martedì 26 aprile 2016
Il mito della caverna del filosofo greco Platone (V sec. a.C.)
Dentro una caverna buia e fredda sono incatenati dei prigionieri. Sono incatenati in modo così stretto che non possono girarsi e neppure muovere la testa e quindi non riescono nemmeno a guardarsi tra loro.
Alle loro spalle c’è un muro.
Loro non lo vedono, ma c’è. E dietro il muro passano delle persone tenendo in alto delle statue, facendole sporgere al di sopra del muro, che però copre i portatori.
Ancora più in là, oltre il muro e i portatori, arde un grandissimo fuoco.
I prigionieri sono incatenati lì fin da piccoli e, per quello che ne sanno, il mondo è tutto lì.
Sanno di non essere soli perché sentono le voci di altre persone, con cui parlano, ma non le vedono e quindi non sanno come sono fatte.
Vedono però altro: vedono le sagome degli oggetti portati alle loro spalle, oltre il muro, perché il grande fuoco ne proietta le ombre. Vivono quindi in uno spaventoso mondo di finzione, in una specie di grande teatro delle ombre, ma da cui non possono uscire, e non sanno nemmeno che si tratta solo di un teatro.
Credono che sia il mondo. E, credendo che sia il mondo, la processione di ombre occupa tutti i loro discorsi.
Quelli che vedono meglio nel buio passano per acuti e intelligenti, perché colgono più dettagli nelle ombre, e magari sembrano capire che la processione ha un suo ordine e una sua logica.
Ma un giorno a uno dei prigionieri vengono sciolte le catene. Viene costretto a guardarsi attorno.
Che cosa vede?
Vede i suoi compagni, ancora incatenati; poi vede il muro e gli oggetti che vengono trasportati al di sopra di esso; poi vede il fuoco, la cui luce basta probabilmente ad accecarlo, visto che i suoi occhi si erano abituati a una tenebra che sembrava non finire mai. Ma non basta.
A un certo punto, l’uomo liberato viene condotto fuori dalla caverna.
La luce lo frastorna, ne rimane abbagliato.
Ma pian piano i suoi occhi si abituano e inizia a vedere per davvero.
Vede per esempio un cane, mentre lui, nella sua vita sotterranea, prima che venisse liberato, aveva visto solo l’ombra della statua di un cane. Ora vede un cane vero e proprio. E così vede ogni cosa finalmente nel suo vero aspetto.
E conosce la vera luce, quella del sole.
In un primo momento, l’uomo liberato soffre.
Soffre perché è confuso, non capisce più che cosa sia vero e che cosa sia falso, soffre perché è accecato dalla luce, soffre perché capisce di essersi ingannato per tanto tempo.
Una volta abituatosi alla luce, però, si sente meglio e più consapevole.
Pensando ai suoi vecchi compagni, ne ha pena, e considera ridicolo il mondo in cui credono di vivere, e le lodi che attribuivano a chi di loro scorgeva più dettagli nelle ombre e credeva di intuire una logica nella processione delle ombre.
Forse ride di loro, ma è un riso amaro, perché gli fanno pena. Decide quindi di ritornare nelle tenebre della caverna per cercare di liberarli o almeno di spiegare loro come stanno le cose.
Certo preferirebbe starsene all’aria aperta e non affrontare quelle tenebre paurose e quei brutti ricordi, ma sente di doverlo fare.
Ora i suoi occhi, abituati alla luce, non sono più una guida sicura nell’oscurità.
Arrivato nella sua vecchia prigione, i suoi occhi, deboli, non gli permettono nemmeno di scorgere le ombre.
Racconta ai suoi compagni la verità e cerca di liberarli, ma questi, notando quanto poco sa delle ombre, che per loro sono l’unica verità, non gli danno retta, e lo considerano un folle. E la storia del mondo di sopra sembra loro pazzesca e assurda.
Probabilmente la verità li turba, e odiano il loro compagno.
Alcuni lo uccidono, ansiosi di dimenticare le sue parole e di rimanere nel loro mondo di ignoranza.
Cosa vuole suggerire Platone con il mito della caverna?
Una delle interpretazioni più note paragona il mito della caverna di Platone alle vicende di Socrate. Il filosofo ateniese riuscì a risalire la strada verso la verità ma venne ucciso per aver tentato di portarla agli uomini, che hanno preferito rimanere incatenati alle loro certezze.
La luce del sole potrebbe rappresentare il ‘bene’ o il ‘divino’ come oggetto di ricerca dell’umanità.
Per un filosofo potrebbe essere difficile tornare alla realtà dopo aver scorto ciò che va oltre.
Il mito della caverna rispecchia ciò che succede nella realtà di oggi.
Ad esempio ecco l’ipotesi che le ombre degli oggetti proiettate sul muro della caverna possano essere paragonate alle immagini della televisione e che i prigionieri siano dunque degli esseri umani ormai dipendenti da esse.
Cosa ne pensate?
Guardare dei programmi televisivi può allontanarci dalla realtà?
A nostro parere è necessario distinguere tra la possibilità di guardare la Tv come svago e la vera e propria dipendenza che può causare apatia.
Uno strumento come il televisore non è di per sé né positivo né negativo, dato che tutto dipende da come lo si utilizza e da quali trasmissioni scegliamo di guardare o da quanto tempo trascorriamo davanti ad esso.
Guardare la televisione (o passare davvero troppo tempo su internet) diventa un modo per distaccarci dalla realtà e per accantonare i nostri problemi?
Ecco, in questo caso forse dovremmo ripensare alle nostre abitudini, evitare di anestetizzarci di fronte ad uno schermo e piuttosto provare a guardarci dentro e sfruttare il tempo che abbiamo a disposizione per trovare una soluzione a ciò che ci affligge.
Fonti:
greenme.it
centrostudiricerche.wordpress.com
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento