martedì 12 marzo 2013
La rilegatura dei manoscritti nei monasteri medievali
I fascicoli, completati nel testo, nel disegno e nella correzione, venivano cuciti tra loro e poi tutti insieme, prima di essere assicurati alla “coperta”. Ma prima di questi passaggi, ci si preoccupava di dare indicazioni al rilegatore sulla successione corretta da seguire, poiché, trattandosi di un lavoro meccanico, c’era il rischio di confondersi. Per ovviare a questo problema (anche se spesso accadeva lo stesso) nacque la numerazione dei fascicoli, molto diversa da quella che utilizziamo tutt’oggi.
Il sistema più antico (VI-X secolo) consisteva nel numerare, con numeri romani, il verso (la seconda facciata) dell’ultima carta di ogni fascicolo, oppure, al posto dei numeri romani, veniva disegnato un segno, come un cerchio o una stella, in sequenza evolutiva. Talvolta, prima del numero romano si trovava una lettera, la Q che indicava il Quaternus.
Un altro sistema, consisteva nei cosiddetti “reclamantes” ovvero richiami. Queste erano sillabe o parole che venivano scritte sempre nel verso dell’ultima carta, in basso, come i numeri romani. Queste parole corrispondevano alle prime che si sarebbero trovate nella prima facciata (recto) del fascicolo successivo. Ad esempio, se il fascicolo successivo iniziava con la parola “PATER”, avremmo trovato sul verso dell’ultima carta la sillaba “PA” o la stessa parola “PATER”. Questo sistema, esistente già nell’XI secolo, diventa prevalente nel XIII secolo.
Per quanto il rilegatore, che non conosceva il testo, potesse fare attenzione alla successione dei fascicoli, se alcuni fogli si scombinavano all’interno del fascicolo stesso, non c’era modo di saperlo, per cui poteva accadere che nonostante l’ordine dei fascicoli venisse rispettato, la sequenza dei fogli, e quindi il testo, non lo fosse.
A questa esigenza, nel XIII secolo, si rispose con l’invenzione della “numerazione a registro”. Questa permetteva di rispettare rigorosamente la sequenza dei fogli in ogni fascicolo. Sul recto di ogni carta venivano scritte una lettera e un numero romano, la lettera indicava il fascicolo, il numero indicava il foglio, ad esempio: Primo fascicolo: A I; AII; A III; A IV; Secondo fascicolo: B I; B II; B III; B IV; ecc.. Questa è la numerazione a registro di un quaternione (fascicolo composto da quattro fogli inseriti l’uno nell’altro, quindi con otto pagine o carte) presente solo nelle prime quattro carte. Non era necessario numerare le restanti quattro perche erano tutte collegate tra loro.
Terminata la numerazione i fascicoli venivano cuciti, prima al centro di ogni piegatura, poi sovrapposti, l’uno con l’altro. Rilegati i fascicoli insieme si procedeva con la sistemazione della coperta, costituita da piatti in legno ricoperti spesso, ma non sempre da cuoio martellato. Questi erano molto più grandi dei fascicoli perché dovevano proteggerli dall’esterno e nel corso del tempo venivano spesso sostituiti, per cui è molto raro, se non impossibile, trovare un manoscritto che conservi la coperta originale. Gli angoli di questa venivano rinforzati da “cantonali” in ferro.
Al centro del piatto della coperta veniva fissata una borchia in ferro: questa serviva per evitare lo strofinio della stessa coperta contro le superfici degli armadi e delle casse in cui veniva conservato il manoscritto, in modo tale da preservare il più possibile il cuoio.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento