lunedì 2 febbraio 2015
La baronessa di Carini: la storia di un mito
A vederla così, la giovane nobildonna con la testa reclinata sul cuscino, viene da pensare che davvero sia questa la tessera mancante del puzzle, il segreto nascosto per quasi 500 anni.
Che la fanciulla scolpita nel marmo del sarcofago della chiesa di San Mamiliano - nel centro storico di Palermo - sia proprio lei, Laura Lanza, la baronessa di Carini uccisa nel 1563 in quello che è passato alla storia come il più clamoroso dei delitti d’onore.
A queste conclusioni è arrivato un gruppo di studiosi (criminologi, grafologi, psicologi), che ha indagato per 4 anni tra archivi e chiese da Carini a Madrid.
«L’ho sempre immaginato - dice il parroco, padre Giuseppe Bucaro -. Questa è la cripta della sua famiglia, qui sono seppelliti il nonno Blasco Lanza, la seconda moglie del padre Castellana Centelles, e probabilmente anche il padre Cesare Lanza che la uccise o, meglio, che si autoaccusò del delitto».
Aveva soltanto 14 anni Donna Laura Lanza quando, per volere del padre, sposò il barone di Carini.
Di grande bellezza e ottima famiglia, Laura era una ragazza contesa, in grado di dar lustro a molte delle famiglie locali.
I migliori candidati del tempo erano i Vernagallo e La Grua-Talamaca che pare abbiano bruciato i tempi e chiesto per primi la donna in sposa per il figlio Vincenzo, barone di Carini.
Il 21 dicembre 1543 la giovanissima Laura si sposò, sebbene la simpatia e tenerezza che la ragazza provava verso Ludovico Vernagallo fossero note a tutti.
Il matrimonio non turbò tuttavia il legame di amicizia tra le due famiglie, anche perché Ludovico era considerato di casa.
Ma l’idillio non sarebbe durato. Col tempo iniziarono infatti ad emergere i primi contrasti tra i La Grua, i Lanza e i Vernagallo, conflitti che alimentarono insinuazioni e calunnie, portando inoltre a quel tragico evento per cui la storia della baronessa di Carini divenne in seguito leggenda.
Stando ai racconti della tradizione, si narra che, in preda alla delusione per un matrimonio infelice e un marito che la trascurava, la donna, in realtà innamorata da sempre di Ludovico Vernagallo, abbia ceduto alla passione diventandone presto amante.
Purtroppo scoperta sia dal marito che dal padre, la donna venne da loro brutalmente uccisa.
Sempre secondo la leggenda, l’omicidio avvenne in una stanza poi crollata e originariamente situata nell’ala ovest del castello in cui viveva la famiglia, lì dove la stessa leggenda vuole che su una parete sia rimasta per lungo tempo l’impronta insanguinata della baronessa.
I documenti che si riferiscono a questa vicenda confermano in parte la leggenda.
Di alcune carte conservate negli archivi di Carini fa parte la comunicazione che l’allora Viceré di Sicilia fece alla Corte di Spagna di un omicidio appena avvenuto: Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, aveva ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo.
Inoltre, conservati nell’archivio della Chiesa Madre di Carini, vi sono anche l’atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre del 1563, insieme a quello di Ludovico.
Non esiste invece alcun documento certo che attesti che tra i due giovani vi fosse in realtà un rapporto molto più che amichevole.
Ed è qui, nella mancanza di altri dati che possano spiegare la dinamica del tragico evento, che ha attecchito la leggenda.
Cesare Lanza di Trabia avrebbe ucciso con la complicità del genero la figlia Laura e, attraverso dei sicari, anche Ludovico Vernagallo, colpevoli di aver leso con il loro tradimento l’onore della famiglia.
Informati da un frate del vicino convento della storia d’amore tra Laura e Ludovico, il padre e il marito della sposa preparano l’omicidio: il frate spione, accorgendosi dell’ennesimo incontro dei due amanti, avvertì don Cesare che corse a Carini accompagnato da una sua compagnia di cavalieri, fece circondare il castello per evitare che i due amanti tentassero la fuga, irruppe nella stanza e, sorprendendoli, li uccise.
Venuto a conoscenza del delitto, il viceré applicò la legge prevista per il reato: bandì Cesare Lanza e il barone di Carini, i cui beni vennero confiscati.
Don Cesare si rivolse allora a re Filippo II, per spiegare i motivi che avevano portato lui e il genero a commettere l’omicidio dei due amanti. E lo fece con il seguente memoriale.
Sacra Catholica Real Maestà, don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini, sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini, suo genero, molto alterato perchè avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoi ammazzati.
Don Cesare Lanza conte di Mussomeli
Appellandosi alle norme allora in vigore relative agli omicidi in caso di adulterio, per cui ai tempi la legge non puniva chi commetteva un omicidio contro due adulteri colti in flagrante, don Cesare chiese il perdono al sovrano e lo ottenne, e insieme a quello, riebbe anche le sue terre.
Dopo quasi 450 anni dal misterioso delitto, nel febbraio 2010 il sindaco della cittadina nel palermitano ha fatto riaprire le indagini sull’omicidio della Baronessa di Carini, trasformando il castello in cui si sono svolti i fatti in un centro di investigazioni e di corsi sulle moderne tecniche di indagine scientifica.
Fonti: http://www.provedi.it/
lastampa.it
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