Nel 2014 gli italiani pagheranno 1,1 miliardi di euro di tasse in più. Altro che proclami ottimistici di Letta, Saccomanni e compagnia. L'Ufficio studi della Cgia di Mestre, esaminando le disposizioni fiscali introdotte ddl Stabilità, ha calcolato che l'impatto economico delle nuove gabelle non sarà neutro.
Tutt'altro.
A fronte di poco più di circa 6,2 miliardi di euro di nuove entrate tributarie, le riduzioni di imposte e contributi ammonteranno a 5,1 miliardi.
Pertanto, il saldo per il contribuente è negativo per 1,1 miliardi che saranno incamerati (almeno sulla carta dall'Erario).
Il segretario degli artigiani di Mestre, Giuseppe Bortolussi ha già messo le mani avanti. «Il risultato è sottostimato: corriamo il pericolo che il saldo sia più pesante», ha dichiarato specificando che il prelievo della Trise, il nuovo tributo sui servizi che sostituirà Tares e Imu, potrebbe essere inasprito dai sindaci a caccia di nuove risorse nonostante la relazione tecnica della legge di Stabilità garantisca un risparmio di un miliardo di euro rispetto alle due precedenti imposte.
Tra le maggiori entrate spiccano i 2,6 miliardi di euro relativi al nuovo regime di trattamento delle perdite su crediti per banche e assicurazioni (che tuttavia assicureranno risparmi di imposta in futuro), i 940 milioni derivanti dall'incremento del bollo sul dossier titoli e gli 804 milioni dalla rivalutazione dei beni delle imprese. Tra le minori entrate, invece, si segnala il taglio del cuneo fiscale per un importo di 1,5 miliardi di euro, l'alleggerimento di un miliardo di euro dei premi Inail e il miliardo di euro di minore imposta ipotizzato in virtù dell'introduzione della Trise.
Anche per quanto riguarda le tasse sul lavoro c'è molta strada da percorrere.
L'Ocse ha infatti messo in evidenza che, con la crisi, le tasse sul lavoro sono aumentate.
Dal 2007 al 2012 il prelievo sulle buste paga dei lavoratori con famiglie a carico è passato dal 35,7 al 38,3%, a fronte di una media dei Paesi Ocse del 26,1 per cento.
Ecco perché ieri il Pdl è tornato alla carica. «È una manovra tassa-e-spendi: questa stangata va evitata, bisogna riscrivere la legge di Stabilità!», ha commentato il presidente della commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone. «Solo tasse, ora basta!», gli ha fatto eco Giancarlo Galan. «Qual è l'interesse del Pdl nel mantenere questo governo?», si è chiesta la senatrice Manuela Repetti. Stoccate che hanno fatto infuriare il viceministro dell'Economia, Stefano Fassina. «Il Pdl eviti polemiche strumentali: siamo impegnati a migliorare la legge di Stabilità», ha replicato ricordando gli 1,6 miliardi di riduzioni di imposte e precisando che 2,6 miliardi di maggiori entrate proverranno dalle banche i cui risparmi successivi allargheranno potenzialmente l'accesso al credito di famiglie e imprese.
Affermazioni temporaneamente vere: basta, infatti, un giro di vite dei sindaci sulla Trise per far saltare il banco.
di Corrado Sforza Fogliani*
Non si può prescindere dal costituire un fronte comune anti-tasse. I parlamentari d'accordo con l'obiettivo di combattere un fiscalismo esagerato devono prendere coscienza che il tempo stringe, dato che il punto nodale di una svolta non può che essere la legge di Stabilità in discussione al Senato, che si conta di trasmettere blindata alla Camera.
È un fatto che il fiscalismo ha da tempo superato il limite della tollerabilità, imponendo addirittura ai cittadini imposte, come la Tasi, brutta copia dell'Imu.
La strada maestra sarebbe invece una vera Service tax, lasciando libertà ai Comuni sulle aliquote dei parametri nazionali, fissando solo un riferimento per i massimi ai contenuti dei loro bilanci, dando il via al vero federalismo.
Oggi invece sulla casa regna un'incertezza devastante relativamente ai versamenti e al peso fiscale delle molteplici imposte.
Unificare i primi, sarebbe un gioco da ragazzi, eppure non ci si pensa nemmeno, i sudditi devono pagare molte tasse e con mille triboli.
Un esempio eclatante è la tassa sulle case non locate.
La legge di Stabilità prevede che «il reddito degli immobili a uso abitativo non locati situati nello stesso comune nel quale si trova l'immobile adibito ad abitazione principale, assoggettati all'imposta municipale propria, concorre alla formazione della base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali nella misura del cinquanta per cento».
Si tratta del ripristino di un'imposta che era stata abolita nel 2011 da Berlusconi.
La reintroduzione nasce anzitutto - com'è facile capire - dall'esigenza di «fare cassa» (frutterà infatti allo Stato, nel 2014, più di 500 milioni), con la consueta preferenza della nostra burocrazia e di certa classe politica a gravare sempre sugli immobili, nella noncuranza più assoluta dei gravi effetti già procurati a un settore di primaria importanza come l'edilizia e nell'intendimento di colpire (con facilità, perché sempre visibile) una ricchezza che peraltro non è più tale sia per l'abbattimento dei valori che si è avuto sia, soprattutto, perché si ha ricchezza solo quando una proprietà può essere realizzata sul mercato, cosa che proprio non si verifica oggi in Italia.
La reintroduzione dell'imposta è poi difesa con l'asimmetria esistente nel trattamento fiscale degli immobili non locati e degli immobili locati.
Al solito l'asimmetria non è stata superata eliminando il carico fiscale Irpef degli immobili locati ma ripristinando invece un'imposta per chi prima non l'aveva.
Da ultimo la reintroduzione è spiegata con la necessità della lotta all'evasione, presumendosi che gli immobili non locati siano in realtà locati irregolarmente.
Ancora una volta, si preferisce - ovviamente - incassare di più, piuttosto che disporre facili ispezioni.
Per queste «ragioni», si sceglie dunque di reintrodurre un'imposta di particolare iniquità.
Gli immobili in questione sono generalmente quelli che i locatori (per la stragrande maggioranza piccoli proprietari) intendono concedere in locazione, senza peraltro trovare - soprattutto in questo periodo - inquilini disponibili.
In molti casi gli immobili non vengono poi locati perché bisognosi di ristrutturazioni, per effettuare le quali i proprietari non dispongono dei mezzi necessari, data la mancanza totale, o quasi, di redditività della locazione.
Su tali immobili improduttivi di reddito i locatori sono comunque costretti, oltre che a pagare l'Imu (ad aliquota massima), a sostenere gli oneri propri di un bene come questo: contributi condominiali, spese di manutenzione, eccetera.
*Presidente di Confedilizia
tratto da Il Giornale.it
- di Gian Maria De Francesco
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