Basta citare solo tre (tra molte) delle importanti famiglie che la dominarono, per comprendere quanta storia, e quante storie, si potrebbero raccontare intorno a Gradara: Malatesta, Sforza, Della Rovere.
E’ lì Gradara, abbarbicata su una collina proprio là dove finisce l’Appennino e già si respira aria di mare, placida e accogliente, in un territorio oggi al confine tra Romagna e Marche, che nel corso dei secoli ha visto aspre battaglie e lotte sanguinose, per quella sua posizione strategica che faceva gola a tutti quelli (varie famiglie nobili e anche lo Stato Pontificio) che volevano dominare la regione storica del Montefeltro.
Oggi come oggi, Gradara fa parte dell’associazione I Borghi più belli d’Italia, nata per valorizzare i tanti piccoli paesi che rischiano di morire per il progressivo spopolamento.
Per parlare del grande fascino di Gradara non si può che partire dalla suo Castello, un borgo medioevale protetto dalla Rocca e da due cinta di mura che si sviluppano per 800 metri.
Costruito all’incirca nel 1150 dalla famiglia De Griffo, il Castello di Gradara passa presto nelle mani dei Malatesta, signori di Rimini, Cesena e Pesaro. Sono proprio loro a fortificare il borgo con due cinte murarie, che sembrano però insufficienti a contrastare l’assedio posto da Francesco Sforza nel 1446.
Un po’ di ragione l’aveva lo Sforza, vista la consistente cifra (20.000 fiorini d’oro) pagata a Galeazzo Malatesta, conosciuto come “l’inetto”, che si era venduto i suoi domini pesaresi.
Peccato che Sigismondo Malatesta, grandissimo condottiero e patrono delle arti, non ci pensi neanche a cedere Gradara, e per soprammercato non vuole nemmeno restituire la cifra sborsata da Francesco Sforza.
In quell’occasione ha la meglio il Malatesta, grazie a un tempo inclemente per gli assedianti ed anche all’arrivo di rinforzi.
Nel 1463 però Sigismondo è costretto a cedere all’assedio di Federico da Montefeltro, in missione per conto del Papa, che poi la affida in vicaria alla famiglia Sforza di Pesaro.
La travagliata storia di Gradara non finisce lì, perché poi se la contendono, sempre per la sua posizione cruciale al confine tra diverse dominii, altre importanti famiglie: i Della Rovere, i Borgia, i Medici.
Alla fine, nel 1641, ad avere la meglio è lo Stato Pontificio, che nel corso dei secoli trascurerà quel luogo così conteso, fino a farlo cadere in rovina.
Nel 1920 è un privato, Umberto Zanvettori, che acquista la Rocca e si preoccupa dei restauri, per poi venderla, nel 1928, allo Stato italiano.
Visitare Gradara significa dunque attraversare secoli di storia, immaginare aspre battaglie e lunghi assedi, vedere con gli occhi della mente soldati combattere dalle mura merlate, assalti al ponte levatoio, truppe radunate nel cortile e dame che vivono contrastati amori nel castello.
Perché forse, più che per tutte le vicende militari, Gradara è famosa per la tragica storia d’amore tra Paolo e Francesca, narrata da Dante Alighieri nel V canto dell’Inferno della Divina Commedia.
Paolo e Francesca, che grazie a Dante sono diventati il simbolo dell’amore eterno che perdura oltre la morte, sono due personaggi storici: Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, vissuti alla fine del 1200.
Sono gli anni turbolenti nei quali potenti famiglie lottano per governare le loro città.
A Ravenna c’è Guido Minore da Polenta, che riesce a cacciare i rivali Traversari grazie all’aiuto dei Malatesta di Rimini.
Per cementare l’alleanza, Guido fa sposare la figlia Francesca con Giovanni Malatesta (detto Gianciotto), brutto, zoppo e, pare, di animo crudele.
Per non rischiare un eventuale rifiuto da parte della ragazza, le due famiglie organizzano un matrimonio per procura: non si presenta alle nozze Gianciotto, ma il fratello Paolo, bello e gentile.
Non è ben chiaro se Francesca sia stata ingannata o se in realtà sapesse che Paolo non era lo sposo, ma comunque sia, si ritrova come marito Giovanni.
Mentre il consorte vive a Pesaro, la giovane sposa rimane a Gradara con i due figli, che nel frattempo sono nati.
Nel castello però spesso arriva il bel Paolo, e i due cognati si ritrovano innamorati, complice la lettura della storia di Lancillotto e Ginevra.
Un giorno li sorprende Gianciotto, che vendica il tradimento subito trafiggendo tutti e due con la sua spada.
Dante è talmente commosso da questa storia d’amore, tanto peccaminosa quanto sventurata, da metterli sì all’Inferno, ma abbracciati per sempre (un privilegio concesso solo a loro) a volare leggeri nella “bufera infernal”.
Fonte: vanillamagazine
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