sabato 28 febbraio 2015
venerdì 27 febbraio 2015
L'incredibile attacco di un polpo a un granchio
I polpi sono predatori temibili,con un'ampia varietà di armi naturali a loro disposizione, dai tentacoli all'inchiostro, passando per una grande intelligenza e per le capacità mimetiche. La prova è in un nuovo video virale che sta impazzando su internet.
Lo ha realizzato una donna australiana lungo la costa della cittadina di Yallingup e immortala un polpo mentre cattura un granchio fuori dall'acqua.
Porsche Indrisie stava osservando un grande granchio sulla scogliera, quando ha visto emergere dalle acque un rapidissimo polpo che lo ha catturato.
I giornali locali l'hanno convinta a postare le immagini su Youtube e in sole 24 ore sono state visualizzate 17mila volte e condivise oltre 450 volte, mentre sulla sua pagina Facebook il video aveva in appena un giorno 65,973 visualizzazioni.
Ma cosa c'è di particolare nella sequenza?
Roger Hanlon, uno scienziato del Marine Biological Laboratory di Woods Hole, Massachusetts, spiega al National Geographic che si tratta di un tipico polpo delle acque poco profonde, animali che avvolgono la preda e la mordono, iniettando una neurotossina. Finché le branchie sono bagnate, possono rimanere fuori dall'acqua per un minuto o due senza danni.
I granchi sono uno dei loro alimenti preferiti. Ma la sequenza dell'attacco colpisce per la sua rapidità e per l'aggressività mostrata. Dopo aver catturarato il granchio, il polpo scompare immediatamente sotto una roccia.
Roberta Ragni
Daruma, le bambole talismano
Le bambole Daruma sono in Giappone alcuni dei più popolari talismani portafortuna.
Rappresentano Bodhidharma, il primo patriarca della dottrina buddista Zen, il quale, nel V secolo, restò seduto per nove anni dinanzi a un muro ritenuto sacro a meditare senza muovere il minimo arto.
La leggenda vuole che i suoi arti e i suoi occhi siano caduti perché atrofizzati.
L’idea di fabbricare questa bambola è attribuita al sacerdote Togaku che, nel 1764, la fece costruire in modo che potesse portare fortuna, felicità, prosperità e scongiurare incidenti e disgrazie.
La bambola in poco tempo fu riconosciuta come simbolo della regione.
La Daruma doll raffigura un uomo con la barba; Inoltre ha due occhi privi di pupille. Questo racchiude un significato molto profondo: La prima pupilla verrà disegnata quando si inizia un progetto mentre, la seconda pupilla verrà disegnata dopo averlo portato a termine.
Le bambole hanno diversi ideogrammi giapponesi disegnati: longevità, vittoria e buona fortuna.
La Daruma originale è di colore rosso (per ricordare la veste rossa indossata dal fondatore zen) ma ci sono di vari colori, ognuno ad indicare il diverso traguardo da raggiungere:
Rosso: portafortuna generale
Giallo: Soldi
Blu: per lo studio o per il lavoro
Rosa: amore
Nero: scacciare la sfortuna
Verde: per la salute.
Circa l’80% della produzione delle bambole Daruma è effettuata nella città di Takasaki, nella prefettura di Gunma, che ogni anno, il 6 e il 7 gennaio, raduna acquirenti da tutto il Giappone.
Solitamente si scrive il cognome del proprietario sulla parte inferiore della bambola, ma può essere dipinta anche una parola a scelta.
Esistono non poche canzoni e filastrocche che rendono omaggio al patriarca Zen, musa di queste creazioni, e tanti sono i riti di purificazione che ne conseguono; per esempio il rituale di bruciare le bambole nei templi che le hanno “marchiate” come segno di attesa, determinazione e costanza, da parte del proprietario verso la realizzazione del desiderio.
Nel Perù preamazzonico dominavano i coccodrilli
Quella che oggi è una fitta e quasi impenetrabile area di foresta amazzonica, nel Miocene (periodo compreso tra 23 e 5 milioni di anni fa) era il regno incontrastato di caimani e coccodrilli.
I fossili di sette diverse specie di rettili sono state rinvenute, dopo più di 10 anni di scavi, nel nordest del Perù, in un deposito di ossa risalente a 13 milioni di anni fa, che contiene il maggior numero di specie di coccodrilli coesistenti in uno stesso luogo e nella stessa epoca storica.
La scoperta, pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, è una possibile chiave di lettura per l'incredibile biodiversità che ancora oggi caratterizza l'Amazzonia peruviana.
