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martedì 4 giugno 2013

Il relitto della nave romana di Melita



 La nave romana di Mljet (Melita in italiano) fu scoperta nelle acque della Croazia nel 1987 da un gruppo di subacquei di Zagabria membri del Club Savia. 
Il relitto si trovava a 36/42 m di profondità presso punta Glava, nel mare di Mljet. Poiché il sito risultava essere in pessime condizioni di conservazione a causa dell’intervento di clandestini ed era anche difficile per la profondità e le condizioni di giacitura creare intorno ad esso un’idonea protezione, su autorizzazione del Ministero dei Beni Culturali della Croazia furono condotte quattro campagne di scavo d’emergenza, supervisionate dagli studiosi Marijan Orlìc e Mario Jurisìc. 

 Melita è la più meridionale delle isole croate, luogo di passaggio per le rotte di navigazione lungo il versante orientale del Mar Adriatico. Melita è situata davanti a Dubrovnik, è un’isola mediterranea con una ricca vegetazione, infatti dal 1960 ospita un meraviglioso parco nazionale ricco di piante tra cui i pini d’Aleppo ed il gelsomino. Esso comprende anche due baie chiamate Laghi (Piccolo e Grande) perché dalla loro conformazione appaiono chiusi, anche se in realtà sono comunicanti con il mare. Nella zona sud del lago Grande si trova l’isola di S. Maria, sulla quale nel XII sec. vennero costruiti un monastero e una chiesa.
 La Dalmazia fu una provincia romana, il cui nome deriva dai Delmati, tribù che risiedeva nell’Illyricum, la cui capitale era Delminium. 
Gli scontri dell’Impero Romano con questa regione, per la sua conquista, cominciarono nella seconda metà del III sec. d.C. ed ebbero fine con la completa pacificazione ad opera di Ottaviano nel 9 d.C., che portò alla divisione del territorio in Dalmazia e Pannonia.
 La Dalmazia fu una delle province più importanti e pacifiche fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Il relitto dopo essere stato documentato, è stato ricoperto con la sabbia in attesa di un intervento futuro volto al recupero dello scafo. 
Le ricerche hanno permesso di individuare e riconoscere lo scheletro ed il fasciame della nave. L’imbarcazione era stata costruita secondo la tecnica a mortase e tenoni, prestando molta attenzione nella scelta dei materiali impiegati per la sua costruzione. I madieri erano in legno di pino, i tenoni erano stati realizzati con il bosso verde, mentre le bigotte erano in legno d’olivo. Sono stati ritrovati alcuni elementi secondari che erano stati utilizzati per costruire la nave come i chiodi o le lamine di piombo che dovevano rivestire l’opera viva. 
La nave era lunga all’incirca 20 m e poteva trasportare più di 100 tonnellate di carico.
 Non si conoscono i fattori che ne causarono il naufragio, ma sappiamo in base ai reperti trovati sulla nave, che esso avvenne alla fine del I sec. d. C. In base alla posizione in cui sono stati ritrovati i reperti durante le ricerche, si è potuta ricostruire la loro collocazione all’interno della nave quando era ancora in viaggio. 
La parte della stiva più vicina alla prua conteneva vasellame, in particolar modo terrine unite a piatti con il fondo arrotondato e grandi piatti verniciati di rosso all’interno. Nella zona centrale della stiva si trovavano minerali e materiali di piombo semilavorati. Alcune giare contenevano dall’ossido di piombo, la cui polvere è di coloro rosso-arancione.

Inoltre sono state trovate tracce di carbonato di piombo dal quale si ricavava il bianco di piombo, questi colori venivano usati per dipingere ambienti di domus e oggetti vari, come ad esempio le statue, ma è anche possibile che fossero usati per dipingere anche le navi. 
 Sulla nave erano presenti anche residui di sulfuro di piombo, dal quale si ricavava piombo puro, il sulfuro di piombo veniva usato per la produzione di colori, ma anche di oggetti in piombo. Mentre la parte centrale della stiva della nave era occupata da materiali in piombo, lungo i bordi si trovavano le anfore Dressel 21 e 22, adibite al trasporto della frutta 
proveniente dalla Campania.

 Invece verso la poppa era sistemato vetro grezzo, infatti ne è stato trovato circa un quintale di color verde-azzurro. Esso probabilmente non era contenuto in recipienti, ma era sparso. I vari pezzi non hanno una forma bene precisa e il loro peso varia, anche se non supera i 2 kg. 
 Dagli studi effettuati sul vetro ritrovato è stato avanzata l’ipotesi che questo fosse stato prodotto in Palestina e poi inviato nelle varie officine vetrarie controllate dall’impero romano. 
 In epoca romana la sabbia del fiume Na’aman veniva usata per la fabbricazione di grandi blocchi di vetro grezzo, vetro che una volta giunto nelle officine, veniva fuso dagli artigiani per la produzione di oggi quali bottiglie, bicchieri, coppe, ma era usato anche per smaltare la ceramica. 
 Quindi il vetro presente sulla nave di Melita poteva essere facilmente destinato ad una seconda lavorazione per la produzione di oggetti vari e smalti, infatti sul relitto non sono stati ritrovati soltanto pezzi di vetro non lavorato, ma anche il minio, usato come fondente per realizzare smalti a base di piombo.

La dotazione di bordo era invece costituita da attrezzatura impiegata per la conservazione di viveri e per il loro consumo come bicchieri, anfore, brocche e recipienti vari; inoltre sono stati trovati anche oggetti riservati all’illuminazione come le lucerne o legati al commercio come l’asta della stadera. I reperti trovati fanno datare il naufragio della nave intorno alla fine del I sec. d.C., probabilmente i minerali e i materiali semilavorati in piombo provenivano dalla Dalmazia, dove è stata ritrovata una fabbrica di oggetti in piombo. Si presume che il carico minerario fosse imbarcato dai porti commerciali della Dalmazia come Salona o Narona per poi essere esportato in altri porti mediterranei dove veniva trasformato in prodotto finale.

Fonte : http://www.antika.it/

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