venerdì 15 marzo 2013
Miguel de Cervantes
Forse non sapeva di essere nato per le lettere oppure semplicemente era convinto che fare lo scrittore non fosse un lavoro molto remunerativo. Fatto sta che Miguel de Cervantes Saavedra, autore del romanzo Don Chisciotte, passò gran parte della sua vita facendo mestieri che ben poco avevano a che fare con la penna e di più con la pubblica amministrazione.
Il romanziere visse nel cosiddetto Siglo de Oro (il Secolo d’Oro dopo la scoperta dell’America), un periodo molto florido per la Spagna, pioniera delle nuove rotte commerciali sull’Atlantico (verso le Americhe) e sul Pacifico. Nelle casse spagnole affluivano allora, grazie alle colonie d’Oltreoceano, oro e argento a volontà e la possibilità di fare buoni affari era reale.
Così fu anche per Cervantes, che in alcuni momenti della sua vita ebbe lauti guadagni, ma si trovò spesso squattrinato, poiché non era un grande amministratore dei propri beni.
Miguel nacque il 29 settembre del 1547 ad Alcalá de Henares, quarto di sette figli (uno dei quali morì subito dopo la nascita). Riservato e balbuziente, il piccolo Miguel dovette abituarsi alle intemperanze della sorte fin da piccolo e, proprio in quegli anni in cui la famiglia si muoveva da Madrid a Valladolid a Siviglia come una carovana da circo, fu costretto a maturare l’idea che nella vita si potesse fare di meglio.
L’inizio tuttavia non fu dei migliori, a soli 22 anni fu accusato (ingiustamente) di aver ferito durante un duello un muratore, tale Antonio de Sigura, nel recinto di Palazzo Reale a Madrid. Miguel scappò in Italia e mentre era via fu condannato in contumacia al taglio della mano destra.
Nel nostro Paese Miguel visse per qualche tempo a Roma, al servizio, come domestico di camera, del cardinale Giulio Acquaviva, ed è probabilmente qui che iniziò la sua formazione letteraria da autodidatta. Le lettere esercitavano su di lui un certo fascino, eppure, ancora giovane, Cervantes scelse di seguire la via delle armi.
Aveva 24 anni (1571) quando salì come archibugiere sulla galea Marquesa, che faceva parte della flotta della Lega Santa (costituita dal papa contro gli Ottomani, a cui partecipò anche la Spagna di Filippo II). Ma qui la sua vita ebbe una svolta: era il 7 ottobre e Miguel non stava bene, aveva una brutta febbre dovuta forse a una gastroenterite, gli era quindi stato concesso di rimanere sottocoperta, lui però volle combattere lo stesso. La flotta cristiana si trovava nei pressi di Lepanto (in Grecia) e dopo una cruenta battaglia riuscì ad avere la meglio sui Turchi di Mehmet Alì Pascià. La Lega vinse, arrestando così per sempre l’espansione dei musulmani in Europa. Se i cristiani ci guadagnarono, Cervantes invece perse qualcosa: ferito in diverse parti del corpo, si salvò ma ci rimise l’uso della mano sinistra. Dopo le glorie di quella battaglia, si convinse che nonostante tutto la vita militare non faceva per lui, più che mai adesso che era un mutilato di guerra.
Passò un periodo in cui non si sa bene che cosa combinò, né perché maturò una tale decisione, ma nel 1575 lo troviamo di nuovo su una galea deciso a tornare in patria. La flotta, formata da tre imbarcazioni, partì da Napoli alla volta della Spagna ma davanti alle coste francesi fu colpita da due terribili tempeste. L’imbarcazione su cui si trovava Cervantes, la Sol, rimase isolata in mezzo al mare, circostanza poco raccomandabile all’epoca. La galea, infatti, fu circondata e assalita da navi di pirati barbareschi guidati da un rinnegato albanese, Arnaute Mamì. Stremati dalla battaglia i passeggeri della Sol si dovettero arrendere ai criminali che li portarono ad Algeri in catene.
