Economisti premi Nobel che hanno definito L'euro come fallimento, massacro o altri epiteti tutt’altro che positivi.
Ognuno con la propria impostazione, ma tutti accomunati da un’idea:
l’Euro non funziona.
James Mirrlees: è un economista scozzese, premio Nobel per l'economia nel 1996
l’Italia starebbe meglio fuori dall’Euro Affernazione di pochi giorni fa, in occasione dell’evento Nobels Colloquia organizzato dall’Università Cà Foscari di Venezia
Guardando dal di fuori, dico che non dovreste stare nell’euro, ma uscirne adesso. Se l’Italia dovesse uscire dall’euro alcuni grossi problemi continuerebbero ad esistere, perché la Germania continua a mantenere i livelli dei prezzi troppo bassi. E, se la Germania continuerà questo atteggiamento, cosa che non intende cambiare, anche per l’Italia continuerebbero le difficoltà di oggi.
Paul Krugman: è un economista e saggista statunitense premio Nobel per l'economia 2008
Afferma un totale disastro In un’intervista sul settimanale francese Express nel 2012, aggiungendo “un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica.
Ma una volta abbandonate le valute nazionali avete perso moltissimo in flessibilità.”
L’Europa, infatti, a differenza degli Stati Uniti è assolutamente poco flessibile: “Florida e Spagna hanno avuto una stessa bolla immobiliare e uno stesso crollo.
Ma la popolazione della Florida ha potuto cercare lavoro in altri stati meno colpiti dalla crisi.
Ovunque l’assistenza sociale, le assicurazioni mediche, le spese federali e le garanzie bancarie nazionali sono di competenza di Washington, mentre in Europa non è così
” In un’altra occasione, in un post sul suo blog, Krugman scrive invece: “Anche se il progetto si è rivelato un totale disastro, continueranno a dire che non è stato l’Euro a far fallire l’Europa, ma l’Europa a far fallire l’Euro“.
Milton Friedman: è stato un economista statunitense, premio Nobel per l'economia nel 1976.
Esponente principale della scuola di Chicago. Il suo pensiero ed i suoi studi hanno influenzato molte teorie economiche, soprattutto in campo monetario.
Fondatore del pensiero monetarista, l’Euro è delle élite In un’intervista al Corriere della Sera del 1998 definiva l’Euro come un progetto “elitario, antidemocratico e dirigista“.
L’unione monetaria ridurrà la libertà di mercato, inoltre diceva Friedman, quest’unione “c’è già ed è quella esistente tra Germania, Austria e Paesi del Benelux”.
L’Unione monetaria è il prodotto di una élite.
È il frutto di una impostazione non realistica, di una spinta elitaria di chi vuole usare la moneta unica per arrivare all’unione politica. Pensiamo davvero che Kohl oggi e Mitterrand in passato siano stati sostenuti da un desiderio di unita’ economica? No, il loro obiettivo primario era politico, mettere assieme Francia e Germania per evitare guerre future.
Gli Stati Uniti d’Europa sono una componente essenziale del progetto monetario. Alla domanda “pensa che sarà un fallimento?“, la risposta di Friedman suona oggi come una premonizione: Spero di sbagliarmi, perché un’Europa di successo è nell’interesse sia degli europei che degli americani. Ma non vedo la flessibilità dell’economia e dei salari e l’omogeneità necessaria tra i diversi Paesi perché sia un successo.
Se l’Europa sarà fortunata e per un lungo periodo non subirà shock esterni, se sarà fortunata e i cittadini si adatteranno alla nuova realtà, se sarà fortunata e l’economia diventerà flessibile e deregolata, allora tra 15 o 20 anni raccoglieremo i frutti dati dalla benedizione di un fatto positivo.
Altrimenti sarà una fonte di guai.
Joseph Eugene Stiglitz economista e saggista statunitense
PremioNobel per l'economia 2001.
Alla domanda senza euro sarebbe la fine del mondo?
In un’intervista per la rivista Francese Le Nouvel Observateur Stiglitz spiegava perché, dopotutto, la fine dell’Euro non sarebbe la fine del mondo:
Tornare al vecchio conio, non sarà poi così male tornare alle vostre vecchie monete.