«Il moderno bacino del Rio delle Amazzoni contiene il complesso di organismi vegetali e animali più ricco al mondo, ma le origini di questa straordinaria diversità sono ancora poco chiare», spiega John Flynn, curatore della sezione sui mammiferi fossili del Museo di Storia Naturale americana e autore dello studio.
La Pebas Formation, l'area nord occidentale del Perù dove sono stati compiuti gli scavi, offre una finestra sull'ecosistema pre-amazzonico.
Prima di essere occupato dal Rio delle Amazzoni circa 10 milioni e mezzo di anni fa, il bacino amazzonico ospitava una vasta distesa di paludi, baie e laghi che defluivano a nord verso i Caraibi (al contrario del Rio delle Amazzoni che scorre a est, verso l'Oceano Atlantico).
L'habitat paludoso era popolato da molluschi e crostacei, ritrovati in abbondanza nei depositi amazzonici.
Ecco spiegata l'abbondanza di coccodrilli, ghiotti di questi invertebrati: dal 2002 a oggi Flynn e colleghi hanno rinvenuto i fossili di almeno sette di questi rettili, tre dei quali ancora del tutto sconosciuti.
Il più strano nell'aspetto è il Gnatusuchus pebasensi, un caimano dal muso corto e con denti a goccia, poco appuntiti, che si pensa usasse le ampie fauci per scavare nella sabbia delle paludi in cerca di cibo.
Tra i ritrovamenti c'è anche il più antico fossile di Paleosuchus, un genere di alligatore sudamericano ancora vivo, dalla dieta più varia (quindi più adattabile).
Oggi nel bacino amazzonico vivono sei specie di caimani, che raramente condividono lo stesso habitat, come accadeva 13 milioni di anni fa.
Fonte: focus.it
giovedì 26 febbraio 2015
La sabbia del Sahara fertilizza l'Amazzonia
Sembrano appartenere a due mondi diversi e molto lontani, ma l'Amazzonia e il deserto del Sahara sono più vicini di quanto dica la geografia.
Ogni anno, la sabbia del deserto caldo più grande del mondo viene trasportata dalle correnti atmosferiche in America Latina, dove fornisce terreno fertile per la foresta pluviale tropicale.
Un team di scienziati ha ora approfondito il fenomeno con uno studio pubblicato su PhysOrg. «Viviamo in un mondo piccolo e tutto è connesso», afferma Hongbin Yu, ricercatore dell'Earth System Science Interdisciplinary Center (ESSIC) dell'Università del Maryland, che ha condotto la ricerca insieme a un pool di colleghi.
La polvere minerale che partendo dall'Africa sorvola l'Oceano Atlantico contiene numerose sostanze nutrienti, tra cui azoto, fosforo e ferro.
Gli scienziati sono riusciti per la prima volta a stimare quanto fosforo, elemento fertilizzante per eccellenza, giunge annualmente a destinazione: 22mila tonnellate, lo 0,08% dei 27,7 milioni di tonnellate di sabbia che precipitano nel Bacino dell'Amazzonia.
La depressione di Bodélé
Di particolare interesse è il pulviscolo che parte dalla depressione di Bodélé, in Ciad, dove il letto di un lago scomparso viene inondato di acqua fangosa nella stagione delle piogge, per poi seccarsi e riempirsi di microrganismi morti carichi di fosforo. Questa biomassa rappresenta una straordinaria fonte di sostentamento per le foreste pluviali, dove i nutrienti essenziali vengono lavati via dalle piogge torrenziali.
Gli scienziati dell'ESSIC hanno fatto le loro stime sulla base dei dati raccolti da un satellite della NASA, il Cloud-Aerosol Lidar and Infrared Pathfinder Satellite Observation (CALIPSO), dal 2007 al 2013.
Il team si è concentrato sulla polvere sahariana che giunge in Sud America e nel mare caraibico dopo un viaggio ad alta quota di migliaia di chilometri.
Per calcolare l'esatta quantità di fosforo hanno invece analizzato dei campioni provenienti dal Bodélé e dalle stazioni a terra di Miami e delle Bardabos.
Anche se il periodo analizzato è troppo breve per trarre conclusioni sulle tendenze a lungo termine, le informazioni raccolte sono state sufficienti inquadrare meglio il fenomeno.
Di anno in anno il fenomeno mostra grande variabilità.
Tra i picchi di polvere del 2007 e i minimi registrati nel 2011 c'è una forbice dell'86%.
Il team guidato da Yu ritiene che queste differenze dipendano dalle condizioni del Sahel, una fascia di terra semi-arida nel versante sud del Sahara.
Le osservazioni evidenziano che anni di elevata piovosità nel Sahel sono correlati a bassi carichi di sabbia.
Il motivo della relazione non è chiaro, ma i ricercatori hanno formulato un paio di ipotesi.
