giovedì 18 febbraio 2016
La civiltà dell'Isola di Pasqua non fu annientata dalla guerra
La tradizione vuole che prima dell'arrivo degli esploratori europei, nel 1700, gli abitanti dell'Isola di Pasqua, a corto di risorse, ingaggiarono una guerra civile che li ridusse allo stremo, portandoli al collasso.
L'ipotesi era suffragata dal ritrovamento, su tutta la superficie di Rapa Nui, di migliaia di punte in ossidiana ritenute, per il gran numero e l'aspetto tagliente, armi da combattimento.
Ma una più attenta analisi di questi strumenti (noti come mata'a) racconta una versione diversa dei fatti.
Carl Lipo, antropologo dell'Università di Binghamton (nello stato di New York, USA), ha condotto un'analisi morfometrica - ossia uno studio e una comparazione delle forme dal punto di vista quantitativo - di oltre 400 mata'a ritratti in alcune foto.
Osservando la varietà di forme dei frammenti di vetro vulcanico, nonché la differenza con le armi di altre civiltà, Lipo ha concluso che non si tratta affatto di strumenti di guerra.
«Le armi dovevano far bene il proprio lavoro - spiega - o si rischiava la vita. Per questo gli oggetti di guerra rinvenuti in Europa o altrove sono molto sistematici nella forma. Ogni utensile può essere usato come lancia, ma durante una guerra, le armi devono garantire certe prestazioni. E con un mata'a puoi ferire, ma non uccidere».
Se le osservazioni di Lipo fossero confermate sarebbe lecito pensare che quella sulla fine tragica della popolazione di Rapa Nui sia stata una deduzione basata su un'interpretazione a posteriori europea e non su prove archeologiche.
La forma e la distribuzione a tappeto dei mata'a fa piuttosto pensare si trattasse di oggetti di uso quotidiano, usati in agricoltura per la lavorazione delle piante, o in compiti rituali come tatuare la pelle.
Quelli che finora erano stati considerati i segni di una catastrofe erano, più probabilmente, tracce di una civiltà ancora produttiva, che sarebbe stata decimata dalle razzie e dalle malattie importate dagli europei.
Fonte: focus.it
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