martedì 12 marzo 2013
HMS Pandora
Una storia affascinante quanto reale, una vicenda complessa quanto curiosa, tuttavia rappresentante la reale vicenda umana degli uomini che quegli episodi hanno vissuto. Il relitto dell’HMS Pandora rappresenta tutto questo ed è grazie all’attenta quanto approfondita indagine scientifica, prodotta da un gruppo di archeologi appassionati prima ancora che professionisti, che l’intreccio di queste vicende e la ricostruzione storica ha potuto avere luogo. Grazie anche ad un sito ‘vergine’ non ancora intaccato dalle talvolta funeste conseguenze di un saccheggio indiscriminato da parte di ‘appassionati’ della storia e dell’archeologia.
Il relitto dell’High Majesty Ship (HMS) Pandora, battente bandiera inglese, e appartenente alla flotta di Sua Maestà Britannica, ha acquisito un ruolo importante nell’immaginario pubblico grazie alla vicenda, ad esso legato, riguardante un altro veliero: l’HMS Bounty. Il Bounty e la storia dell’ammutinamento del suo equipaggio, comandato da Fletcher Christian sono particolarmente conosciuti anche grazie a varie opere divulgative, romanzi e produzioni cinematografiche.
Relativamente più sconosciuta è, al contrario, la storia riguardante le operazioni dell’HMS Pandora e del suo naufragio avvenuto il 29 agosto 1791.
A seguito dell’ammutinamento del Bounty, avvenuto l’anno prima, l’Ammiragliato Inglese inviò l’HMS Pandora comandata dal Capitano Edward Edwards alla ricerca dell’imbarcazione e degli ammutinati per riportarli in patria e sottoporli a giudizio L’HMS Pandora passò oltre quattro mesi alla ricerca del Bounty incrociando le acque del Sud Pacifico. Le operazioni di ricerca ebbero scarso successo e solo quattordici ammutinati vennero rintracciati, catturati ed rinchiusi in una cassa di legno nel ponte di poppa dell’HMS Pandora, in seguito denominata dagli stessi membri dell’equipaggio Vaso di Pandora. Seguendo le direttive dell’Ammiragliato, il Capitano Edwards issò le vele verso la madrepatria ma – il 29 agosto 1791 – in seguito ad avverse condizioni climatiche, venne a cozzare contro la Grande Barriera Corallina al largo dello stato del Queensland nel nord-est dell’Australia
Il relitto del HMS Pandora venne riscoperto nel 1977 a seguito di una ricerca metodologica basata su informazioni storiche e prodotta tramite un magnetometro trasportato da un aereo della Royal Australian Air Force (RAAF).
Nell’aprile 1979, l’archeologo subacqueo Graeme Henderson e il fotografo Patrick Baker – entrambi del Western Australian Maritime Museum (WAMM) – organizzarono un indagine conoscitiva del sito per verificare l’attribuzione e valutare il potenziale archeologico del sito. Alcuni elementi del timone vennero recuperati e spediti al laboratorio del WAMM di Fremantle per essere sottoposti a conservazione e indagine. Proprio grazie all’esame di questi elementi si raggiunse la definitiva attribuzione dei resti del relitto alla fregata HMS Pandora. Nella relazione di indagine Henderson sottolinea come il relitto dell’HMS Pandora abbia un significato straordinario, oltre che per le vicende inerenti la sua storia ‘privata’, anche per le notizie che fornisce relativamente al primo periodo di penetrazione coloniale britannica nell’emisfero australe
Sempre a seguito dell’indagine eseguita e grazie alla produzione di un foto mosaico da parte di Patrick Baker, l’archeologo subacqueo Graeme Henderson arrivò alla conclusione che il relitto fosse particolarmente intatto e che rappresentasse l’esempio meglio conservato di relitto appartenente al XVIII secolo presente in acque australiane.
Nel 1981 l’HMS Pandora venne protetto in base ai dettami dell’Historic Shipwreck Act 1976 e venne istituito un sistema di permessi per l’accesso alla zona protetta intorno al relitto. L’anno seguente, grazie alla nomina del direttore del Queensland Museum quale delegato alla gestione dell’Historic Shipwreck Act 1976, venne ufficialmente istituita la Maritime Archaeology Section.
A seguito di queste vicende, il museo entrò a svolgere una parte attiva nello sviluppo dell’indagine archeologica sul sito dell’HMS Pandora.
Dal 1979, anno della prima indagine archeologica nel sito, sono state prodotte altre stagioni di indagine e scavo che hanno permesso di ricostruire, seppur in parte, la storia del relitto e del suo tragitto tra le Isole Polinesiane (Thaiti). Gli scavi hanno inoltre fornito una quantità e qualità importantissima di dati scientifici, oltre al rinvenimento e recupero di interessanti manufatti.
In aggiunta agli scavi condotti sul relitto dell’HMS Pandora, l’archeologo Nigel Erskine – negli anni a cavallo tra II e III millennio – ha prodotto una serie di indagini nella Pitcairn Island, sede del rifugio degli ammutinati dell’HMS Bounty, dove sono stati identificati anche alcuni resti del relitto utilizzati dai sopravvissuti Esiste una discussione sulla futura possibilità di portare in superficie il relitto; l’interesse museale e archeologico dell’HMS Pandora tuttavia, risiedono particolarmente nel ‘contenuto’ del relitto piuttosto che nel ‘contenitore’, i manufatti e le storie da essi rivelati hanno contribuito, più di tutto, ad accrescere le conoscenze sulla vita a bordo e sulla navigazione nel XVIII secolo.
Un chiaro esempio di questa ‘potenzialità del contenuto’ è rappresentata dal rinvenimento di una serie di oggetti quali gusci di noci di cocco, gusci di ostriche da perla, attrezzi per la pesca e di mazze in legno di origine polinesiana. Questi ultimi manufatti, in particolare, sono indizio dell’abitudine dei marinai di ottenere oggetti di fattura ‘esotica’ da rivendere in patria a prezzi talvolta anche alti, nel mercato del collezionismo allora particolarmente dinamico in Europa.
A scoraggiare il recupero dell’HMS Pandora vi è inoltre la ragguardevole cifra di 50 milioni di dollari necessari per il recupero, la conservazione, la ristrutturazione del relitto e la costruzione di un edificio specifico per l’esposizione in ambiente controllato del relitto; tenuto conto inoltre che, gli scavi prodotti finora non hanno confermato né l’estensione né lo stato di conservazione dei resti dello scafo, non assicurando dunque la fattibilità e l’interesse di un eventuale esposizione museale. Tuttavia gli scavi prodotti fino ad oggi, limitati allo strato superficiale del relitto, hanno fornito una quantità impressionante di manufatti e informazioni, convalidando lo sforzo prodotto e stimolando la prosecuzione dell’indagine.
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