I luoghi ove il leader del nazismo trascorse la sua avventura alla guida dei "figli" del popolo ariano rappresentano una vera e propria cartina al tornasole del mondo della svastica, fino al drammatico epilogo.
Se i paradisiaci paesaggi del Berghof e della Kehlsteinhaus, nelle alpi bavaresi, fecero da contorno ai felici anni della gloria, il bunker della cancelleria, passando per il lugubre quartier generale di Rastenburg, accompagnò Adolf Hitler, ormai perennemente seppellito in quella sorta di sarcofago di cemento, nel suo appuntamento con la morte, il 30 aprile 1945.
Erano questi i luoghi del fuhrer, degne cornici per quelli che furono gli umori e le vicissitudini di un uomo che sembrava destinato, dall’alto del suo "nido dell’aquila", a dominare il mondo e che invece si vide sprofondare, con l’armata rossa ormai alle porte, all’interno di un’oscura e umida costruzione situata nelle viscere della terra.
Il Berghof
Situato nei dintorni di Berchtesgaden, precisamente nella zona di Obersalzberg, il Berghof fu la villa prediletta di Hitler, il luogo ove questi amava trascorrere i propri momenti di svago e di piacere; ristrutturato dietro precise indicazioni dello stesso Hitler, che non recise mai il suo legame con il mondo dell’arte e al quale si sentiva sempre profondamente legato, il Berghof, proprio per questo motivo, occupò sempre un posto speciale nel cuore del leader nazista; fu in questo meraviglioso luogo, immerso nella alpi bavaresi, che Hitler condivise la suo intimità con le sue donne, a partire dalla nipote Geli Raubal, fino ad arrivare ad Eva Braun, la quale filmò personalmente, con la sua telecamera, diversi momenti di normale vita quotidiana dell’uomo più potente della terra; fu proprio in questo chalet che si tennero delicati vertici politici, destinati a sconvolgere la vita dell’Europa, riunioni militari o più semplicemente raduni mondani e feste, coinvolgenti le personalità più importanti del III reich.
Il motivo di tanta passione era d’altronde facilmente intuibile in quanto il Berghof era realmente situato in una posizione invidiabile dalla quale, dall’enorme terrazzo o dalla finestra-vetrata posta all’estremità del salone interno, si poteva godere un panorama mozzafiato; proprio il grande salone era arredato lussuosamente con arazzi e quadri di valore; Hitler era inoltre in possesso di una testa bronzea di Wagner,scolpita dallo scultore Breker e di numerosi dischi del grande autore, riposti su mobili monumentali, ove facevano bella mostra vasi d’argento massiccio e servizi in porcellana di Dresda; nella parte più bassa del salone, cui si accedeva scendendo tre gradini, si poteva invece ammirare un camino bavarese in maiolica, mentre 5 grandi poltrone erano poste intorno ad un tavolo di cristallo; senza dimenticare i numerosi libri di astrologia, che il fuhrer leggeva ed interrogava, confermando gli oscuri legami del nazional-socialismo, con il tenebroso mondo dell’occulto.
Le stanze del fuhrer e di Eva Braun, divise da un lussuoso bagno, erano notevolmente più grandi e spaziose delle 14 riservate agli ospiti, situate nell’ultimo piano della villa e in cui campeggiava, onnipresente, il ritratto del leader nazista; tutti coloro che avevano l’onore di essere ricevuti al Berghof dovevano inoltre attenersi a rigide norme comportamentali, elencate su un foglio appositamente consegnato.
Proprio l’Obersalzberg sembrava candidato, con il grande reich ormai prossimo alla distruzione, ad ospitare Hitler ed il suo stato maggiore, per una resistenza estrema, ma questo progetto rimase senza seguito per il desiderio del fuhrer di rimanere a Berlino e lì morire.
Il Berghof venne poi bombardato il 25 aprile 1945 da trecento bombardieri inglesi e definitivamente spianato nel 1956; si voleva in questo modo impedire che quel posto da sogno, potesse in futuro divenire meta di nostalgici pellegrinaggi; scomparve in questa maniera il luogo più caro ad Hitler, il suo angolo di paradiso, posto nella magica cornice delle alpi bavaresi, la cui calma, la cui quiete non fu comunque in grado di impedire l’ emanazione di ordini destinati a tramutare in un incubo la vita di decine di migliaia di persone e a dare avvio ad una tragica spirale di morte e violenza.
Si può pertanto affermare che quella graziosa e piccola villetta, sperduta tra i monti, ebbe il carattere di assurgere, in numerosi occasioni, a vero e proprio centro del mondo, a luogo che vide sfilare in successione i più importanti e controversi personaggi del secolo appena trascorso, ad anima nera del fuhrer della grande Germania, che trovò linfa vitale, per i suoi macabri e perversi desideri, proprio in quel posto fatato.
La Kehlsteinhaus
Fu il famoso "nido dell’aquila", la residenza alpina più bella ma nel contempo meno amata da Hitler.
La Kehlsteinhaus era un rifugio che sovrastava il Berghof e il villaggio di Obersalzberg, posto a 1.834 metri di altezza, alle sommità del monte Kehlstein; fu regalata al fuhrer, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, da Martin Borman, che ne curò la costruzione tra il 1936 e il 1938.
Per Bormann la costruzione della nuova residenza alpina rappresentava l’ennesima occasione per mettersi in mostra agli occhi di Hitler e, come sempre, si prodigò per colpire e sorprendere il suo fuhrer, avvalendosi dell’organizzazione Todt e di centinaia di operai, sfruttati senza scrupoli e senza alcun riguardo.
Ciononostante, l’oscuro segretario, non prese in considerazione la morbosa attenzione di Hitler per le opere architettoniche e commise l’errore di non coinvolgerlo nell’elaborazione dei piani di costruzione; il risultato fu che Hitler snobbò palesemente la nuova residenza, visitata pertanto raramente, preferendo mantenersi legato all’amatissimo Berghof, cui la Kehlsteinhaus era collegata attraverso un’elaborata serie di camminamenti; essi ci sono descritti, insieme alla maestosità del rifugio, dall’ambasciatore francese François Poncet, il quale fu colui che denominò la Kehlsteinhaus come "nido dell’aquila", nome con cui quel luogo sarebbe poi entrato nella storia:
"La strada terminava all’ingresso di un tunnel che portava all’interno della montagna. L’ingresso era chiuso da due massicce porte di bronzo. Al termine del tunnel, da una sala rotonda, entrai in un ascensore spazioso e rivestito di lucidi pannelli di ottone. Arrivai in un edificio tozzo e massiccio dove c’era un portico con colonne romane ed accanto una sala con un’enorme vetrata semicircolare. Giganteschi tronchi di legno bruciavano nel grande camino e c’era un tavolo circolare con una trentina di sedie. La vista panoramica delle montagne assomigliava a quella visibile da un aereo. Lì in fondo giaceva Salisburgo che assomigliava ad un anfiteatro. Villaggi a perdita d’occhio corollavano l’orizzonte fra monti e boschi. La casa di Hitler mi dava l’impressione di essere un edificio costruito fra le nuvole".
Per giungere, da valle, al "nido dell’aquila", era necessario attraversare un tunnel di 124 metri, da cui si giungeva dinanzi all’ascensore, decorato con specchi, ottoni e sedili in pelle verde, che, dopo 139 metri di vertiginosa salita all’interno della montagna, portava direttamente all’interno del rifugio.
Nonostante il disinteresse di Hitler, la Kehlsteinhaus era realmente un luogo incantato, in grado di lasciare a bocca aperta qualunque visitatore; essa fu dunque un mero luogo di rappresentanza, sfruttato solamente in occasioni speciali, per suggestionare, con la sua maestosità, gli ospiti ed i diplomatici invitati a Berchtesgaden.
Per la costruzione del "nido dell’aquila" Bormann non lesinò alcuna spesa ed il lusso che caratterizzava quel luogo balzava immediatamente agli occhi, richiamando l’attenzione di qualunque visitatore: nel grande atrio ottagonale faceva bella mostra il camino di marmo verde regalato da Mussolini, mentre le ampie vetrate e le balconate lasciavano intravedere un paesaggio che si apriva su Salisburgo e Monaco.
A differenza del Berghof, il "nido dell’aquila" di Hitler, è stato risparmiato dalla distruzione ed ancora oggi può essere visitato, in tutta la sua maestosità, come macabro lascito dell’ oscuro mondo della svastica.
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