La prima è che le piogge favorirebbero il fiorire della vegetazione, che riduce l'erosione del vento sul Sahel.
La seconda considera la variabilità della circolazione atmosferica e dei venti responsabili del trasporto della polvere.
Fonte: focus.it
La Tour Eiffel più green con l'integrazione di pale eoliche e illuminazione Led
Torre Eiffel, simbolo della Francia, produrrà energia pulita grazie anche a due turbine eoliche.
Posizionati al di sopra del secondo livello per via delle migliori condizioni di vento, i due sistemi produrranno 10.000kWh di elettricità all'anno, abbastanza per alimentare i settori commerciali del primo piano della Torre parigina.
Quest'ultima sta affrontando il più grande lifting degli ultimi 30 anni.
Le due turbine eoliche ad asse verticale sono state appositamente pensate per adattarsi all'aspetto dell' iconica torre, aggiungendo una serie di migliorie in termini di efficienza.
A realizzarle Urban Green Energy in collaborazione con Société d’Exploitation de la Tour Eiffel.
Un momento per rifarsi il look tutt'altro che casuale, visto che a dicembre di quest'anno Parigi ospiterà una delle più attese conferenze sul clima, la Cop21.
E uno dei principali obiettivi del lifting è quello di ottenere una significativa riduzione dell'impronta ecologica.
Silenziose e progettate per catturare il vento proveniente da qualsiasi direzione, le turbine si trovano a 120 metri dal livello del suolo.
Non un'altezza casuale ma scelta perché qui i venti sono costanti e permetteranno di soddisfare parte del consumo energetico della Torre.
Il loro montaggio è stata una sfida tecnica, una vera e propria lotta contro la gravità.
“La Torre Eiffel è senza dubbio l'icona architettonica più famosa al mondo e siamo orgogliosi che la nostra tecnologia avanzata sia stata scelta per fare in modo che la Torre Eiffel aumenti il proprio impegno verso un futuro più sostenibile”, ha detto Nick Blitterswyk, CEO di UGE.
“Nel momento in cui i visitatori provenienti da tutto il mondo vedranno le turbine eoliche, otterremo un ulteriore passo avanti verso un mondo alimentato da energia rinnovabile pulita e affidabile.”
Oltre all'energia eolica, la ristrutturazione comprende anche l'illuminazione a LED e i pannelli fotovoltaici sul tetto di uno dei padiglioni per i visitatori.
In aggiunta, sono state installate anche pompe di calore ad alte prestazioni sui due padiglioni ristrutturati, insieme a un sistema di recupero delle acque piovane, riutilizzate per i servizi igienici.
Fonte: greenme.it
I denti della patella sono il materiale più forte del mondo
La natura ha sempre ispirato la scienza e le invenzioni tecnologiche, soprattutto quelle sui materiali.
Così nel 2015 veniamo a sapere che il più forte materiale naturale è quello dei denti della patella.
Gli umili molluschi di mare che tappezzano gli scogli hanno dei denti che sono forti come acciaio e duri come un giubbotto antiproiettile.
Questa ‘tecnologia naturale‘ sarebbe in grado di sopportare la stessa mole di pressione che serve per trasformare il carbonio in diamante.
Che le patelle siano un possente mollusco, bhè, questo lo sanno i pescatori ed i frequentatori di località balneari con scogli.
Se ne stanno attaccate alla pietra e rimuoverle a mano nuda è impossibile, c’è bisogno di coltelli ed attrezzi specifici, nonché di molta forza.
Lo studio pubblicato dai tipi dell’University of Portsmouth sul Journal of The Royal Society Interface ha evidenziato che le patelle detengono il più forte materiale biologico sulla Terra, scalzando l’attuale detentore del record, la tela tessuta dai ragni.
Le immagini ingrandite al microscopio elettronico mostrano di cosa stiamo parlando.
I denti delle patelle contengono un materiale durissimo, conosciuto come goethite.
Adesso si aprono nuove strade per le potenzialità meccaniche nelle applicazioni future su tessuti, carrozzerie di auto, scafi di barche e magari aerei.
Fonte: http://spazionews.net/
mercoledì 25 febbraio 2015
Scoperti nuovi crateri in Siberia
Nuovi misteriosi crateri si aprono in Siberia.
Una vicenda che non ha ancora una soluzione ma solo tante ipotesi.
Dopo la famosa voragine trovata nella regione settentrionale dello Yamal, nuove buche sono state individuate utilizzando le immagini satellitari.
Fino ad ora, erano tre i crateri erano conosciuti nel nord della Russia. E le cause potrebbero essere tante: si parla di un elevato riscaldamento sopra la superficie a causa delle temperature particolarmente elevate, o ancora delle linee di faglia che hanno portato a un enorme rilascio di gas idrati.
I ricercatori si avventurarono nel profondo di uno dei fori a novembre, raccogliendo dei dati nel tentativo di capire perché si formavano.
La teoria principale è che essi sono stati creati da esplosioni di gas innescate da calore sotterraneo o da temperature dell'aria associate al cambiamento climatico.Vere e proprie bombe a orologeria.
Due dei grandi crateri appena scoperti si sono trasformati in laghi, ha rivelato il professor Bogoyavlensky della Accademia Russa delle Scienze. Ma altre indagini effettuate di recente utilizzando le immagini satellitari hanno aiutato gli scienziati russi a capire che i crateri sono molto più numerosi di quanto si ipotizzasse.
Per questo Vasily Bogoyavlensky ha chiesto un'indagine 'urgente' sul nuovo fenomeno.
Lo studio delle immagini satellitari ha mostrato che nei pressi del famoso foro che si trova in 30 chilometri da Bovanenkovo, vi sono due oggetti potenzialmente pericolosi, in cui emissioni di gas possono avere luogo in qualsiasi momento.
“Ora siamo a conoscenza di sette crateri nella zona artica,” ha detto Bogoyavlensky.
“Abbiamo posizioni esatte solo per quattro di loro. Gli altri tre sono stati avvistati dai pastori di renne. Ma sono sicuro che ci sono più crateri su Yamal, dobbiamo solo cercarli”.
Secondo lo scienziato russo, il numero è destinato a salire e stima che potrebbero essere almeno 20-30 i crateri siberiani.
“Questi oggetti devono essere studiati, ma è piuttosto pericoloso per i ricercatori. Sappiamo che possono verificarsi una serie di emissioni di gas per un periodo di tempo prolungato, ma non sappiamo esattamente quando potrebbe accadere.”
Non è solo la formazione di nuovi crateri a dimostrare che è in corso un processo di emissione di gas.
Secondo Bogoyavlensky è in corso il 'degassamento', con i gas che vanno dal fondo del lago alla sua superficie.
“Il degasaggio è stato rivelato sul territorio del distretto autonomo di Yamal circa 45 anni fa, ma ora pensiamo che ci possa dare qualche indizio sulla formazione dei crateri e delle emissioni di gas. In ogni caso, dobbiamo studiare questo fenomeno con urgenza, per evitare possibili disastri”.
Articolo originale : http://siberiantimes.com/science/casestudy/news/n0127-dozens-of-mysterious-new-craters-suspected-in-northern-russia/
Il panda, un compendio di tenerezza e simpatia
Innegabile l’effetto positivo e tenero che i panda producono nell’immaginario collettivo. Così buffi, soffici e maldestri, tanto da rappresentare un compendio di tenerezza e simpatia.
I disegnatori di cartoon sono consapevoli dei questa caratteristica e per questo motivo, quando realizzano un fumetto o un film di animazione, premono sul pedale dell’acceleratore della tenerezza. La natura, del resto, insegna che la bellezza è parte integrante del suo DNA e in ogni specie è possibile individuare elementi innegabili di dolcezza.
I panda in questo sono maestri, proprio grazie alla loro conformazione fisica.
Ma non è solo una questione di aspetto esteriore, piuttosto un insieme di fattori scientifici che fanno leva sul cervello umano. Musi arrotondati, corpi morbidi, grandi orecchie e occhi profondi concorrono a fare leva sulle sinapsi cerebrali.
Le ragioni per cui troviamo tenero e affascinante un simpatico panda non sono direttamente collegabili alla sfera sentimentale, ma a qualcosa che attinge al background umano.
Il panda appare buffo e carino perché riporta alla memoria caratteristiche simili a quelle di un neonato, facendo scattare in chi l’osserva un istinto del tutto naturale legato alla necessità di protezione, cura, nutrimento e alle carezze.
Alcuni documentaristi hanno concentrato i loro sforzi proprio sulle caratteristiche del panda, sulle particolarità che lo rendono così carino e tenero.
Ad esempio il regista Gordon Buchanan sostiene:
I neonati appena giungono al mondo possiedono dimensioni sproporzionate che li rendono teneri e adorabili, ad esempio testa grande, occhi grandi e profondi. Lo stesso tipo di sproporzione fisica che caratterizza i panda. Nonostante in realtà i loro non siano occhi grandi, ma piuttosto piccoli evidenziati dalle marcature nere che li circondano.
Queste macchie sono il frutto di un’evoluzione naturale, servono a renderli più aggressivi e temibili agli occhi di eventuali predatori. Ma nell’immaginario umano l’effetto è diametralmente opposto, facendo scaturire una sensazione di forte affetto e calore nei loro confronti.
