La missione archeologica spagnola-egiziana (che vede la collaborazione del Middle Kingdom Theban Project, l’Università di Alcala, il Ministero delle Antichità e l’Ispettorato di Luqsor) che lavora nella necropoli di Deir el-Bahari alla TT 315, la tomba di Ipi, ha riscoperto ben 56 giare contenenti materiali di imbalsamazione destinati per la mummificazione del vizir Ipi, supervisore di Tebe e personaggio di élite alla corte di Amenemhat I, sovrano fondatore della XII dinastia che regnò tra il 1994 e il 1964 a.C.
Questa nuova scoperta è avvenuta durante i lavori di pulizia del cortile esterno della tomba di Ipi, precisamente all’interno di una camera ausiliaria situata nell’angolo nord-est.
Anche questa volta si tratta di una riscoperta, in quanto i vasi erano già stati precedentemente individuati dall’egittologo americano Herbert Winlock tra il 1921 e il 1922 ed erano stati ricollocati dalla missione statunitense in una fossa di un metro e mezzo di profondità a pochi metri dall’ingresso della sepoltura.
Si tratta della più grande collezione di materiale per l’imbalsamazione mai trovata finora risalente al Medio Regno. Il dottor Antonio Morales, direttore della missione spagnola, ha comunicato che il deposito dei materiali di mummificazione utilizzati per Ipi comprende metri e metri di bende impregnate di resine, oli e natron, residui biologici (come coaguli di sangue),diversi teli e lenzuola di lino lunghe anche quattro metri, rotoli di tessuto per ampi bendaggi, diversi tipi di stoffe, stracci, vari bendaggi di sei metri di lunghezza, nonché un sudario utilizzato per coprire il corpo di Ipi, uno scialle frangiato lungo 10 metri e piccole strisce destinate ad avvolgere le dita delle mani e dei piedi del visir.
I vasi contengono inoltre diverse decine di sacchetti di natron (il tipo di sale usato nei procedimenti di essiccazione dei corpi da imbalsamare), i quali erano stati depositati nelle parti interne del corpo del visir, ed altri contenenti olii, sabbie e altre sostanze: un totale di 300 sacchetti circa tra sei e i dieci centimetri di diametro legati con bende lino.
Tra i pezzi della collezione ritrovata ci sono anche dei grandi vasi di argilla del Nilo e marna, alcuni con sigilli, altri con segni ed iscrizioni in ieratico, tappi per vasi e un raschietto.
Nonostante siano trascorsi più di 4.000 anni non è affatto svanito il potere delle esalazioni delle sostanze utilizzate: il natron pizzica e fa quasi lacrimare gli occhi degli archeologi nonostante guanti e maschere di protezione, le resine e gli aromi utilizzati emanano ancora le loro fragranze.
L’idea che dopo migliaia di anni sia possibile percepire nitidamente un odore molto profumato, come una sorta di incenso, ha dell’incredibile; di certo una bellissima sensazione, ricca di fascino e di romanticismo, una percezione che catapulta direttamente a quegli istanti in cui si stavano compiendo i riti che avrebbero impedito la decomposizione del corpo di Ipi e garantito la sua conservazione per l’eternità.
Salima Ikram, la famosa egittologa dell’Università Americana del Cairo che collabora con il progetto, ha identificato tra le decine di metri di tessuto intrecciato quello che sembra essere il cuore mummificato (quindi accuratamente trattato) di Ipi; una pratica sconosciuta che senza dubbio merita ulteriori indagini, in quanto il cuore solitamente veniva lasciato al suo posto nel corpo del defunto.
L’identificazione dei materiali contenuti all’interno delle giare sarà di grande importanza per comprendere sia le tecniche di mummificazione utilizzate durante i primi anni del Medio Regno che il tipo di oggetti, strumenti e sostanze coinvolti nel processo di imbalsamazione, in quanto la tecnica di mummificazione in questo periodo non è ancora così chiara oltre al fatto che non era ancora così raffinata ed evoluta come nel Nuovo Regno, periodo in cui raggiunse il suo culmine.
Le lunghe strisce di lino imbevute di natron e sangue saranno analizzate con gli strumenti di nuova tecnologia di cui dispone il team. Da questo studio emergeranno dati importantissimi che permetteranno di conoscere tanti aspetti ancora sconosciuti di questa pratica.
L’opera di pulizia del cortile che ha permesso questa riscoperta era parte del progetto di studio archeologico ed epigrafico delle tombe di Henenu (TT 313) e di Ipi (TT 315), della camera funeraria e del sarcofago di Harhotep (CG 28023), nonché di conservazione e pubblicazione di questi ed altri monumenti tebani.
Fonte: mediterraneoantico.it
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