Anzitutto vediamo chi erano i Suebi.
Quello dei Suebi (o Svevi) era un popolo di origine germanica proveniente dal Mar Baltico, il “Suebicum mare” dei romani.
Una definizione accettata, ma molto semplicistica però, sicché, come scriveva il coevo storico romano Publio Cornelio Tacito nella sua opera etnografica dal titolo “De origine et situ Germanorum”, più conosciuta semplicemente come “Germania”, dei Suebi non esisteva un solo popolo con un’unica origine, ma numerose e sparse tribù nella cosiddetta Germania Magna, una vasta area a est dell’antica provincia romana della Germania.
Proprio in “Germania”, parlando dei Suebi, Tacito citava il curioso nodo ai capelli in uso tra queste genti: “È segno distintivo di questa gente ravviare lateralmente i capelli e fermarli con un nodo: in questo modo gli Svevi si differenziano dagli altri Germani e, al loro interno, distinguono gli uomini liberi dagli schiavi […] fino alla vecchiaia si tirano all’indietro le ispide chiome e spesso le legano soltanto in cima al capo. I nobili vi aggiungono qualche ornamento: è un modo per curare, senza malizia, la loro immagine fisica; e non lo fanno per essere più attraenti, ma per sembrare ancora più imponenti e terribili agli occhi dei nemici, quando vanno in guerra”.
Il vecchio Tacito ci parla di un’autentica moda di duemila anni fa.
Approfondiamo, dunque, l’argomento.
Il Nodo suebo – chiamato in tedesco “suebenknoten” – in voga tra i Suebi, questo variegato popolo di guerrieri germani, consisteva nel dividere i capelli, spesso lunghi, in due ciocche e portarli su un lato del capo per poi fissarli con un nodo, stretto e stabile.
L’uso del Nodo non era dovuto a fattori legati alla vanità o comunque soltanto guidato dalla comodità che comportava, evitando ai guerrieri suebi fastidiosi capelli dinanzi gli occhi durante le cruenti battaglie, ma probabilmente fu scelto anche per il fatto che questa pettinatura rendeva i Suebi più alti, più ieratici e, in qualche maniera, anche più minacciosi di fronte al nemico.
Specifica di fatti Tacito: “La loro attenzione a farsi belli è tutta qui, ma innocente; non si ornano infatti per amare o farsi amare, bensì per accrescere l’imponenza e incutere timore agli occhi del nemico, quando vanno alla guerra”.
Come sosteneva lo storico romano, poi, il Nodo serviva anche a distinguersi tra classi sociali: la tipica pettinatura poteva essere portata soltanto dai guerrieri e dai nobili, mai dagli schiavi o dagli stranieri.
L’esempio migliore di Nodo suebo arrivato ai giorni nostri è quello rinvenuto nel 1948 in una torbiera di Osterby, cittadina del nord della Germania, regione dello Schleswig-Holstein, a una settantina di chilometri dal confine con la Danimarca.
Quello conosciuto come “Osterby Man” è un cranio perfettamente conservato caratterizzato da una lucente chioma rossiccia (probabilmente divenuta così a causa degli acidi sprigionati in quasi due millenni di riposo) bloccata da un impeccabile Nodo suebo.
Lo straordinario rinvenimento, il principale esemplare delle cosiddette mummie di palude, è datato tra il 75 e il 130 d.C. e oggi è conservato nelle sale del museo archeologico del castello di Gottorf, una vecchia residenza degli Oldenburg, a Schleswig.
Per ricordare la scoperta, nel suo cinquantesimo anniversario, nel 1998 la cittadina di Osterby ha inserito una rappresentazione argentata del Nodo suebo nella parte inferiore del suo stemma comunale.
Un altro Nodo suebo eccellentemente conservato è stato scoperto pochi anni dopo, nel 1959, a Dätgen, poco più di quaranta chilometri a sud di Osterby, sempre nello Schleswig-Holstein.
In questo caso, differentemente dal primo rinvenimento, oltre al cranio è stato trovato anche l’intero corpo del cadavere che ha permesso di stabilire la dinamica della morte del suebo: l’uomo, conosciuto come “Dätgen Man”, è stato prima accoltellato, poi decapitato e infine gettato in una fossa per quasi duemila anni.
Anche questa scoperta è oggi esposta al museo archeologico di Schleswig.
Oltre che sui teschi di questi eccezionali rinvenimenti archeologici, il Nodo suebo è raffigurato su moltissimi monumenti e sculture. Citiamo una statuetta di bronzo conservata al museo romano di Vienna, una maschera di terracotta in mostra al British Museum di Londra, una statuetta germanica esposta al Rheinische Landesmuseum, il museo archeologico di Treviri.
Anche l’Italia ha le sue rappresentazioni di Nodo suebo: alcuni guerrieri con la tipica acconciatura sono identificabili sul Sarcofago di Portonaccio, un sarcofago romano di marmo, alto più di un metro e mezzo, scoperto negli anni trenta del Novecento e riconducibile al 180 circa.
Con tutta probabilità si tratterebbe della tomba di un generale caduto nel corso delle guerre marcomanniche, il lungo periodo di conflitto tra i romani e i popoli germano-sarmatici dell’Europa continentale (166-189).
Il Sarcofago di Portonaccio è conservato a Palazzo Massimo alle Terme, la principale delle sedi del Museo nazionale romano.
Altri nodi suebi “italiani”, infine, sono visibili sui rilievi raffiguranti alcuni principi germanici sulla Colonna Traiana, sempre a Roma, su cui è rappresentata la conquista romana della Dacia (101-106), e su un rilievo dell’anfiteatro romano di Pozzuoli.
Fonte: vanillamagazine
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