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sabato 6 ottobre 2012

L'acconciatura femminile nell'antica Roma

Nelle acconciature -come più in generale nella moda- dell'antica Roma è necessario analizzare separatamente l'età repubblicana e quella imperiale. Mentre la prima è caratterizzata ancora dalla severità della tradizione romana arcaica, la seconda, ricca degli agi e delle raffinatezze giunte dalla civiltà egizia, ellenica ed orientale, risulta più frivola, più sensibile alle mode e più rapida nei cambiamenti di costume.
L'influenza dei costumi ellenistici si fece sentire anche sulle pettinature femminili, come dimostra il successo della cosiddetta pettinatura a melone, assai diffusa nel mondo greco e riproposta a Roma con molteplici varianti, come è possibile notare attraverso i diversi ritratti femminili romani databili intorno al I secolo a.C.
Un'altra pettinatura femminile tradizionale di età repubblicana che le matrone romane portarono per lungo tempo anche nell'età imperiale è la pettinatura all'Ottavia, così chiamata per via di un ritratto rinvenuto a Velletri forse proprio di Ottavia, sorella di Augusto e moglie in seconde nozze di Marco Antonio. L'acconciatura si richiama ai severi modelli di età repubblicana
Anche Livia, moglie di Augusto, adotterà l'acconciatura all'Ottavia, caratterizzata dai capelli ondulati sulle tempie e dal nodus sulla fronte. Le acconciature delle donne della famiglia imperiale, attraverso la monetazione, i busti esposti nei luoghi pubblici e la ritrattistica, giunsero a dettar moda in ogni angolo dell'impero. Un'ulteriore evoluzione dell'acconciatura femminile è dato dalle ampie cornici di riccioli che iniziano a prendere posto nelle acconciature dell'elite a partire dall'età di Nerone (54-68 d.C.) per furoreggiare poi durante l'età flavia (69-96 d.C.). In epoca neroniana si ripropone la pettinatura all'Ottavia in numerose varianti, per esempio con due trecce laterali che si uniscono sulla nuca, legate da un'altra treccia più piccola, mentre sulla fronte e sui lati scendono i riccioli ad incorniciare il viso. Il busto qui sotto raffigurato, presumibilmente di Poppea Sabina, una delle mogli di Nerone, presenta diverse fasce di riccioli piatti di diverse dimensioni, due lunghi boccoli laterali ed un nodo di capelli sulla nuca. Le corone di riccioli richiedevano spesso l'utilizzo di toupet posti su più file che durante il regno di Domiziano (81-96 d.C.) divennero veri e propri diademi di boccoli di notevole altezza. La pettinatura caratterizzata da questi alti cuscini di riccioli venne chiamata alla Giulia di Tito.

Grazie all'evolversi delle mode e all'influsso ellenistico, pettinarsi divenne man mano un compito sempre più complesso, al punto da richiedere l'aiuto dell'ornatrix, un'acconciatrice formatasi nella professione all'interno della familia (e quindi una schiava) o presso la bottega di un maestro, dalla quale si recava presso la signora su appuntamento. I rapporti tra la signora e la sua acconciatrice spesso non erano dei più felici Le donne romane usavano per la bellezza dei propri capelli molti accorgimenti attuali ancora oggi. Chi lo desiderava poteva tingersi i capelli: le possibilità cromatiche erano molte. Dall'Egitto e dall'oriente giungeva l'henné rosso: foglie tritate di Lawsonia Inermis che donavano alla capigliatura un colore rosso variabile a seconda della base naturale dei capelli su cui veniva applicato. Tra i tanti metodi utilizzati nel corso dei secoli dalle donne per prendersi cura della propria chioma e ravvivarne il colore, l'henné rimane il più famoso e forse il più antico. Anche le donne egiziane lo utilizzavano per donare alla pelle, alle unghie e ai capelli un colorito rosso che, richiamando il fuoco, costituiva un raffinato strumento di seduzione. era inoltre una pianta apprezzata per le sue qualità antisettiche. Il colore belga, batavo o germanico (un biondo più o meno rossiccio) era molto richiesto dalle donne romane e spingeva le signore ad imitare le miscele bretoni e batave per modificare il colore della propria chioma. Per ottenere capelli color nero corvino si mescolava grasso di pecora e antimonio, per averli biondi si ricorreva alla pila mattiaca, chiamata così in quanto proveniva dalla città di Mattium, al sapo e alla spuma batava L'uso sconsiderato di queste sostanze tintorie provocava spesso una copiosa caduta di capelli cui era necessario ovviare attraverso l'utilizzo di parrucche. Esse erano fatte per lo più di capelli naturali, soprattutto di donne germaniche. Oltre che alle parrucche le donne romane ricorrevano anche a ciocche posticce che avevano il compito di completare l'acconciatura che veniva poi fermata con l'aiuto di retine, nastri e spilloni d'oro, d'argento, d'avorio, di osso...
A caratterizzare l'iconografia femminile del III secolo è l'acconciatura ad elmo, sfoggiata inizialmente da Plautilla, moglie di Caracalla (211-217 d-C-) e venuta definitivamente di moda dal 240 d.C L'acconciatura ad elmo sarà di moda, con numerose varianti, fino all'età di Costantino (306-337 d.C.) ma ad essa si affiancheranno, proprio come accade al giorno d'oggi, numerosi ritorni alle mode precedenti
In conclusione, qualsiasi fosse nella Roma antica lo status sociale della donna, la cura della propria bellezza, che includeva ovviamente anche la cura dei propri capelli ed il ricorso ad acconciature più o meno ricercate, era un'occupazione di notevole importanza. Le chiome, oltre ad essere acconciate, venivano anche profumate con essenze come nardo, mirto e spezie. Raramente si poteva vedere una "donna perbene" con i capelli sciolti. A questo proposito scrive sempre Ovidio: finché ti adorni, schiva sguardi indiscreti. O mostra al più le chiome ancora sciolte, se lucenti t'inondano le spalle (Ovidio, Ars Amatoria III, 361-364) e continua poi affermando l'importanza dei capelli come elemento imprescindibile della bellezza femminile: brutto a vedersi è un caprone scornato, brutto è un campo spogliato, senza fronde brutta una pianta: similmente è orribile una testa di donna priva di capelli 

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