Chi fa per sé fa per tre: senza un raffinato lavoro delle piante non sopravviverebbe la vera meraviglia biologica del Sahara, il pio addax, che ha fatto voto di ritirarsi asceticamente nel deserto e non bere mai.
Gli addax sono robuste antilopi alte un metro al garrese, con mantello bianco-grigiastro e corna sottili nere.
procedono a piccoli gruppi di 5 a 15 capi, spostandosi nel deserto in continua ricerca di nuovi pascoli, costituiti dagli scarni ciuffi d'erba e in particolare di portulaca, intraprendendo anche lunghe migrazioni stagionali.
Per procedere abbastanza speditamente nella sabbia senza affondarvi hanno gli zoccoli piatti (simili a quelli delle renne, che hanno analoghi problemi per la neve)
Gli addax sono attivi soprattutto al mattino, alla sera e di notte, evitano cioè ,se possono, di muoversi sotto il sole a picco, preferendo le ore in cui l'irradiazione solare è meno violenta, come pure, quando spirano forte venti, sono soliti scavare delle fosse nella sabbia con le zampe anteriori stendendovici ad aspettare che passi. Un tempo gli addax erano molto più abbondanti nel Sahara: nell'antico Egitto, quando erano anche allevati allo stato semidomestico, fino a essere tenuti in stalle e foraggiati.
Ne resta la testimonianza in un'incisione rupestre che proclama come Sabu, sacerdote della VI dinastia ( 2323 a. C.), ne possedesse 1244.
Erano utilizzati come animali da tiro e uccisi prevalentemente in occasione di sacrifici alle divinità.
Il personale ad essi addetto aveva persino messo a punto un sistema per renderne innocue le aguzze corna, piegandogliele man mano con apposite pinze durante la crescita.
Quando smisero, già prima dell'era cristiana, d'essere allevati, gli addax non smisero però d'essere cacciati, e all'inizio del XX secolo erano completamente scomparsi dall'area egiziana, sterminati come già era avvenuto in Tunisia, nel 1885, come sarebbe avvenuto nel 1920 in Algeria, e poi in Libia.
Sono sopravvissute unicamente le popolazioni che occupavano i territori meridionali e meno accessibili del Sahara, il Tenerè, i grandi Erg, il Majabat, quelli del nord del Ciad.
Popolazioni che sopravvivono alla caccia anche perché non cadono nella trappola di esporsi raggiungendo inevitabili punti d'abbeverata.
Questo perché gli addax (ecco il punto del chi fa da sé fa per tre) possono stare settimane e mesi, e c'è chi dice una vita intera, senza bere, traendo l'acqua esclusivamente dalla spesso arida erba che mangiano.
Primato questo che in effetti gli addax condividono con gli orici dalle corna a sciabola, essi pure ridotti dalla caccia indiscriminata a sparuti drappelli nei lembi più meridionali del Sahara.
Sia chiaro: pure il ratto canguro ed altri roditori sahariani prosperano senza mai bere, anche quando mangiano cibo esso pure secco: il loro ridotto fabbisogno idrico è coperto sia dalla ridottissima quantità d'acqua contenuta nel loro cibo così com'è, sia da quella che esso cede ulteriormente per reazione chimica una volta che sia stato ossidato dai processi metabolici dell'organismo.
I roditori poi, sono piccoli e abituati a scavarsi tane profonde, dove le variazioni climatiche superficiali arrivano sì ,ma molto smorzate.
Ma questa è una possibilità preclusa ai grossi mammiferi, che per mantenere regolata la propria temperatura corporea durante la calura quotidiana debbono necessariamente trasudare sostanziali quantità d'acqua.
Quando la temperatura diurna sotto il sole raggiunge picchi come gli 84°C misurati a Wadi Halfa, un essere umano nel deserto può perdere oltre dieci litri di acqua in sudore, il ché prosciuga anche le riserve contenute nel plasma sanguigno (che per il 90% acqua), il sangue diviene troppo viscoso e non riesce più a circolare ovvero a mantenere la temperatura corporea a livello normale.
Anche le "navi del deserto", i dromedari, hanno gli stessi problemi, che il loro organismo mitiga limitando la traspirazione.
Nei lunghi percorsi, comunque, possono perdere anche un terzo del loro peso disidratandosi senza danno, riuscendo a recuperare abbastanza in fretta bevendo anche 150 litri d'acqua in una volta.
C'è inoltre, non secondaria, la componente dell'abbattimento dello stimolo della sete, fino ad arrivare o all'assurdo viaggio narrato da Thèodore Monod, i cui dromedari non bevvero per un mese lungo i 900 kilometri da Ouadane ad Araouane, ma alla fine del viaggio dovettero essere costretti a bere, quasi ne avessero perso l'abitudine come il ciuco della storiellina.
L'addax, allora, come fa a non bere? e come fa al tempo stesso a mantenere la propria temperatura senza perdere acqua? Ancora agli inizi degli anni Sessanta il fatto che addax e orice dalle corna a sciabola potessero stare mesi e mesi, addirittura indefinitamente, senza bere nel clima sahariano era ritenuta una storiella mantenuta in circolazione dalle popolazioni indigene e da cacciatori bianchi spacconi.
Poi nel 1964 le ricerche dirette di Taylor e Lyman della Università di Harvard, con questi risultati.
L'uovo di Colombo, si direbbe.
Quando la temperatura esterna si alza oltre quella corporea standard, che sarebbe attorno ai 35°C, l'organismo dell'orice e soprattutto quello dell'addax reagiscono prendendo la situazione "in contropiede", ed anziché spender acqua per mantenere la propria costante, la innalzano anche di 6/7 gradi di botto, portandola al di sopra di quella esterna: con 40°C ambientali l'orice si porta a 41,2° e l'addax a 42,1°.
Ovvero anzichè disperdere acqua per non assorbire calore, si mettono in condizione (è legge fisica termodinamica fondamentale) di disperdere calore.
Ma anche gli altri sahariani hanno i loro trucchi: le formiche sono argentee e le talpe sono dorate, così per le fugaci comparse in superficie la loro livrea respinge, riflettendola, una buona dose di radiazione solare: i ragni del deserto introducono il proprio sperma nell'addome della femmina chiuso in capsule, ed altrettanto fanno i scorpioni, perché l'incapsulatura impedisce che il seme si dissecchi nel passaggio fra i due corpi ed anche dopo: il gerboa, che pure si scava le tane a profondità fresche, dorme arrotolato su se stesso tenendo il naso contro il ventre, in modo che l'aria secca che ispira si mescoli prima all'umidità lasciata un pelo da quella espirata, umidità che viene recuperata.
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