Le unioni monetarie spesso durano poco tempo. …Ne conseguirebbe un periodo molto difficile, ma la fine dell’euro non sarebbe la fine del mondo.
In un altro suo contributo su Project Syndicate in cui parlava dell’esito delle elezioni in Italia, il Nobel parla dell’Euro come un progetto scarsamente democratico:
Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso.
Amartya Kumar Sen economista indiano, premio Nobel per l'economia nel 1998.
Professor presso la Harvard University: che idea orribile l’Euro In un’intervista a MicroMega de la Repubblica, spiegava: “l’euro è stato un’idea orribile” che ha avuto conseguenze negative su tutti i paesi, la peggiore, lo penso da tempo.
Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme.
Hanno un effetto-rottura invece che di legame.
Le tensioni che si sono create sono l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Europa.
Chi scrisse il Manifesto di Ventotene combatteva per l’unità dell’Europa, con alla base un’equità sociale condivisa, non una moneta unica. Euro sì, no, cosa? L’Euro, così per come lo conosciamo, è stato un vero e proprio insuccesso.
Tra l’opposizione pro e contro moneta unica, infatti, c’è un principio comune a tutti: la moneta unica non sta funzionando secondo quanto era stato previsto.
Un’unione monetaria non supportata da una struttura unitaria a livello fiscale, economico e politico ha generato le tanto problematiche questioni che oggi si cerca, almeno in teoria, di appianare.
Uscire? Restare? Cosa dovremmo fare? L’argomento è intricato e talvolta complesso: se da una parte c’è chi invoca il ritorno ad una moneta nazionale, dall’altro c’è chi sostiene che un’eventualità di questo tipo ci porterebbe alla rovina più totale.
Se davvero dovessimo lasciare l’Euro come funzionerebbe un ritorno alla Lira?
Uscire dall’Euro e tornare alla lira comporterebbe rischi enormi, eppure esiste il modo di studiare un percorso che nonostante l’uscita dall’euro continui a sostenere l’economia del nostro paese. Ma nel 2014 c’è il rischio (o la possibilità) che qualche paese decida di lasciare l’Euro e si concretizzi così la tanto discussa “fine dell’Euro“?!
Giulio Sapelli : è uno storico ed economista italiano.
Andiamo Incontro all’Icerberg – L’Euro è una Pazzia’
“The economists’ warning”, ha pubblicato lo scorso 23 settembre sul Financial Times, è un appello firmato molti economisti di fama internazionale che ammonisce l’Europa dal perseguire la strada che sta imboccando.
Nella lettera aperta viene sottolineata l’eventualità sempre più plausibile della deflagrazione della moneta unica e del conseguente tracollo dell’Unione Europea, con il conseguente rischio di veder prendere maggiore forza agli irrazionalismi politici sullo stile della Germania anni ’20.
L’economia è costantemente al centro del dibattito storico e sociale contemporaneo. Alcuni parlerebbero di struttura sulla cui immagine si innesta l’architrave della società, altri di mostro carnefice degli aspetti letterari della vita, ma il fatto in sé rimane lo stesso.
Pertanto non è affatto infrequente leggere o sentire moniti e pareri di economisti o enti economici, ma per lo più si perdono nel fragore del dibattito politico televisivo o in uno degli infiniti rivoli delle vie di comunicazione.
Gli unici messaggi che riescono a scalfire il velo dell’indifferenza dei più e a fare breccia tra il blocco compatto delle più disparate notizie sono quelli particolarmente accesi, intelligenti e comprensibili.
“Il monito degli economisti”, o “The economists’ warning”, pare che raccolga in sé tutte e tre le definizioni.
Promosso dagli economisti italiani:
Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo, il monito presenta un quadro chiaro ed abbastanza esaustivo dell’attuale situazione economica in Europa.
Oltre ai due italiani hanno sottoscritto la carta anche: Dani Rodrik, Wendy Carlin Mauro Gallegati.
“L’esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo”, conclude lapidaria l’epistola, ma analizziamo un po’ più dettagliatamente il suo contenuto dal principio.
L’incipit del monito prende spunto dai dati sulla disoccupazione nell’Europa mediterranea, e sul previsto peggioramento di tale tendenza, paragonato alla crescita dell’occupazione in Germania e negli altri Paesi centrali.
