I ghiacci presenti sulla Terra influenzano il clima, l’assetto geologico e la vita sul nostro pianeta.
Eppure le interazioni molecolari che sono alla base della formazione del ghiaccio sono ancora in gran parte sconosciute:
un articolo su Nature ci aiuta a fare il punto su tutto quello che ancora non sappiamo.
La forma solida dell’acqua gioca un ruolo chiave nel nostro ecosistema: anche se spesso ce ne dimentichiamo, è proprio dalle immense distese di ghiacci presenti sulla terra che dipendono fenomeni in grado di influenzare a livello globale il clima, l’assetto geologico e la vita sul nostro pianeta.
Eppure le interazioni molecolari che sono alla base della formazione del ghiaccio sono ancora in gran parte sconosciute.
In un articolo pubblicato sulla rivista Nature, Thorsten Bartels-Rausch (scienziato del Paul Scherrer Institute di Villigen in Svizzera) fa il punto su tutto quello che ancora non sappiamo su ghiaccio e neve.
Si fa presto a dire ghiaccio
I cristalli di ghiaccio sono composti da molecole di acqua legate tra di loro da legami idrogeno a formare una struttura tetraedrica.
Ad oggi, sono stati descritti diversi tipi di strutture cristalline dell’acqua, come ad esempio i cristalli esagonali dei fiocchi di neve.
Ma che cosa influenza la formazione di una struttura cristallina piuttosto che un’altra?
Tutto dipende dalle condizioni ambientali in cui il processo si verifica.
Al variare delle condizioni di pressione e temperatura, le molecole d’acqua adattano la loro conformazione in modo da minimizzare il loro stato energetico, portando alla formazione di diversi tipi di ghiaccio.
Dal punto di vista macroscopico, le diverse transizioni di fase non hanno più molti segreti per gli scienziati.
Ma lo stesso non si può certo dire delle alterazioni che avvengono a livello microscopico: capire nel dettaglio come si modifichino le interazioni molecolari durante i passaggi di fase è fondamentale per poter riprodurre questi fenomeni in laboratorio e creare simulazioni al computer che permettano di prevedere l’impatto che variazioni di temperatura e pressione hanno sulla formazione e sul mantenimento del ghiaccio.
Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che il ghiaccio non sempre si presenta come un’ordinata formazione cristallina.
Esistono formazioni amorfe o “metastabili” sulle quali si sa ancora molto poco. Ad esempio, formazioni amorfe di ghiaccio potrebbero essere comuni sulle comete, dove l’acqua condensa a temperature estremamente basse.
Ma queste stesse formazioni potrebbero presentarsi anche sulla Terra?
In quali condizioni?
L’analisi di queste fasi metastabili purtroppo è ancora agli inizi, a causa della difficoltà di distinguere le diverse formazioni.
In futuro, analisi ai raggi X e studi sulla diffrazione dei neutroni potrebbero fornire la risposta, ipotizza Thorsten Bartels-Rausch.
Ghiaccio sporco: la chimica delle impurità congelate
La superficie del ghiaccio è il punto in cui i cristalli d’acqua interagiscono con l’atmosfera e con tutto ciò che essa contiene.
In superficie, la struttura cristallina perde il suo caratteristico ordine e i legami-idrogeno dei cristalli di ghiaccio interagiscono con le impurità presenti nell’aria, come molecole di metanolo, acetone e acido nitrico.
Quello che ancora rimane da chiarire è come queste interazioni cambino a seconda delle condizioni di pressione e temperatura, così come non è chiaro come le impurità vengano intrappolate nel ghiaccio e nella neve e come esse influenzino il mantenimento dei ghiacci perenni.
Una volta catturate, le impurità rimangono intrappolate nel ghiaccio anche per centinaia di anni: man mano che i ghiacci si sciolgono, queste sostanze possono però venire rilasciate nell’atmosfera.
Si tratta di un fenomeno tutt’altro che trascurabile: ad esempio, è stato dimostrato che le molecole di acido nitrico possono formare idrati solidi con l’acqua ghiacciata, contribuendo in modo significativo all’impoverimento dello strato di ozono nella stratosfera terrestre.
Ecco perché chiarire le dinamiche alla base dell’interazione tra impurità e ghiaccio rappresenta un passo fondamentale per capire l’evoluzione futura del nostro ecosistema terre ghiacciate: per quanto tempo ancora?
I dati acquisiti dai satelliti in orbita attorno al nostro pianeta indicano che nell’Artico i ghiacci perenni diminuiscono del 10% ogni dieci anni.
In modo analogo, anche l’estensione dei ghiacciai Antartici o della Groenlandia sta rapidamente diminuendo.
Ma queste osservazioni, pur fotografando la situazione attuale, non ci dicono molto su quello che può essere il futuro declino di queste distese di ghiaccio. Solo una conoscenza più approfondita dei fenomeni chimici e fisici alla base dello scioglimento potrà aiutarci a prevedere cosa ne sarà dei ghiacci del nostro pianeta nel prossimo secolo, sostiene Bartels-Rausch.
Tante domande, a quando una risposta?
Molte delle domande riportate da Bartels-Rausch nel suo articolo sono ancora prive di una risposta.
Ma questo non significa che non ci sia chi sta già lavorando in questa direzione.
Numerosi gruppi di ricerca hanno unito le loro forze in programmi di studio focalizzati proprio sulla chimica-fisica del ghiaccio e sulle dinamiche che sono alla base della sua formazione o del suo scioglimento.
Tra questi si distinguono il progetto internazionale per lo studio delle caratteristiche chimiche dell’atmosfera (International Global Atmospheric Chemistry project, volto a capire le alterazioni molecolari che avvengono a livello dell’interfaccia aria-ghiaccio), il programma europeo Micro-DICE (focalizzato sulle microdinamiche di formazione del ghiaccio) e ArcRisk (incentrato sull’evoluzione futura dei ghiacci artici e dei fattori che ne mettono a rischio il mantenimento).
Senza una conoscenza approfondita di come venga a formarsi il ghiaccio è impensabile poter ricostruire in laboratorio modelli attendibili per prevedere che cosa accadrà in futuro della porzione ghiacciata del nostro pianeta: una conoscenza che, sottolinea Bartels-Rausch, è indispensabile acquisire prima che i ghiacci scompaiano del tutto.
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