I panda appaiono agli occhi umani come piccoli giovani inesperti e vulnerabili.
È l’istinto di protezione che spinge l’uomo a provare tenerezza nei loro confronti, una dinamica emotiva incentivata anche dalle dimensioni e dalle fattezze buffe.
In realtà i panda non sono nati per compiacere l’affettività umana, ma la loro fisionomia è il frutto di un processo evolutivo costante. Ad esempio il formato adorabile della testa è la conseguenza del passaggio da un’alimentazione carnivora a una vegetariana. Nonostante conservino una dentizione tipica dei carnivori, insieme agli artigli, il cranio è molto più grande di quello di un orso polare o di un orso bruno.
Una necessità imposta dall’alimentazione a base di bambù, pianta di cui sono ghiotti ma piuttosto difficile da masticare.
Per affrontare questa problematica, il panda ha sviluppato una forte muscolatura della bocca e della mascella, quindi un cranio più grande per ospitarla.
Il panda ha un dito in più, il sesto, necessario per cogliere il coriaceo bambù. Ma anche una dentizione utile alla masticazione dello stesso, quindi un sistema digestivo molto resistente e spesso per assorbire e assimilare la pianta ricca di cellulosa.
Anche le zampe appaiono più robuste, caratteristica indispensabile per sostenere il peso di un animale in grado di raggiungere anche 125 chilogrammi.
Il panda è il simbolo della pace in Cina, oltre che del WWF essendo specie in estinzione.
Fonte: greenstyle.it
L'origine ignota dei "Popoli del Mare"
I “Popoli del Mare” sono oggetto di un infinito dibattito tutt’ora in corso tra gli studiosi di storia antica.
Si tratta, infatti, di un gruppo umano di cui si sa molto poco, la cui scarsità di notizie ha favorito il fiorire di numerose di teorie ed ipotesi.
Non si sa chi fossero, né il loro luogo di origine e nemmeno che fine abbiano fatto. Dunque, la precisa identità di queste “popolazioni del mare” è ancora un enigma per gli studiosi.
Alcuni indizi suggeriscono invece che per gli antichi egizi l’identità e le motivazioni di queste popolazioni erano note.
Le poche informazioni che abbiamo, infatti, ci vengono da fonti dell’antico Egitto risalenti alla 19° dinastia.
In realtà, le fonti egizie descrivono tali popoli solo dal punto di vista militare.
Sulla stele di Tanis si legge un’iscrizione attribuita a Ramses II, nella quale si legge:
«I ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli».
Il fatto che varie civiltà tra cui la civiltà Ittita, Micenea e il regno dei Mitanni scomparvero contemporaneamente attorno al 1175 a.C. ha fatto teorizzare agli studiosi, che ciò fu causato dalle incursioni dei Popoli del Mare.
I resoconti di Ramses sulle razzie dei Popoli del Mare nel mediterraneo orientale sono confermati dalla distruzione di Hatti, Ugarit, Ashkelon e Hazor.
È da notare che queste invasioni non erano soltanto della operazioni militari ma erano accompagnate da grandi movimenti di popolazioni per terra e mare, alla continua ricerca di nuove terre in cui insediarsi.
Il termine “Popoli del Mare” fa riferimento ad un gruppo composto da dieci popolazioni provenienti dall’Europa meridionale, una sorta di confederazione, che sul finire dell’Età del Bronzo, navigando verso il Mar Mediterraneo orientale, invasero l’Anatolia, la Siria, Palestina, Cipro e l’Egitto.
Le fonti antiche più importanti nelle quali vengono citati i Popoli del Mare sono l’Obelisco di Biblo, databile tra il 2000 e il 1700 a.C., le Lettere di Amarna, la Stele di Tanis e le iscrizioni del faraone Merenptah.
Tra le popolazioni citate nelle iscrizioni antiche, le più intriganti sono certamente i Lukka, gli Shardana, i Šekeleš e i Danuna.
I Lukka
La prima menzione di queste genti compare nell’obelisco di Biblo, dove viene nominato Kwkwn figlio di Rwqq, transliterato Kukunnis figlio di Lukka.
Le terre di Lukka vengono spesso citate anche nei testi ittiti a partire dal II millennio a.C.
Denotano una regione situata nella parte sud-occidentale dell’Anatolia.
Le terre di Lukka non furono mai poste in modo permanente sotto il controllo ittita, e gli stessi Ittiti le consideravano ostili.
I soldati di Lukka combatterono alleati agli Ittiti nella famosa battaglia di Qadeš (ca. 1274 a.C.) contro il faraone egizio Ramesse II.
