Nessuno è mai riuscito a calcolare il prezzo di vite umane di quelle grandiose costruzioni dell'antichità che furono le piramidi d'Egitto. Si sa invece con sufficiente precisione quanti fellah, cioè proletari contadini egiziani, siano morti per fatica e malattia durante il taglio del Canale di Suez. Nel 1956, quando il canale venne nazionalizzato dall'Egitto, il Governo del Cairo rese nota la cifra, impressionante, di 120 mila vittime, il prezzo del progresso come lo si intendeva nell'Ottocento, quando i Paesi colonialisti poco si curavano delle perdite e delle sofferenze umane.
L'idea di un canale che congiungesse il Mediterraneo con il Mar Rosso non era nuova. Già i faraoni erano riusciti a collegare i due mari sfruttando i bracci del Nilo: un tortuoso corso d'acqua che rimase in funzione per oltre un millennio e mezzo, finché venne abbandonato alle sabbie del deserto. A riaprirlo per qualche tempo furono in seguito i soldati romani di Traiano, cui successero gli arabi del califfo Ibn el-Khattab nel settimo secolo dopo Cristo. Ma dopo il 1200 la zona venne conquistata dai Mamelucchi turchi, che non si curarono di difendere il canale. Questo rimase nuovamente interrato; e così lo trovarono i tecnici europei che, passata la prima metà dell'Ottocento, tornarono a occuparsi del problema.
In quell'epoca molti erano convinti che l'impresa fosse irrealizzabile perché, secondo le stime dei tecnici al seguito di Napoleone, fra il Mediterraneo e il Mar Rosso c'era una differenza di livello di nove metri. Fu facile dimostrare che i due mari erano alla stessa quota.
Passaggio per l'Oriente
Per cominciare la gigantesca opera bisognò attendere che si fosse almeno in parte sopita la rivalità tra Francia e Inghilterra, che erano, con la Germania, le maggiori potenze europee. Gli inglesi non volevano il canale e si battevano per una semplice ferrovia; inoltre ritenevano che lo sforzo si sarebbe risolto in un enorme sperpero di denaro, senza alcun successo pratico. Anche i turchi appoggiavano gli inglesi, in parte per ragioni tecniche, in parte perchè non volevano influenze francesi nella zona.
Ma Ferdinand Lesseps, che aveva iniziato la sua carriera come diplomatico, riuscì a far firmare un accordo. Parigi avrebbe fornito i tecnici, le macchine e i capitali necessari; l'Egitto avrebbe concesso la propria mano d'opera: quei fellah destinati a pagare molte volte con la vita il loro sforzo. I lavori andarono avanti fra tremende difficoltà: per 10 anni i progressi furono limitati. Nel 1865 un'epidemia di colera, portata dai pellegrini della Mecca, contribuì a decimare le file dei lavoratori, tanto che il Governo del Cairo ne sospese il reclutamento forzato. Gli egiziani vennero così rimpiazzati da italiani, slavi, spagnoli, greci, sempre con l'ostilità dichiarata della Gran Bretagna.
Per ultimare le opere bisognò attendere fino al 1869. In marzo fu abbattuto l'ultimo diaframma di terra e le acque del Mar Rosso si confusero con quelle del Mediterraneo. In novembre, il giorno 17, si ebbe finalmente l'inaugurazione ufficiale. Da Parigi arrivò l'imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, che non sapeva di dover abdicare appena un anno dopo, in seguito alla rovinosa guerra con la Germania. Al fianco del corteo di cammelli cavalcava un signore in cilindro, montato su un purosangue arabo. Era Lesseps, il trionfatore. Fu scomodato, come si sa, anche il sommo Giuseppe Verdi, che per l'apertura del canale compose l'Aida, rappresentata al Cairo con enorme successo.
In quel giorno di novembre fu dunque compiuta la più vasta e costosa impresa mai realizzata dall'uomo fino a quell'epoca. Le navi cominciarono a passare, dirigendosi verso l'Oriente
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