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lunedì 14 settembre 2015

Il Pithovirus appena scoperto, ancora attivo e in grado di infettare un’ameba, ha 30.000 anni




Immagine per gentile concessione di Julia Bartoli e Chantal Abergel, IGS e CNRS-AMU

Le profondità del permafrost siberiano sembrano offrire tesori nascosti ai ricercatori che vi si avventurano.
Se nel 2012 alcuni scienziati russi erano riusciti a far sbocciare un fiore da un seme sepolto da 32.000 anni, oggi un gruppo di ricerca dell’Università francese di Aix-Marseille di Marsiglia, ne ha estratto qualcosa di più inquietante: un nuovo “virus gigante” rimasto sepolto e indisturbato per oltre 30.000 anni.
Lo studio, guidato da Jean-Michel Claverie e Chantal Abergel e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha mostrato che questo virus finora sconosciuto, a cui è stato dato il nome di Pithovirus sibericum, può riattivarsi, ovvero essere “riportato alla vita” in laboratorio.
Pur trattandosi sempre di creature microscopiche, le dimensioni del Pithovirus sono circa mille volte maggiori rispetto a quelle degli altri virus: ben 1,5 micron di lunghezza per 0,5 micron di diametro (dove un micron è un millesimo di millimetro). Vivo e vegeto Con loro stessa sorpresa, quando Claverie e Abergel hanno esposto colonie di amebe della specie Acanthamoeba castellanii al virus in laboratorio, hanno scoperto che era ancora attivo e in grado di infettare rapidamente la cellula ospite, nonostante i 30.000 anni nelle profondità del permafrost.
“ In genere i virus possono venire distrutti o resi inattivi da diversi fattori, tra cui la luce e la degradazione biochimica, ma i virus giganti, oltre alle dimensioni record, sono anche più resistenti rispetto agli altri.
Per questo un ambiente favorevole ha consentito all’esemplare appena scoperto di restare intatto per migliaia di anni. “Ambienti protetti come i sedimenti nell’oceano profondo e il permafrost sono ottimi per la sopravvivenza di microbi e virus, perché sono freddi, privi di ossigeno e bui”, continuano Claverie e Abergel. La scoperta dei virus giganti risale a una decina di anni fa, e questo decennio ha portato alla luce diversi virus grandi e geneticamente complessi, che sono stati divisi in tre diversi gruppi: Mimivirus, Pandoravirus e Pithovirus. Questo suggerisce che i virus siano molto più complessi e variegati di quanto si pensasse, e che i virus giganti potrebbero non essere così infrequenti.
Questa variabilità di corredo genetico e morfologia ha indotto anche a ipotizzare che diversi tipi di virus possano non avere un’origine comune e che si siano evoluti separatamente. Virus e cambiamento climatico È comprensibile che la scoperta di antichi virus ancora attivi susciti qualche preoccupazione. Il cambiamento climatico e le attività industriali, che hanno un impatto sul ghiaccio antico, potrebbero portare in superficie potenziali agenti patogeni per l’essere umano rimasti sepolti per milioni di anni? Secondo gli autori dello studio, sì: “Se questi strati contenessero particelle virali attive, potrebbero provocare un vero disastro”.
Prospettive Le ricerche proseguiranno per stabilire quanto questi virus costituiscano una reale minaccia. “Ora stiamo lavorando ancora per analizzare il DNA contenuto in questi campioni di permafrost in cerca della firma genetica di virus che ricordino patogeni umani”, dicono Claverie e Abergel, sottolineando che il loro obiettivo non è quello di far “rivivere” virus patogeni, ma piuttosto di determinarne i potenziali pericoli. “Se scopriremo patogeni umani, allora il rischio diventerà più concreto. Altrimenti, saremo al sicuro”.

Di Stefan Sirucek e Valentina Tudisca

tratto da - National Geographic

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