Tuttavia, un secolo dopo, Lukka si rivolse contro gli Ittiti.
Il re ittita Šuppiluliuma II tentò invano di sconfiggere Lukka, i quali contribuirono al collasso dell’impero ittita.
Gli Shardana
Gli Shardana compaiono per la prima volta nelle fonti egiziane nelle lettere di Amarna (1350 a.C. circa) durante il regno di Akhenaton.
Vengono poi menzionati durante il regno di Ramses II, Merenptah e Ramses III con i quali ingaggiarono numerose battaglie navali. Nella raffigurazione vengono dipinti con lunghe spade triangolari, pugnali, lance e uno scudo tondo. Il gonnellino è corto, sono dotati di corazza e di un elmo provvisto di corna.
Le similitudini fra i guerrieri Shardana e quelli dei nuragici della Sardegna, nonché l’assonanza del nome Shardana con quello di Sardi-Sardegna, hanno fatto ipotizzare, ad alcuni, che gli Shardana fossero una popolazione proveniente dalla Sardegna o che si fosse insediata nell’isola in seguito alla tentata invasione dell’Egitto.
I Šekeleš
I Šekeleš, detti anche Sakalasa, vengono citati insieme ad altri otto componenti dei Popoli del Mare nelle iscrizioni commissionate dal faraone Merenptah (13° secolo a.C.).
Sono stati associati ai Siculi, popolazione indoeuropeea che si stanziò nella tarda età del bronzo in Sicilia orientale scacciando verso occidente i Sicani.
Non è escluso che la loro emigrazione in Sicilia possa essere stata precedente agli scontri con l’Egitto di Merenptah, se è affidabile l’alta cronologia della cultura Pantalica I (datata a partire dal 1270 a.C.) e la testimonianza di Ellanico di Mitilene, riportata da Dionigi di Alicarnasso, secondo cui lo sbarco dei Siculi in Sicilia sarebbe avvenuto tre generazioni prima della guerra troiana, intorno al 1275 a.C.; Dionigi riporta anche la datazione fissata da Filisto (ventiquattro anni prima della Guerra di Troia) più o meno contemporanea al conflitto tra il faraone Merneptah e i Popoli del mare.
I Danuna
I Danuna, o Denyen, sono certamente i più enigmatici.
Secondo la leggenda, i Danuna avrebbero lasciato il continente di Atlantide per stabilirsi sull’isola di Rodi.
Questo popolo adorava la dea Danu, una dea primordiale presente nella mitologia di molte culture (da quella celtica a quella indiana). Veniva rappresentata come una luna avvolta dal serpente e che si suppone era considerata la dea madre delle acque.
La mitologia greca tramanda che gli abitanti primordiali dell’isola di Rodi erano chiamati Telchini.
Secondo lo storico greco Diodoro, questo popolo aveva il potere di guarire le malattie, di modificare le condizioni atmosferiche e assumere qualsiasi forma desiderassero.
Ma non desideravano rivelare le proprie capacità, mostrandosene assai gelosi.
Erano rappresentati sotto forma di esseri anfibi, metà marini e metà terrestri. Avevano la parte inferiore del corpo a forma di pesce o di serpente, oppure i piedi con dita palmate.
Un po’ prima del Diluvio, ebbero il presentimento della catastrofe e lasciarono Rodi, la loro patria, per disperdersi nel mondo.
È possibile che la mitologia e le leggende tramandino la storia di un popolo tecnologicamente avanzato, percepito dagli antichi come in possesso di poteri magici?
È possibile che ci sia un collegamento tra i Danuna e i Talchini? Potrebbero essere davvero i superstiti del continente di Atlantide?
Fonte: www.ilnavigatorecurioso.it
martedì 24 febbraio 2015
Patrick Blanc: il re dei giardini verticali che ha trasformato la sua casa in una giungla urbana
Patrick Blanc è un botanico famoso per aver inventato i giardini verticali, per aver costruito il giardino verticale più grande del mondo a Sydney e per gli altri suoi capolavori che trovano spazio a Parigi e nel mondo.
Persino nella sua casa parigina Patrick Blanc non ha rinunciato alle pareti verdi e ha voluto creare una vera e propria giungla urbana. Nell'abitazione di Patrick Blanc, che si trova alla periferia di Parigi, regna il verde.
Dal 1998 si occupa di realizzare pareti verdi in tutto il mondo, dal Giappone agli Stati Uniti, e le sperimentazioni non potevano partire che dalla sua casa.
Qui Blanc ha lavorato in collaborazione con l'architetto Gilles Ebersolt.
