Non è la grandezza architettonica delle sue decine di torri.
Né la prodezza ingegneristica che ha comportato costruirlo, nel 1186.
E nemmeno immaginarsi come era la vita a quei tempi, con migliaia di persone che vi pullulavano intorno.
La colpa del suo fascino è la giungla.
La giungla che lo ha invaso, che lo ha conquistato e che germoglia magica e potente tra sue rovine.
Questo lo rende il tempio più imponente del sito archeologico di Angkor, in Cambogia.
Ta Prohm è unico.
Qualcosa di incredibile. Il tempio, che un tempo faceva parte della capitale dell’Impero Khmer, fa capolino timidamente tra le enormi radici di alberi secolari.
La vegetazione si avvinghia alle sue statue e si incrosta tra le sue mura, come se cercasse di farle sparire, di ingoiarle.
E non sarebbe la prima volta che ci riesce.
Con la caduta dell’Impero Khmer nel XV secolo, i templi furono abbandonati e dimenticati.
400 anni dopo, gli esploratori europei li scoprirono. Il suo aspetto attuale è molto simile a quello del giorno in cui venne trovato, giacché si decise di lasciare Ta Prohm così com’era.
La ragione era mostrare la potenza della natura sull’uomo. Ma anche la sua fotogenia.
A Ta Prohm le uniche modifiche che sono state fatte, sono state realizzate per prevenirne il crollo.
Questo permette ai suoi visitatori di sentire l’ebbrezza dell’avventura che hanno vissuto allora gli esploratori francesi che lo scoprirono.
Permette loro di camminare lungo stretti sentieri, mentre le cime degli alberi eclissano il sole e l’umidità della giungla circonda tutto.
Prima della sua decadenza, Ta Prohm era un importante monastero e un’università buddista.
Fu costruito dal re Jayavarman VII in onore a sua madre, la cui immagine fu utilizzata come modello per la statua principale del tempio, Prajñāpāramitā, simbolo di saggezza.
Un’iscrizione in sanscrito dà un’idea della sua importanza: circa 80.000 persone si occupavano della sua manutenzione, e al suo interno conservava più di 500 chili d’oro, 35 diamanti e varie pietre preziose.
La ricchezza del tempio si intuisce anche dalle sue dimensioni: con le sue 39 torri, è uno dei più grandi complessi di Angkor.
Per rivivere il suo glorioso passato, è necessario farsi strada tra rami e radici e camminare attraverso la lunga catena di edifici collegati, percorrendo bui corridoi.
La natura lo ha trasformato in un labirinto che costringe il viaggiatore a utilizzare una buona mappa, o una guida che conosca la strada.
Perché l’emozione del viaggio, come sapevano i francesi che arrivarono per primi a Ta Prohm, risiede anche nel fatto di poter tornare e raccontarlo.
Fonte: passenger6a
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