E questa disparità, oltre che a mostrare un’odiosa disuguaglianza inter – dicitur – pares, sembrerebbe destinata a diventare sempre più netta dopo ogni incontro dei vertici europei.
Dopo la pessima idea dell’”austerità espansiva”, su cui persino il numero uno dell’Fmi Blanchard ha dovuto ritrattare, ora nei palazzi dell’Ue imperversa la nuova velleità ingegneristica delle cosiddette “riforme strutturali”, volte ad eliminare quei fattori che ostacolano la ripresa per sostituirli con pezzi di ricambio all’altezza delle aspettative.
“Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire quindi una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l’estero.
Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l’unità europea” - questo è quanto dicono gli economisti –, cosa che richiederebbe una coordinazione solidale sovranazionale che dia nuovo slancio agli investimenti pubblici e privati.
Senza una politica del genere si rischia inoltre di foraggiare e persino incentivare le ondate di irrazionalismo neofascista che stanno fiorendo in Grecia, Norvegia e Ungheria, nonché di alimentare il sempre più condiviso euroscetticismo (che per fortuna non sempre si declina nel neofascismo).
Così come suggeriva Keynes nel 1919 dopo il Trattato di Versailles, anche “The economists’ warning” pone l’accento sulla necessità di politiche integrative e di recupero nei confronti dei Paesi in difficoltà, sconsigliando vivamente qualsiasi forma di ghettizzazione o, che è quasi lo stesso, di sfruttamento per far mantenere lo status quo alle economie più ricche.
L’auspicio di chi ha sottoscritto il documento è che le loro parole non finiscano nel dimenticatoio dei moniti inutili, come spesso è accaduto, ma possa dare una nuova propulsione al dibattito accademico e istituzionale… a pena della deflagrazione dell’Eurozona e del progetto europeo così come lo si era pensato.
ECONOMISTI CONTRO L'EURO
Jacques Sapir, economista francese di fama mondiale.
Sir Christopher Pissarides, premio Nobel per l’economia nel 2010.
Hans-Olaf Henkel politico.tedesco E 'stato direttore a IBM , presidente del BDI e Presidente della Associazione Leibniz Professore di Management Internazionale all’Università di Mannheim, già presidente della Confindustria tedesca
Stefan Kawalec polacco Amministratore delegato di Capital Strategy, una società polacca di consulenza strategica.
Jens Nordvig – danese Managing director di Nomura, la banca di investimento globale, dove dirige la Fixed Income Research, ed è capo delle strategie valutarie globali. I
Ernest Pytlarczyk – polacco Economista capo alla Banca BRE (sussidiaria della Commerzbank, e terza banca commerciale della Polonia),
Jean-Jacques Rosa – francese Professore Emerito di Economia e Finanza all’Institut d’Etudes Politiques (Parigi).
Juan Francisco Martín Seco – spagnolo Docente universitario di Introduzione all’economia, Teoria della Popolazione, e Finanza pubblica. Appartiene all’ordine dei Revisori dei conti (Ministero delle Finanze spagnolo
Alfred Steinherr – tedesco Professore presso la facoltà di Economia e Management della Libera Università di Bolzano, della quale è stato fondatore (1998-2003). In precedenza, economista e direttore generale del dipartimento per l’economia e l’informazione dellaBanca Europea degli Investimenti,
Alberto Bagnai (italiano – Professore associato di politica economica presso ilDipartimentodi Economia dell’Università Gabriele d’Annunzio a Pescara (Italia), e ricercatore associato al CREAM (Centro diricerca in economia applicata alla globalizzazione, Università di Rouen).
BrunoAmoroso un economista e saggista italiano naturalizzato danese ricercatore e docente all'Università di Copenhagen.
Dal 1972 al 2007 ha insegnato all'Università di Roskilde, in Danimarca, dove ha ricoperto la cattedra Jean Monnet, presso la quale è professore emerito
Amoroso è docente all'International University di Hanoi, nel Vietnam. È stato visiting professor in vari atenei, tra cui l'Università della Calabria, la Sapienza di Roma, l'Atılım Üniversitesi di Ankara, l'Università di Bari.
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