Nella sua casa non rispetta l'ordine tipico delle sue pareti verticali artistiche, tendendo invece a lasciare un po' al caso la crescita delle piante.
L'interno della sua casa è un mondo completamente verde e nuovo, con un vero e proprio scenario spettacolare composto da piante rampicanti, giardini verticali, pareti verdi e piante acquatiche.
Secondo Blanc, nella nostra epoca l'umanità è ormai disinteressata alla natura, ma può provare a riavvicinarsi ad essa e a diventare più sensibile ai problemi ambientali magari proprio ammirando per caso un giardino verticale nel bel mezzo di una metropoli.
Il suo interesse per piante e giardini è nato quando aveva solo 8 anni.
Ha studiato botanica all'Università di Parigi e poi ha viaggiato in Malesia e Tailandia negli anni Settanta per osservare la crescita delle piante sulle rocce e nel sottobosco delle foreste.
Per 25 anni ha lavorato come ricercatore al National Center for Scientific Research di Parigi.
Il suo amore per le piante e la natura non poteva che riflettersi nello stile scelto per la sua casa
Marta Albè
“Beep Beep”, il corridore della strada che sfugge nel cartoon e nella realtà
Chi non ha mai guardato il celebre cartone animato della Warner Bros “Beep Beep e Willy il Coyote“?
Dovete pensare che questa eterna lotta per la sopravvivenza va in scena realmente ogni giorno nei deserti dell’ America centro orientale, ed il nostro caro “Beep Beep” esiste davvero!
Spesso è stato considerato erroneamente uno struzzo ma in natura questo uccello prende il nome di “Corridore della strada” (geococcyx californianus).
E’ un volatile appartenente alla famiglia dei cuculidi che, come il nostro cuculo, produce il caratteristico verso del ‘cucu’ che ripete per sei volte per comunicare con gli altri membri della sua specie; gli americani lo chiamano “Road runner” per la sua caratteristica di correre molto rapidamente e disdegnare il volo attivo.
Questo uccello è molto comune in California dove è visto come un utile inquilino dell’uomo.
Innanzitutto per le sue caratteristiche alimentari che lo portano a cibarsi di animali molto sgraditi come il velenosissimo serpente a sonagli (crotalo), scorpioni e grossi ragni. Tutte prede che il “Corridore della strada” cattura sfrecciando velocissimo tra gli arbusti del deserto.
La sua morfologia lo aiuta molto nelle sue corse a perdifiato sulla secca terra desertica.
La sua lunga coda funziona come un bilanciere e il nostro “Beep Beep” la utilizza anche come sistema frenante. O come timone per compiere precise virate ad impressionante velocità.
Il deserto è un ambiente famoso per le forti escursioni termiche tra giorno e notte.
Quando la temperatura durante la notte scende sotto i livelli di guardia, il corridore della strada riesce ad entrare in uno stato di completa ipotermia rallentando al minimo i battiti cardiaci e il metabolismo, in modo da dissipare meno calore corporeo possibile. Alle prime luci del mattino il corridore si sistema rivolto al sole e riacquista il calore utile poi per le sue funamboliche corse.
Il corridore della strada si accoppia generalmente in primavera e, una volta formatasi la coppia, i due partner non si lasceranno mai per tutta la loro vita (monogamia).
Il nido viene fatto a terra ed è proprio nel momento della cova che il “Road runner” è più vulnerabile ai suoi predatori: tra di essi il coyote .
Questi ultimo, proprio come faceva Willy nel celebre cartone animato, si prodiga molto nella cattura del corridore della strada ma, anche qui come nel cartoon, spesso con scarsi risultati.
Filippo Asnaghi
lunedì 23 febbraio 2015
Il monaco buddista che medita da 900 anni
Sulle prime sembrerebbe una semplice statua di Buddha. Ma in questa scultura dell'XI-XII secolo dopo Cristo c'è molto di più di quanto possa apparire.
Incapsulato al suo interno, come in uno scrigno, si trovano le spoglie di un monaco buddista ancora in meditazione, impegnato nella classica posizione del loto.
Nel corpo del religioso non ci sono più organi, ma antichi rotoli di testi in lingua cinese: la scoperta, degna di un film di Indiana Jones, è di un gruppo di ricercatori del Meander Medical Centre di Amersfoort, non lontano da Utrecht, Paesi Bassi.
La presenza della mummia all'interno della statua era già nota ai ricercatori: a rivelarla era stata, un anno fa, la tomografia computerizzata della statua, che aveva svelato il profilo di uno scheletro umano nascosto nella scultura.
Secondo Erik Bruijn, esperto di arte e cultura buddiste e curatore ospite del World Museum di Rotterdam, il corpo apparterrebbe a un maestro buddista di nome Liuquan della Scuola Cinese di Meditazione, morto intorno al 1100 dopo Cristo.