Tra il 1582 e l’83 scrisse La Galatea, il suo primo romanzo. Il libro, pubblicato nel 1585, fruttò 120 ducati, una cifra ragguardevole se si pensa che per vivere decentemente in una città come Siviglia ci volevano circa 150 ducati l’anno. La pubblicazione del libro certamente gli diede fiducia, e gli consentì di dedicarsi alla scrittura quasi a tempo pieno. In quegli anni compose numerosi testi teatrali (molti andati persi), alcuni dei quali furono rappresentati all’epoca. Nel 1584 si sposò con la ventenne Catalina de Palacios, figlia di piccoli proprietari terrieri. Il primo periodo del matrimonio fu abbastanza sereno: Miguel viveva a Esquivias, un paesino al confine tra la Castiglia e la Mancia, passava il tempo scrivendo e amministrando le terre di famiglia. Ma il tarlo del lavoro sicuro nella pubblica amministrazione probabilmente non lo abbandonò mai. Così, nel 1587, mollati carta, penna e vigneti, finalmente ebbe un incarico in Andalusia, prima come procacciatore di viveri per la flotta spagnola e poi come riscossore delle tasse. Un lavoro di un certo prestigio ma non simpatico, con cui suo malgrado si fece un po’ di nemici. Cervantes, infatti, doveva requisire grano e altri beni per conto del re e multare o perfino arrestare chi si rifiutava di consegnarglieli. E anche stavolta i guai non tardarono ad arrivare. Nel 1597, accusato di aver sottratto denaro dalle casse pubbliche, il romanziere fu incarcerato per sette mesi a Siviglia. Probabilmente proprio qui cominciò a ideare il suo capolavoro: Don Chisciotte della Mancia Dopo questa brutta avventura Miguel si trasferì a Valladolid con la moglie, le sorelle, la nipote e la figlia illegittima Isabel. Senza volerlo aveva riprodotto quella carovana da circo in cui era cresciuto: i Cervantes vivevano insieme a parenti e amici (in tutto 20 persone), in una casa con 13 piccole stanze comunicanti tra loro. I vicini non vedevano di buon occhio la loro promiscuità, e ancora una volta Miguel fu vittima delle malelingue. Una mattina di giugno del 1605, di fronte a casa sua fu ritrovato il cavaliere Gaspar de Ezpeleta accoltellato. Miguel fu subito sospettato e finì nello stesso carcere a Valladolid in cui erano passati anche il nonno e il padre. Questa volta fortunatamente vi rimase solo un giorno e mezzo e il caso fu chiuso senza colpevoli. Ma la reputazione dei Cervantes peggiorò. Durante il processo in molti deposero contro le donne di famiglia, pronti a giurare che le signore ricevevano uomini di giorno e di notte. Non si sa che effetto ebbe tutto questo sullo stato d’animo dello scrittore. Tuttavia qualcosa dovette consolarlo: il suo Don Chisciotte (la prima parte fu pubblicata nel 1605 e la seconda nel 1615) cominciava a essere sulla bocca di tutti, al punto che l’appellativo di “Don Chisciotte” veniva usato già allora per indicare qualcuno un po’ strano, velleitario. Miguel de Cervantes morì il 22 aprile 1616, poco prima del suo contemporaneo William Shakespeare. Le cronache dicono che fu seppellito nel Convento dei Trinitari Scalzi di Madrid, ma non si sa di preciso dove riposi il suo corpo.
Con un ronzino, un’obsoleta armatura e un fedele scudiero si può cambiare il mondo. Ma solo se si è davvero convinti. E fin troppo convinto era Don Chisciotte – protagonista del celebre romanzo di Cervantes – che, nato con il nome di Alonso Quijano, aveva letto così tanti romanzi cavallereschi da uscire di senno e decidere, a 50 anni, di partire per un’improbabile avventura. L’impresa naturalmente non riuscì ma un merito lo ebbe: dare lustro al suo autore. Non si sa bene dove e quando Cervantes ideò Don Chisciotte della Mancia e come ebbe l’idea di un cavaliere tanto strampalato da combattere contro i mulini a vento, scambiandoli per temibili giganti dalle lunghe braccia. Di certo si sa che fu un trionfo , grazie anche al suo linguaggio semplice e colloquiale. Quando lo pubblicò, Cervantes era considerato un poeta scarso che si doveva accontentare di quello che aveva già composto. Forse all’inizio la pensava così anche colui che, visto il successo del cavaliere svampito, poco dopo con lo pseudonimo di Avellaneda pubblicò un Don Chisciotte apocrifo. Avvelenando, in parte, gli ultimi anni di Cervantes.
Federica Ceccherini
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