore e presenta
dei disturbi se non sta in ritmo. Se perde il ritmo può “impazzire”.
dei disturbi se non sta in ritmo. Se perde il ritmo può “impazzire”.
Ogni minuto si contrae tre volte: quando perde colpi e questo ritmo si altera la salute
ne risente.
ne risente.
La memoria dell'acqua
L'acqua compone in una percentuale del 95% l'uovo umano fecondato, e per il 70% il corpo umano, 70% è anche la percentuale dell'acqua che compone la Terra: l'uomo, quindi come microcosmo, si rispecchia nel pianeta visto come macrocosmo. La mancanza di acqua determina la morte, sia per l' uno che per l'altro.
Il corpo è come una spugna ed è composto da trilioni di cellule, che contengono acqua. La qualità della nostra vita è direttamente connessa alla qualità della nostra acqua.
Il corpo è come una spugna ed è composto da trilioni di cellule, che contengono acqua. La qualità della nostra vita è direttamente connessa alla qualità della nostra acqua.
L’acqua è una sostanza molto malleabile. La sua forma fisica si adatta facilmente a qualsiasi ambiente sia presente. Ma la sua apparenza fisica non è l’unica cosa che cambia; anche la sua forma molecolare cambia. L’energia o le vibrazioni dell’ambiente, modificheranno la forma molecolare dell’acqua. In questo senso l’acqua non ha solo l’abilità di riflettere esteriormente l’ambiente, ma anche di rifletterlo attraverso le proprie molecole.L’acqua, essendo materia, è caratterizzata da una specifica conformazione geometrica: si dispone infatti a tetraedro e quindi le sue molecole possono assumere varie forme che concorrono alla costruzione di strutture diverse di volta in volta.
Infatti, analizzando due fiocchi di neve al microscopio, risultano diversi uno dall’altro, e c’è anche di più: sciogliendo separatamente i due fiocchi e facendolo gelare nuovamente, si ri-ottengono gli stessi identici fiocchi. Questa è memoria, memoria dell’acqua. Infatti ogni molecola dell’acqua possiede un’identità geometrica originale ed inconfondibile, che la rende unica fra miliardi di miliardi di altre simili.
L’acqua porta quindi la memoria dell’elemento con il quale è entrata in contatto e lo fissa geometricamente nella sua memoria. E proprio da questo principio prendono il via molte discipline terapeutiche quali l’omeopatia, è per questo che si innesca il processo di guarigione con una diluizione altissima di acqua e veleno di api, ad esempio: ed è giustissimo dire che oramai non rimane nemmeno la traccia del veleno nel rimedio omeopatico finale. La traccia no, ma la memoria si.
Allo stesso modo l’acqua usata per lavare le cisterne delle navi che trasportano materiale radioattivo, per lavare il sangue dei macelli, l’acqua che filtra in un terreno pieni di diserbante o antiparassitari, anche se evapora e si condensa trasformandosi in pioggia a migliaia di chilometri più in là, conserva ancora la sua memoria .
Questo ci dovrebbe far comprendere molto anche in merito ai nostri rapporti sociali di tutti i giorni: quante volte ci siamo ammalati di fronte alle parole di qualcuno? Oppure dopo aver sentito una notizia angosciosa o triste che ci riguardava direttamente. Un altro esempio potrebbe essere la persona che si dice "Odio il mio corpo" , o quando addirittura ogni giorno qualcuno ci ripete quanto siamo inadeguati, incapaci, brutti o diversi, scatenando una reazione nella memoria dell’acqua del proprio organismo, che a lungo andare certamente peggiora la situazione.
Masaru Emoto dopo aver messo a punto la sua tecnica di
refrigerazione, cominciò ad esaminare e fotografare diversi tipi di acqua, come
l'acqua dell'acquedotto di diverse città del mondo, e quella proveniente da
sorgenti, laghi, paludi, ghiacciai. Quindi gli venne l'idea di esporre l'acqua
alle vibrazioni della musica, delle parole (pronunciate o anche soltanto
scritte sulle bottiglie dei campioni d'acqua) e persino dei pensieri.
I risultati dei suoi esperimenti mostrano,
che i cristalli d’acqua, così trattata, cambiano struttura a seconda dei
messaggi che ricevono.
L'acqua trattata con parole
"positive" forma
dei cristalli bellissimi,
simili a quelli della neve; l'acqua trattata con parole "negative"
invece, reagisce, creando forme amorfe e prive di armonia geometrica. Le
immagini dei cristalli sono talmente impressionanti che Masaru Emoto ha deciso
di renderle disponibili a tutte le persone interessate, attraverso la
pubblicazione di numerosi libri e attraverso conferenze che tiene in tutto il
mondo
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