mercoledì 25 gennaio 2017
La commovente storia del delfino che non lascia la famiglia
Sfugge al massacro, ma non vuole lasciare la famiglia.
La storia triste è quella di un delfino, nelle acque giapponesi.
Pochi giorni prima, infatti, i cacciatori di delfini avevano trovato un enorme branco di animali, circa trecento esemplari.
Li hanno trascinati in una baia e teso le reti, aspettando che si consumasse la mattanza.
Prima, però, hanno selezionato gli esemplari più giovani e belli per venderli e farli vivere in cattività.
Dopo qualche giorno, 80 delfini erano già stati spediti negli zoo e negli acquari di tutto il mondo, con piccoli strappati alle madri, e la selezione è continuata.
Intanto, gli altri delfini iniziavano a morire a causa dello stress e della mancanza di cibo.
Incredibilmente, uno di loro è riuscito a fuggire alle reti. L’animale, però, non ha voluto lasciare la famiglia e ha continuato a nuotare per giorni intorno alla baia, fino a quando non lo hanno trovato gli attivisti di Taiji.
La foto del delfino che nuotava disperato in cerchio, con la pinna solitaria a riflettersi nello specchio d’acqua, ha fatto il giro del mondo.
Invece di nuotare via verso la libertà, infatti, il mammifero ha continuato a rimanere in vicinanza delle reti.
“I delfini sono animali molto empatici e non lasciano mai il loro branco”, ha spiegato l’organizzazione Sea Shepherd “per questo tagliare le reti non serve. Nessuno di loro fugge, per non lasciare indietro la famiglia”.
Non si sa quale sia stato il futuro del delfino solitario, ma purtroppo le sue speranze di sopravvivere ai cacciatori non sono molte.
“E’ esattamente come far assistere ad un umano la strage della sua famiglia.
Sono traumi che non si superano in una vita intera e i delfini sono animali molto coscienti, per cui capiscono esattamente ciò che gli succede intorno e hanno legami stretti con la loro famiglia”, ha spiegato il dottor Rally, un veterinario marino della Peta Foundation.
Ogni anno vengono uccisi migliaia di delfini nella caccia annuale dei delfini di Taiji.
Alcuni vengono venduti agli acquari, altri macellati per la carne. Giorni dopo la caccia, le acque dell’oceano sono tinte di rosso con il sangue dei delfini torturati e uccisi.
Anche se molte persone sostengono che si tratti di una tradizione, la verità è che questa caccia è una invenzione recente: carneficine di queste dimensioni, infatti, non sono state possibili fino all’arrivo delle barche a motore.
Purtroppo, poi, gli attivisti possono fare poco. Il mare è pieno di poliziotti, che bloccano tutti quelli che cercano di interferire con la caccia.
Sea Shepherd, però, spera che, raccontando la storia di questo sfortunato branco, le persone in giro per il mondo capiscano la brutalità di questa pratica e si uniscano alla lotta per eliminarla.
Fonte: http://www.lastampa.it/
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