giovedì 9 novembre 2017
Gatto e uomo: le origini della convivenza
La relazione tra esseri gli umani e i gatti è probabilmente più antica di quanto si possa immaginare: la domesticazione dei felini di piccola taglia è generalmente datata a circa 8.000 anni fa, ma una scoperta del 2004 a Cipro sembrerebbe retrodatare il rapporto tra uomo e gatto di almeno 1500 anni, se non addirittura a circa 12.000 anni fa.
Per scoprire ulteriori dettagli sull’origine della domesticazione del gatto, un team multidisciplinare ha condotto nel 2016 uno studio genetico sui resti di 290 antichi gatti domestici rinvenuti in 30 siti archeologici sparsi su tutto il pianeta: i campioni più antichi risalgono ad un periodo compreso tra il 6.900 a.C. e il 1.900 a.C., periodo in cui molti degli abitanti europei conducevano ancora una vita da cacciatori-raccoglitori; il più recente, invece, risaliva al XVIII° secolo.
I risultati di questa ricerca hanno rivelato alcune sorprese.
Secondo gli autori della ricerca, tutti i gatti moderni discendono da un’unica specie, il Felis silvestris; in aggiunta, sembra che i gatti abbiano iniziato ad accompagnare l’essere umano in due ondate: la prima sembra essere stata una relazione tra gatti selvatici e popolazioni di cacciatori-raccoglitori che si stavano convertendo all’agricoltura, come dimostrerebbe il gatto di Cipro; la seconda, invece, si verificò qualche millennio dopo e contribuì alla diffusione dei gatti domestici dall’ Antico Egitto al resto del mondo.
Prima dell’agricoltura, era il cane (o il lupo addomesticato) l’animale più utile per l’essere umano: aiutava nella caccia, si sbarazzava degli scarti indesiderati e contribuiva alla difesa la comunità.
Con la nascita dei primi insediamenti stabili e del primi surplus di granaglie, si rese necessaria la presenza di un predatore naturale addomesticato per eliminare la prima piaga del mondo agricolo, i topi.
Contrariamente alla domesticazione del lupo, che ha richiesto un intervento umano attivo per addestrare e ammansire i primi esemplari, gatti si sono fondamentalmente addomesticati da soli per convenienza: si sono autoinvitati nei nostri insediamenti agricoli per via dell’abbondanza di prede e col passare del tempo l’essere umano si è reso conto della loro utilità e ha iniziato tollerare sempre di più la loro presenza.
Per molti millenni, il gatto selvatico è rimasto fondamentalmente immutato pur sviluppando una tolleranza crescente alla nostra presenza: la nascita delle razze moderne, infatti, iniziò tra il XVIII° e il XIX° secolo durante le prime sperimentazioni di selezione dei tratti cromatici o morfologici più particolari o apprezzati dalla moda del tempo.
L’incredibile adattabilità e opportunismo del gatto selvatico gli ha permesso di conquistare quasi ogni habitat, ma la sua forte diffidenza nei confronti dell’essere umano e le sue abitudini solitarie devono aver rappresentato un grosso ostacolo all’inizio del processo di domesticazione: gli esemplari più curiosi, impavidi o costretti dalla fame iniziarono a spingersi furtivamente nei granai dei nostri antenati seguendo le tracce dei roditori di cui si nutrivano; col trascorrere del tempo, si accorsero probabilmente che un granaio, oltre che fornire l’habitat ideale per le loro prede naturali, era un ottimo ambiente per trascorrere la notte al caldo, e che la loro presenza iniziava ad essere tollerata, se non addirittura ricompensata, da quei grossi e bizzarri animali bipedi.
Migliaia di anni dopo, i felini nordafricani acquisirono uno status di divinità con l’apparizione nel pantheon egiziano della dea Bastet (adorata fin dal 2890 a.C.), dotata di una testa felina e in principio divinità della guerra nel Basso Egitto sotto il nome di Sekhmet, per poi divenire una divinità protettrice nei secoli successivi.
I gatti erano considerati sacri al punto da punire talvolta con la morte chi ne avesse ucciso uno; moltissimi gatti vennero inoltre mummificati per accompagnare i loro padroni nell’oltretomba.
Secondo una leggenda diffusa probabilmente nel II° secolo a.C., la Battaglia di Pelusio (525 a.C.) combattuta tra Persiani ed Egiziani fu decisa a “colpi di gatto”: consapevoli dell’importanza e della sacralità dei gatti per i loro nemici, i Persiani legarono un gatto ad ogni scudo, costringendo gli egizi alla resa.
Per quanto si tratti probabilmente di una voce priva di alcun fondamento, dimostra comunque quanto fosse nota nel mondo antico la relazione tra uomo e gatto in Egitto.
L’arrivo della cristianità e la sua diffusione sull’intero continente europeo relegò il gatto al ruolo di creatura infida, se non addirittura legata al concetto stesso di Male. Ma una roccaforte di “adoratori dei gatti” riuscì a resistere anche nell’Europa cristianizzata: nella cultura vichinga, i gatti erano animali sacri alla dea Freja, divinità dell’amore, della fertilità e della morte.
Dalla ricerca emerge che i Vichinghi portassero con loro almeno un gatto durante i viaggi in mare, specialmente quelli che coinvolgevano il trasporto di cibo: la presenza dei felini contribuiva a tenere sotto controllo l’attività dei topi.
Si trattava di gatti addomesticati da lungo tempo, dato che le dimensioni di un esemplare domestico tendono spesso ad essere inferiori rispetto alla sua controparte selvatica, il Felis silvestris.
Il Felis silvestris , definito genericamente “gatto selvatico”, è un felino che ha ottenuto un enorme successo evolutivo in buona parte degli ambienti conosciuti, dalle foreste del Nord Europa alle savane africane.
Il gatto selvatico non è molto differente da alcune razze domestiche moderne, ma il suo manto presenta meno varietà cromatica e l’animale tende ad essere più grosso dei gatti addomesticati: in base alla sottospecie, può raggiungere i 13 kg di peso per 120-130 cm di lunghezza (80 cm di corpo e circa 40 di coda).
Fomte: vitantica.
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