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lunedì 9 febbraio 2015

Tibet, la rete di trafficanti che fa affari con tigri e serpenti


Il commercio di animali pregiati è un business che vale 20 miliardi di dollari l’anno. 
In diverse parti dell’Asia conviene di più trafficare in tigri che in droga.

 Uno degli snodi centrali di questo mercato internazionale è la capitale spirituale del buddhismo, Lhasa, in Tibet, come documentato di recente da una studiosa della City University di Hong Kong. 
I clienti convergono a Lhasa da tutto il mondo per comprare pelli, ossa e persino il pene dei felini. 

 Le tigri sono una delle specie a maggior rischio di estinzione, non solo a causa dei cambiamenti del loro habitat naturale, ma anche per effetto del crimine organizzato.
 Cento anni fa vi erano centomila esemplari nel mondo. Oggi ne sono rimasti meno di tremila, la maggior parte in India. 

Nonostante la «Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione» sia stata firmata da 180 Paesi, i trafficanti continuano il loro disdicevole commercio per soddisfare clienti in Asia, Europa e Stati Uniti. Me ne sono accorto io stesso quando, due anni fa, sono atterrato all’aeroporto di Dali, una città nella provincia cinese dello Yunan.
 Lo scopo del mio viaggio era raggiungere il confine con la Birmania, per raccogliere dati sul traffico della droga tra il Triangolo d’Oro (Birmania, Laos e Thailandia) e la Cina. 
La sala dove arrivavano i bagagli era piena di militari e di guardie di frontiera accompagnate da unità cinofile. I cani sembravano impazziti, presumevo io, perché alla ricerca di sostanze stupefacenti. 
Mi sbagliavo. Quei labrador erano stati addestrati per individuare pellicce, corna di rinoceronte, avori, coccodrilli, pangolini, serpenti, civette, tartarughe, lucertole pregiate e altre specie protette.
 Un macabro zoo di animali morti si celava in quelle valigie.


Quando siamo arrivati a Ruili, una città al confine con la Birmania, abbiamo scoperto che nel nostro albergo si erano tenuti di recente banchetti a base di tigre.
 Non solo la carne è considerata un cibo prelibato, ma il sangue dell’animale è usato per fermentare il vino. Chi lo beve diventa più virile, sembrano credere molti cinesi. 
Nel gennaio di quest’anno, la polizia della Repubblica Popolare ha arrestato un organizzatore di questi banchetti, un tal Signor Xu. Un cliente ha filmato la cena sul cellulare e l’ha diffusa su Internet. È stato facile per le autorità risalire alla mente dell’organizzazione, che ora rischia 13 anni di galera.

 Ogni parte del corpo del felino viene sfruttata. 
Con le ossa si fanno dei souvenir, mentre artigli, teschi e canini sono regali molto ambiti, al prezzo di 2.000 euro al chilo. 
Le feci sono usate per curare le emorroidi, mentre il pene diventa un ingrediente di deliziose minestre, le quali ovviamente aumentano la potenza sessuale. 

 A Ruili due anni fa vi era anche la dottoressa Rebecca Wong, che oggi insegna alla City University of Hong Kong, dove si occupa del traffico illegale di specie protette. «Dopo il mio soggiorno a Ruili - mi racconta oggi - ho proseguito per la capitale del Tibet, Lhasa, dove i grandi felini arrivano dall’India, attraverso la città di Ladakh». Una volta entrati in Tibet, i bracconieri vendono la merce ai trafficanti che operano nella città tibetana di Shiquanje, non lontano dal confine, e questi a loro volta la portano a Lhasa. La piazza di Barkhor è il cuore della più famosa città tibetana, meta di ogni turista, con centinaia di bancarelle che offrono tappeti, costumi tradizionali e testi buddhisti.
 La presenza delle forze dell’ordine è ingente, non solo ad altezza d’uomo: sulla terrazza di un palazzo all’ingresso della piazza si può notare una postazione di militari che osserva la folla.
 Questo è anche il luogo dove la compravendita di tigri procede indisturbata.

 Vi sono due tipi di clienti a Lhasa. I tibetani che acquistano le pelli per decorare il loro costume tradizionale (il chupas), e i compratori che vengono dalla Cina, da Hong Kong, da Taiwan e dall’Occidente.
 Dopo il Messico, la Repubblica Popolare è la fonte principale di specie protette per il mercato americano.
 In città vi sono due reti di venditori, una di etnia musulmana (gli Hui) e una di etnia tibetana, ovviamente in feroce competizione tra loro.
 Sembra che i tibetani siano leggermente discriminati: hanno meno merce e i prezzi sono più alti. Inoltre tendono ad avere come clienti membri dello stesso gruppo etnico.
 Sia tibetani che musulmani fanno riferimento a un fornitore unico ciascuno, il quale a sua volta tiene i rapporti con i bracconieri. Il numero di persone coinvolte nei due network non supera la cinquantina, e tutti vendono anche altri prodotti.


Le transazioni avvengono quasi alla luce del sole: per attirare i clienti, i venditori mettono su una rastrelliera pelli di volpi o di pecora fuori da negozi la cui insegna è spesso tradotta in un inglese improbabile (ad esempio, Public Useful Carpet Shop).
 Il compratore straniero entra e fissa un appuntamento per visionare la mercanzia nel magazzino del fornitore, che si trova non lontano dalla piazza.

 «Io stessa sono andata in uno di questi magazzini - racconta Wong -. Alle pareti erano scritti centinaia di numeri telefonici. 
Il fornitore era molto orgoglioso del suo lavoro e si vantava di non aver mai raggirato nessuno.
 “Una buona reputazione è la moneta più importante nel commercio”, ha ripetuto più volte. 
Infatti sono più di vent’anni che fa questo mestiere. 
Attorno a noi erano accatastate pelli di leopardo, di antilope e di tigre. Ognuna del valore di circa 900 euro». 

Il magazzino si trova in un appartamento proprio di fronte a una caserma e molti ufficiali sono clienti fissi. 
Il fornitore non ha alcun timore di essere scoperto. La sua preoccupazione maggiore è che una cicca mandi in fumo le pelli accatastate nelle tre stanze.
 Una volta fatta la propria scelta, il cliente può mettersi la merce in valigia. 
Oppure, per pochi soldi, il negozio si incarica di spedire il pacco per posta. Sembra che il servizio postale cinese sia altamente affidabile. Secondo Wong, il numero di bracconieri e trafficanti arrestati è ancora irrisorio e le pene non sono sufficienti a scoraggiare i colpevoli.
 Inoltre, la frontiera tra India e Tibet è troppo poco sorvegliata. 

Qualche buona notizia arriva dall’India. Il numero di tigri in quel Paese è cresciuto di cinquecento esemplari negli ultimi tre anni. Questo aumento è dovuto alla creazione di riserve dove l’habitat degli animali viene protetto da una nuova forza di polizia specializzata contro i bracconieri.
 La Cina dovrebbe seguire lo stesso esempio. E soprattutto dovrebbe dar inizio a una rivoluzione cultuale pacifica, per convincere i cittadini di quel Paese che il modo migliore per dimostrare di essere uomini è lasciare in pace gli animali. 

 Federico Varese


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