La scoperta segue di pochi giorni quella di un altro monaco buddista morto circa 200 anni fa, il cui corpo mummificato è stato ritrovato, ancora nella posizione del loto, nella provincia di Ulan Bator, in Mongolia.
Secondo alcuni devoti buddisti il monaco Liuquan, così come il "collega" di Ulan Bator, non sarebbero morti, ma si troverebbero soltanto in un avanzato stato di meditazione.
La preghiera di Liuquan è stata di nuovo "disturbata" a settembre 2014, quando la mummia del religioso è stata sottoposta a un'ulteriore tomografia e ad alcune indagini endoscopiche in cui sono stati prelevati campioni di tessuto dalle cavità toracica e addominale.
Si è giunti così a una nuova, incredibile scoperta: al posto dei tessuti degli organi interni sono stati trovati frammenti di carta scritti in caratteri cinesi.
Gli organi del monaco sono stati probabilmente rimossi durante la mummificazione e sostituiti con rotoli forse considerati sacri. Questo porterebbe a pensare che Liuquan sia stato mummificato dopo morte e non si sia invece automummificato, un raro e antico processo di volontario abbandono del proprio corpo un tempo tentato da alcuni dei più anziani monaci buddisti, ma di cui ci sono giunte finora appena una ventina di testimonianze
La pratica - una sorta di lungo suicidio rituale - prevedeva alcuni anni di dieta a base prima di noci e semi, poi di infusi velenosi e radici, per eliminare i grassi corporei e preservare i tessuti dalla corruttibilità.
Quando il monaco moriva, in una posizione di preghiera, il suo cadavere non veniva più toccato in alcun modo ed era venerato alla stregua di un santo.
Se anche Liuquan fosse morto in questo modo, probabilmente i suoi organi non sarebbero stati rimossi e rimpiazzati dai rotoli.
La misteriosa mummia in preghiera, che nel frattempo è stata trasferita in Ungheria, rimarrà esposta al Museo di Storia Naturale di Budapest fino a maggio 2015.
Fonte: focus.it
Polymita Picta, la chiocciola coi favolosi colori di Cuba
Si chiama polymita picta, anche se è molto più nota con il nickname di chiocciola arcobaleno.
Si tratta di un mollusco appartenente al superordine dei gasteropodi, ordine a cui appartengono moltissime specie di molluschi sia acquatici che terrestri.
E’ dotato di gusci che sono vere e proprie opere d’arte.
I molluschi sono animali molto antichi che nacquero in origine nei mari ancestrali (relativi agli antenati) del nostro pianeta che poi successivamente sono riusciti a colonizzare anche la terraferma.
Va tuttavia detto che un mollusco terrestre non ha mai sviluppato una pelle ‘isolata’, come invece è avvenuto per rettili e mammiferi. Di conseguenza perde molta acqua con la traspirazione della pelle, motivo per cui i molluschi terrestri devono sempre stare in zone molto umide per evitare, appunto, la disidratazione.
E così non è un caso che la nostra chiocciola arcobaleno viva nelle foreste pluviali dove il tasso di umidità è altissimo (piove quasi una volta al giorno).
Di aspetto veramente particolare, i gusci di questo mollusco presentano una livrea molto bella e con una ampia gamma di colori vivaci (policromatica) anche se non è stato ancora scoperto il motivo di questa particolare colorazione del guscio.
Se vogliamo osservare una polymita picta dobbiamo obbligatoriamente andare nell’isola di Cuba.
Questo animale infatti vive solo ed esclusivamente nelle foreste dell’isola caraibica.
Questa tendenza evolutiva in zoologia prende il nome di endemismo.
Con questo termine si rappresentano tutti gli animali (e vegetali) che vivono solo ed esclusivamente in un dato luogo preciso.
Famosi casi di endemismo li troviamo nelle isole Galapagos con le iguane marine e le testuggini giganti che hanno ispirato Charles Darwin sulla sua teoria dell’origine delle specie.
Trattasi di animali che raggiunsero quei luoghi in tempi lontani e che poi, a causa dell’isolamento con il mondo esterno, si sono discostate a tal punto dai loro predecessori da diventare specie a sé stanti.
La piccola chiocciola arcobaleno è quindi un animale unico e purtroppo in via d’estinzione per l’abbattimento del proprio habitat. Difenderla è prioritario.
Se dovesse scomparire, infatti, non sarà mai più possibile osservare (ed essere affascinati) dai suoi gusci artistici, in nessun altra parte del nostro pianeta.
fonte: oknotizia.com
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